DI

SERGIO DI CORI MODIGIANI
Libero pensiero

E così, di riffa e di raffa, il Bel Paese se ne va.
O meglio, diciamo piuttosto che, con il trascorrere dei giorni, diventa sempre più chiaro come -a dispetto della apparenze- non siamo nelle mani di beceri incompetenti, di cialtroni immeritevoli, di raccomandati di lusso, incapaci di mettere in piedi uno straccio di progetto decoroso che funzioni e sia efficace.
Siamo nelle mani di una classe dirigente politica che si è macchiata e si sta macchiando del più orribile crimine che in tutte le civiltà, presso tutte le etnie, in tutte le epoche, è sempre stato considerato come l’atto più vile e tragico che si possa compiere: il tradimento della propria comunità e la svendita del territorio della propria cittadinanza allo straniero.
Perchè una cosa è il dramma delle guerre, dove l’invasore prepotente si appropria con la violenza delle armi di beni che non sono suoi.
Ben altra cosa è avere la certezza di essere capitanati da un manipolo di solerti impiegati che hanno scelto di consegnare i forzieri nazionali -riempiti grazie al lavoro di centinaia di generazioni diligenti, industriose e parsimoniose- nelle mani dei nostri più agguerriti competitors internazionali, invitando a nozze gli invasori e dicendo loro: prego signori, accomodatevi, svendiamo il tutto al prezzo migliore.
Conclusa la prima fase un mese fa, è iniziata da oggi la seconda fase, quella che consegna la Telecom agli spagnoli di Telefonica, l’Alitalia ai francesi di Air France, e tre aziende strategiche del gruppo Ansaldo, cioè la “Energia” la  “Sts” e la “Breda” rispettivamente al gruppo imprenditoriale coreano denominato Doosan, agli statunitensi di General Electric e il gioiello metalmeccanico ai giapponesi di Hitachi. Se ne va via anche la Ansaldo, e sono già in trattative per vendere le aziende strategiche impiegate nella costruzione di navi ai cinesi, i quali verranno a costruire le loro navi in Italia -a prezzi cinesi si intende- per poi ormeggiarle nel porto del Pireo, acquistato in toto due mesi fa. Una vera pacchia. Per loro si intende.
Quattro aziende di Finmeccanica e l’Eni sono già in trattative avviate, soprattutto con i qatarioti, a questo serviva loro impossessarsi -come hanno fatto- prima di Unicredit, poi acquistare Valentino Garavani insieme a centotrenta industrie tessili nazionali e adesso si prenderanno anche il nostro know how ingegneristico in campo petrolifero.
Allora a questo serve lo stallo.
Allora è questo il vero obiettivo dell’immobilismo politico italiano.
Fare in modo che non accada nulla, che non cambi nulla, che non migliori nulla, in modo tale che i prezzi si abbassino e si faccia lo shopping del Made in Italy. Una volta conclusa questa fase, manderanno a casa gli attuali impiegati e ci metteranno dei nuovi manager a gestire le briciole. Di italiano sarà rimasto soltanto il marchio.
Quindi il Made in Italy è finito.
Ho saputo che tre giorni fa si è chiusa la trattativa della compravendita di una importante azienda vinicola in Toscana, una di quelle che produce il marchio DOC classico del Chianti gallo nero, finita nelle mani dei cinesi. L’azienda si chiama Casa Nova. Si trova a Greve, tra Firenze e Siena. Si tratta di due gruppi di case coloniche, otto ettari di vigneti e due di oliveto acquistati da uno speculatore finanziario di Hong Kong che rappresenta gli interessi di un gruppo farmaceutico di proprietà del governo cinese. Sono venuto a scoprirlo per un caso, guardando una intervista alla televisione argentina a un loro imprenditore, Alejandro Bulgheroni (nipote di italiani) il quale aveva acquistato sei mesi fa un’altra azienda Chianti DOC, la Poggio Landi. Costui, un supermiliardario, spiegava come, grazie all’Italia, l’Argentina da undicesima è già diventata la settima nazione vinicola al mondo e si appresta -per l’appunto- a fare concorrenza al nostro paese, passato in dieci anni dal primo al terzo posto ed entro il prossimo quinquennio accreditato di un decimo posto, superati da Spagna, Cile e Colombia. Così stanno le cose. Per il momento siamo terzi, dietro Usa e Francia che resiste al primo posto avendo stravinto la secolare guerra del vino con l’Italia. La Cina ha aumentato il consumo di vino del 30% e produce adesso 17 milioni di ettolitri all’anno. Ha bisogno del vino italiano. Perchè? Una Legge dello Stato cinese stabilisce che per poter esportare vino “cinese” doc è sufficiente che all’interno delle bottiglie vi sia il 15% di uve locali. Hanno deciso allora di cominciare a prendersi il vino italiano migliore, così lo inviano in Cina attraverso il porto del Pireo e lo imbottigliano a Shangai creando un vino cinese originale (sembra che sia ottimo) ma che è composto all’85% delle uve del Chianti. Quindi, siccome per il vino ciò che conta è il sapore, la Cina si impossesserà di tutti i mercati internazionali stracciando la concorrenza con il vino italiano perchè venderà vino italiano ovvero sapore italiano vero come vino cinese, davvero diabolici. La grande azienda vinicola Oliveto, della famiglia Machetti, è stata venduta alla Solaya International di Panama, modesta società anonima di copertura dietro la quale si nasconde la Bank of China.  L’Italia perderà tutti i mercati.
Se ne sono andati anche l’Orzo Bimbo venduto ai tedeschi.
