Altro giro, stessa storia. Perché il valzer della politica italiota è così. Sempre in movimento, sempre in tondo, sempre uguale a sé stesso. E sempre – sempre – dritto al punto. Ma quello di partenza. E infatti. Il governo Berlusconi 3, come il precedente Prodi 2, pare davvero riuscito nella missione quasi impossibile di non cambiare il Belpaese di una virgola. In compenso pure il Cavaliere, come il Professore, dopo due anni e qualcosa sembra arrivato ormani alla frutta.

Allora fu l’ex diccì, ex ciccidì, ex udierre, ex udeur ora pidiellino, Clemente Mastella a pugnalare alle spalle Prodi. Ora, invece, a recitare il ruolo di Bruto è l’ex missino, ex aennino, ex pidiellino, ora futurista (nel senso di Futuro e Libertà), Gianfranco Fini. Ma cambiando i nomi (poco) e le sigle (molto), il prodotto non cambia. Frutta era (politicamente parlando), e frutta è. E con tutta probabilità, presto potrebbe arrivare pure il conto. Cioè le elezioni.

Nulla di nuovo sotto il sole del Paese d’ ‘o sole, insomma. Ma una postilla – mentre perdura il coma del nostro governo numero 60 (in poco più di 60 anni di storia repubblicana) – è d’obbligo. La tragicomica crisi dell’ennesimo esecutivo che doveva, a parole, rivoluzionare il Belpaese e che si è smarrito tra pupe&escort (prima) e pied-à-terre incautamente acquistati a Montecarlo (poi); si diceva: una cosa ’sta caduta la dimostra: che la nostra sarà pure una democrazia occidentale particolarmente scassata; tanto scassata che tollera perfino premier-imprenditori con una spiccata tendenza a farsi gli affari propri. Ma una dittatura, proprio no.

La cosa – va da sé – sarebbe pure ovvia. Scontata. Se non fosse che in Italia, l’importante è esagerare. E l’opposizione di turno – questa volta, il centrosinistra – con ’sta storia del “Berlusconi dittatore” ci ha sbrodolato per tutta la legislatura.

Certo l’apice l’ha toccato l’ex pm ora leader a vita dell’Italia dei valori, Antonio Di Pietro quando – era l’estate del 2009 – si era addirittura comprato una pagina dell’Herald Tribune per denunciare che “democracy is in danger in Italy”, e per fare appello – già che c’era e per non farsi mancare niente – pure alla comunità internazionale. Ma va detto – a onor del vero – che pure il Partito democratico c’ha messo del suo. L’ex segretario numero 1, Veltroni aveva denunciato una deriva “putiniana”.  L’ex vice di Veltroni ed ex segretario numero 2, Franceschini aveva vaticinato una trasformazione dell’Italia in stile Turkmenistan. Il segretario numero 3 (in 3 anni), Bersani, per ora, invece, tace. Ma le elezioni si avvicinano. E chissà che presto o tardi non si unisca anche lui al coro.

Per (s)fortuna – e la cosa non stupisce, visto il gusto tutto italiano per le repliche – ci sta pensando Di Pietro a tener vivo il refrain. Lunedì scorso, a governo ormai in conclamato bilico, non ha mancato di bollare Berlusconi per l’ennesima volta come “dittatorello sudamericano”. Una definizione che fa il paio con altre, sempre scolpite in questi due anni, invero ben più fantasiose: novello Jorge Rafael Videla, novello Adolf Hitler, novello Mussolini, novello Nerone. Perfino – perché un tocco di esotico non guasta mai – novello Saddam Hussein.

Peccato solo che nel frattempo – in questa nostra dittatura tricolore, o regime berlusconiano (copyright Marco Travaglio) – si sia già votato due volte (europee nel 2009 e regionali nel 2010). E visti gli attuali chiari di luna, pare che si tornerà a votare anche il prossimo anno, forse già a marzo. Perché l’Italia, evidentemente, anche come dittatura lascia alquanto a desiderare. E al dittatorello di turno – ogni tre per due – gli tocca affrontare il giudizio delle urne elettorali. Oltre, ovvio, alla fatica di tenere insieme maggioranze parlamentari sempre pronte a sciogliersi come neve al sole.

Ma sempre a onor del vero e prima di chiudere: leader e maitre-à-non-penser del centrosinistra vanno anche capiti. Perché la politica, oggi come oggi, è marketing. E perché molti lettori ed elettori vogliono ancora il prodotto “duce da combattere” e il brivido di “far la resistenza”, come i loro nonni dei tempi che furono.

Tempi che, però, non sono più. Ora toccherebbe rendersi conto che l’Italia più che vittima di un novello Mussolini, è un Paese banalmente spompo, con poche idee ma confuse, e condannato ad essere sempre più insignificante – economicamente e culturalmente. E, con tutta probabilità, pure sempre più povero. Un concetto che, purtroppo, suona meno glorioso di quello dei nuovi partigiani alla riscossa. E infatti non va. Tradotto: gli elettori, appunto, non se lo vogliono “accattare”. Unica consolazione (si fa per dire): del declino del Belpaese ci sarà comunque tempo per parlare. Uh, se ci sarà tempo. Purtroppo.

 

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