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In diversi si sono chiesti che fine abbia fatto il fiscal compact, approvato dai paesi dell’eurozona, e fortemente voluto dal partito dell’austerità continentale. In breve si tratta dell’accordo tra stati dell’eurozona che si impegnano in una politica di tagli della spesa pubblica fino ad arrivare ad una quota del 60 per cento di debito del PIL. Sembrerebbe facile, solo che per l’Italia si tratterebbe di un taglio che, a seconda della lettura del trattato che istituisce il fiscal compact, che potrebbe anche toccare 50 miliardi l’anno per vent’anni.

Approvato quasi in segreto dal parlamento, con il voto entusiasta del centrosinistra, il fiscal compact è velocemente sparito dalla scena. Per l’enorme dispendio di denaro che comporterebbe una volta entrato a pieno regime. Italia oggi poche settimane fa ha ricostruito l’attuale itinerario del fiscal compact. Si tratta di uno degli scenari principali delineati nel dibattito maistream di quest’estate.

In poche parole, secondo Italia Oggi (vedi articolo sotto), il debito pubblico italiano e di altri paesi, finirebbe in una sorta di bad bank che lo governerebbe. Emettendo eurobond a garanzia di questo governo ed avendo, a sua volta, le riserve auree dei paesi che partecipano al fondo come garanzia in ultima istanza. In caso di incapacità dei paesi interessati a mantenere i patti sottoscritti questa bad bank del debito dovrebbe riscuotere direttamente le tasse di un paese (es. l’Italia).  Naturalmente, per evitare l’effetto Grecia, chi sottoscrive il patto non potrà tornare alla moneta nazionale. Insomma, per consegnare il proprio debito eccedente ad una bad bank, l’Italia ipotecherebbe il proprio oro, dando eventualmente facoltà ad un soggetto esterno al paese di riscuotere in modo coercitivo le tasse. L’autore di una simile cambiale sulla ricchezza del paese? Romano Prodi che qualcuno ha pure pensato di candidare presidente della Repubblica. Ora il percorso di esternalizzazione del debito pubblico è ancora molto confuso. Riportiamo integralmente l’articolo di Italia oggi sostanzialmente per indicare una cosa: con la vicenda fiscal compact non uscirà niente di buono. Ne se si segue il percorso dei trattati firmati negli scorsi, recenti anni e né se si seguono queste “soluzioni”.

 

Fonte: www.senzasoste.it

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Adesso si fa strada l’idea di accantonare il Fiscal compact per salvare l’euro. Questi i retroscena svelati a Londra

Adesso si fa strada l’idea di accantonare il Fiscal compact per salvare l’euro. Questi i retroscena svelati a Londra

Come faremo a rispettare il Fiscal compact?» chiedeva ieri un lettore del Corriere della sera, Mario Bocci, con una lettera breve, ma efficace: «Il debito è aumentato in ottobre di 23,5 miliardi e ha raggiunto quota 2.157,5 miliardi». Già, come faremo? Il rispetto del Fiscal compact imporrebbe al governo italiano di ridurre il debito pubblico verso la quota ottimale del 60% sul PIL; invece, nonostante le manovre e le tasse, cresce ogni anno e si colloca al 135,6%. In Europa ci supera soltanto la Grecia (174,1%), mentre la media dell’eurozona è del 93,9%, con la Germania al 77,3%. Rispondere a Bocci non è facile, e il Corriere della sera non ci ha neppure provato. Al punto in cui siamo, significa prendere posizione, e scegliere se si sta con chi vuole restare nell’euro (di cui il Fiscal compact è la ferrea cornice normativa), oppure uscirne.

Con fantasia e coraggio, il premier Matteo Renzi, ha proposto ai partner europei una via di mezzo, quella della flessibilità, che però non è prevista dai trattati europei, almeno nei termini da lui indicati. E Angela Merkel ha avuto gioco facile a opporsi, ribadendo che non si può fare crescita aumentando la spesa e il debito pubblico. Un gioco di veti incrociati, che sta paralizzando l’economia europea, e alimenta gli interrogativi sulla tenuta dell’euro: tra gli economisti, c’è chi considera ormai fallita la moneta unica europea, e ne prevede sempre più vicina la «ropture»; altri prevedono invece che l’euro sarà tenuto in vita grazie a un nuovo accordo europeo, destinato a superare il Fiscal compact . E qui sta la vera novità, di cui non c’è ancora traccia nel dibattito politico.