Se ne sono andati via i salumi Fiorucci.  E i biscotti Barilla e i sughi e le conserve Star.
Anche la Parmalat, divenuta francese. E i Galli si sono presi anche la Galbani, la Locatelli, l’Invernizzi.
Per non parlare del cashmere italiano di Loro Piana e di Bulgari. La moda è ormai loro.
Se ne è andato anche lo spumante Gancia e tutta la produzione piemontese degli aperitivi italiani, venduta a Roustam Tariko, un miliardario moscovita.
Dopo i biscotti Barilla e la pasta Buitoni, se ne è andato anche il riso Scotti: e qui la cosa è davvero grave. Perchè la celebre azienda di Pavia l’ha venduta a una multinazionale spagnola dell’alimentazione gestita dai colossi finanziari che intendono usare questi marchi per lanciare un sistema di alimentazione seriale industriale che impoverirà l’alimento, la sua qualità nutritiva e di italiano non avrà proprio un bel nulla. L’azienda spagnola si chiama Ebro Foods. Se l’è presa per 18 milioni di euro lo scorso luglio.
Gli spagnoli stanno usando i soldi avuti in credito dal Fondo Salva stati al loro sistema bancario per acquistare aziende italiane. Quel fondo è alimentato in larghissima misura dai soldi del contribuente italiano. In pratica, ciò che questo governo e quello precedente hanno avallato è la seguente manovra: il fondo europeo dà i soldi alle banche spagnole che acquistano aziende italiane.
In una intervista di qualche mese fa il Dr Dario Scotti, presidente e amministratore delegato della Riso Scotti spa, attaccato dai sindacati di categoria che avevano denunciato il fatto inascoltati aveva dichiarato: 
“La partnership con la multinazionale alimentare iberica ha la valenza di un’alleanza industriale e commerciale per penetrare mercati internazionali, con l’obiettivo di sviluppare la produzione del sito industriale e di allargare le frontiere al risotto “made in Italy” e ai tanti prodotti derivati dal riso che produciamo e commercializzano. La scelta è stata attenta e meditata, nel desiderio di esprimere una rinnovata e maggiore forza industriale come primo gruppo risiero europeo, in termini di sviluppo e di distribuzione di prodotti di nuova generazione. È certamente una scelta legata allo sviluppo dei nuovi prodotti: con la loro ricerca e le nostra, con il loro sistema distributivo e il nostro, con le forze messe insieme, insomma, si potranno ottenere i risultati migliori”.
Balle! Grosse come una casa, è l’opinione della Coldiretti di Pavia che raggruppa i consorzi dei piccoli produttori agricoli del pavese, del piacentino e della pianura padana. Ha pubblicato un allarmante studio dal titolo “Mani spagnole sulla Riso Scotti” nel quale sostiene che la Ebro Foods intende delocalizzare la produzione spostandola in Spagna. Il che vuol dire un altro pezzo importante dell’agricoltura nazionale che se ne va. Oltre al fatto che aumenterà la disoccupazione.
Il presidente della Coldiretti di Pavia, Giuseppe Ghezzi ha dichiarato “temo fortemente che questa sia una strada che porterà alla produzione di derrate alimentari standardizzate e uniformizzati, che di italiano avranno ben poco”.
Sergio Marini, presidente nazionale della Coldiretti, in un convegno di un mese fa ha lanciato un poderoso allarme rimasto inascoltato e poco comunicato. Ha detto:
“Lo scaffale del Made in Italy non c’é più nella realtà, è rimasta l’esigenza del prodotto italiano perchè c’è fame di Italia, grazie al nostro buon nome, ma è in atto una drammatica escalation nella perdita del patrimonio agroalimentare nazionale. I grandi gruppi multinazionali che fuggono dall’Italia della chimica e della meccanica, investono ora nell’agroalimentare nazionale perché, nonostante il crollo storico dei consumi interni, fa segnare il record nelle esportazioni grazie all’immagine conquistata con i primati nella sicurezza, tipicità e qualità. Ma il passaggio di proprietà ha spesso significato svuotamento finanziario delle società acquisite, delocalizzazione della produzione, chiusura di stabilimenti e perdita di occupazione. Si è iniziato con l’importare materie prime dall’estero per produrre prodotti tricolori. Poi si è passati ad acquisire direttamente marchi storici e il prossimo passo è la chiusura degli stabilimenti italiani per trasferirli all’estero. Un processo – conclude il presidente Coldiretti – di fronte al quale occorre accelerare nella costruzione di una filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi”.
Saranno almeno nutrienti?
E’ il trend attuale, sintomo e termometro di un paese sconfitto nella propria identità più profonda e antica: il cibo, i nostri sapori, i nostri odori, i nostri colori. Basterebbe seguire in rete due siti per comprendere come si sono messe le cose  Si tratta di due siti dove si vendono aziende intere, capannoni, pezzi di fabbrica, terreni prefabbricati a qualunque prezzo (andare a leggere per credere):

www.cinesichecomprano.com  o il più affermato
www.vendereaicinesi.it
questi, secondo il Mago Attel, il Delinquente e l’Innominabile, sarebbero i “chiari segnali” che la ripresa economica italiana è già partita. E’ il Parlamento al corrente di questa pratica diffusa?
Sergio Di Cori Modigliani
Fonte: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it
Link: http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2013/09/bye-bye-italia-au-revoir-o-meglio.html