A questo accordo starebbero lavorando in segreto economisti e politici di diversi paesi. La novità centrale sarebbe l’istituzione di un nuovo fondo, l’European Redemption Fund (Fondo per il rimborso del debito), le cui caratteristiche sono illustrate in un paper dell’economista Luca Boscolo, discusso il 22 novembre scorso alla London School of Economiscs. Così com’è, sostiene Boscolo, l’euro ha troppi difetti per poter durare. Gli interventi della Troika (Bce, Ue, Fmi) per fare rispettare il Fiscal compact, hanno peggiorato dovunque la situazione, invece di migliorarla. Inoltre l’euro ha provocato pesanti squilibri nell’eurozona, che lo stesso Fmi ha riconosciuto in un rapporto del luglio 2014: è una moneta sottovalutata in Germania (del 15%), mentre è sopravvalutata (10-14%) nei paesi periferici. Questo ha creato le condizioni per il surplus commerciale dell’export tedesco, superiore al 6% da tre anni, dunque passibile di sanzioni Ue, come lo è lo sforamento del 3% nel rapporto deficit-pil.

Una situazione esplosiva, che mette in conflitto i Paesi più forti con quelli più deboli, dalla quale si può uscire soltanto superando il Fiscal compact. Come? Tra le soluzioni all’esame della Commissione europea, rivela di Boscolo, vi è appunto l’European Redemption Fund (Erf), in cui mettere tutte le eccedenze del debito dei Paesi che sforano il limite del 60%. L’idea base di questo progetto è italiana, in quanto i primi a lanciarla, nell’agosto 2011, sono stati Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio. L’idea è poi piaciuta anche agli economisti del Consiglio tedesco degli esperti economici, che affiancano il governo di Berlino, i quali hanno anche suggerito alcune clausole sugli aspetti patrimoniali, pur manifestando scetticismo su altri aspetti (gli eurobond).

Dalle prime bozze, il Fondo Erf, da istituire con un nuovo trattato europeo, avrebbe le seguenti caratteristiche: 1) il Fondo potrà emettere sui mercati degli eurobond, dando in garanzia i beni dello Stato interessato, oltre alle riserve valutarie e a quelle auree; 2) in caso di mancato pagamento dei bond da parte degli Stati interessasti, il Fondo potrà incassarne direttamente le tasse: 3) gli Stati aderenti non avranno più giurisdizione sul loro debito pubblico e non potranno più tornare alla moneta nazionale.

Nel caso dell’Italia, spiega Boscolo, la parte del debito che eccede il 60% è pari a 1.182 miliardi: questa sarà la quota che dovrebbe andare nell’Erf. A garanzia dei bond, il nostro Paese dovrebbe impegnare i propri asset di valore, cioé beni dello Stato come Eni, Enel, Finmeccanica, oltre alle riserve valutarie e auree.

I vantaggi dell’operazione sarebbero: riduzione dell’eccesso di debito; minore frammentazione del mercato europeo dei bond, dove ci sono tassi d’interesse diversi applicati nei vari paesi; stabilizzazione sui mercati del debito pubblico, con tassi d’interesse più bassi; in definitiva eliminazione dei rischi di bail-out (salvataggi), ossia dei prestiti di denaro agli stati indebitati. Risultato: lunga vita per l’euro.

Un buon progetto? Boscolo, da euroscettico, ne descrive anche i rischi, e lo boccia: «Sarà l’inizio della fine degli Stati così come li abbiamo conosciuti. Finiranno nelle mani dei grandi capitalisti, i quali hanno voluto l’euro e la globalizzazione per acquistare a prezzi stracciati gli asset dei Paesi con moneta debole, per poi rivederli con ottimi guadagni, distruggendo così l’economia locale e impoverendone i cittadini». Esagera? Forse. Di certo, è un buon motivo perché la discussione sull’Erf esca alla luce del sole.

Tino Oldani

Fonte: www.italiaoggi.it/

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