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DI

MAURO BOTTARELLI

 

Guardate la tabella a fondo pagina, ci mostra il verbale dello scrutinio nella città austriaca di Linz dopo il secondo turno delle presidenziali di domenica e lo spoglio delle schede giunte per posta avvenuto lunedì: bene, nella terza città del Paese, dove vivono 191mila persone, ha votato il 598% degli aventi diritto! Ma tranquilli, non ci sono stati brogli al voto austriaco, sono le variabili democratiche che ci chiede l’Europa. E che dire di Wilhelm Heissenberger, sindaco di Unterrabnitz-Schwendgraben, comune austriaco di 634 abitanti, il quale ha ammesso candidamente di aver falsificato 12 schede elettorali? Parliamo poi di Waidhofen, comune con 11.500 abitanti nella Bassa Austria, dove l’entusiasmo era tale da aver raggiunto il 146% di partecipazione al voto. Cose che succedono.

E che dire del direttore della Commissione elettorale austriaca, il quale domenica sera ha dichiarato in televisione come fossero state consegnate 740mila schede elettorali per corrispondenza, ricordando come normalmente circa 700mila di queste vengano utilizzate o compilate correttamente. Sapete quante erano le schede lunedì mattina? Più di 760mila. Altro strano fenomeno di moltiplicazione. E le “anomalie” rispetto al voto austriaco che ha visto andare al potere con il 50,3% il verde e massone Alexander Van der Bellen, legato a una loggia di Innsbruck, potrebbero andare avanti per mesi, basterebbe citare il dato di Vienna tra il primo e il secondo turno: Hofer è semplicemente sparito. E non è colpa degli espatriati o degli studenti in Erasmus, come erroneamente ho detto due giorni fa, perché approfondendo la questione con fonti austriache, ho scoperto che la percentuale di chi davvero risiede fuori dal Paese sul totale dei circa 700mila voti postali è scesa negli anni a circa il 10% del totale, il resto è rappresentato da gente che ha scelto la formula della posta invece di recarsi al seggio. Insomma, un lavoretto fatto in casa. E senza stare troppo a preoccuparsi di nascondere le prove o gli indizi, visto che ci sono delle situazioni che gridano vendetta al cielo. 

Cosa significa questo? Certezza dell’impunità: nessuno, cittadini in testa, avrebbe avuto da ridire. Perché ce lo chiede l’Europa. Come spiegare il fatto che solo al secondo turno siano emersi qualcosa come 145.222 voti nulli? Semplice, non lo si spiega. Ma vi rendete conto che, in base a questi numeri e alla base elettorale totale austriaca, il riconteggio in un regime democratico è automatico? E infatti doveva essere così, perché se non ci avete fatto caso, quando lunedì pomeriggio attorno alle 16:40 il ministro dell’Interno austriaco, Wolfgang Sobotka, si è presentato davanti alla stampa per annunciare il risultato, ha letto il foglio che era stato preparato per il riconteggio, avendo dato solo percentuali provvisorie e avendo chiuso secco il suo intervento con la frase: «Il risultato verrà annunciato mercoledì». È tutto certificato dai filmati televisivi, Paola Saluzzi su SkyTg24 aveva la faccia di chi aveva appena visto un fantasma. Insomma, era riconteggio, ma dopo pochi, imbarazzati istanti, ecco che invece si dichiara che Alexander Van der Bellen ha vinto con circa 31mila voti di scarto. Nemmeno in una Repubblica centrafricana succedono cose simili. 

E la reazione dell’Fpo, i famosi nazisti contro cui era stata messa in campo una cortina sanitaria mediatica degna delle SS? Hanno confermato la sconfitta quando ancora Sobotka non aveva parlato, accettando per buone le indiscrezioni di stampa su fonti del ministero dell’Interno – ma guarda un po’ – che davano il verde come vincitore. Ora, ditemi voi: hai perso l’occasione storica di andare al potere per 31mila voti con evidenti brogli e non chiedi nemmeno il riconteggio? E questi sarebbero i pericolosi nazisti, l’ultra-destra da cui l’Europa sia è salvata per “miracolo”? È una colossale presa per i fondelli: fino al referendum sul Brexit del 23 giugno prossimo, nessuno può scomodare il manovratore. 

L’Austria non diventa il Quarto Reich, casualmente l’Eurogruppo garantisce più soldi del previsto alla Grecia e anche l’alleggerimento del debito senza che Schaeuble ponga il veto, l’Italia si vede garantita la stessa flessibilità che ci darà il colpo di grazia con la Legge di stabilità per il 2017, la Germania da qualche tempo è silente su sforamenti e comportamenti non austeri, la Spagna si avvia a una nuova tornata elettorale (26 giugno) già sapendo che non usciranno vincitori e che sarà l’ingovernabilità l’unica certezza, ma il suo spread resta piatto come l’encefalogramma di chi crede che in Austria sia regnata la legalità elettorale. George Orwell non è arrivato ad azzardare tanto, ma ci siamo in pieno: ci hanno lobotomizzato a livello civile e umano, siamo pecore, lasciamo passare elezioni truccate come se nulla fosse, non un giornale che abbia scritto una riga. Ci facciamo togliere diritti ogni giorno senza dire nulla, basta cambiare lo smartphone ogni sei mesi, magari a rate con il credito al consumo. Che brutta fine stiamo facendo, stiamo arrendendoci senza nemmeno combattere. O forse no, qualcuno che ancora la pelle la vende a caro prezzo pare che ci sia in queste ore. 

In Francia, dopo un mese di scontri e centinaia di fermati, il premier Manuel Valls ha dichiarato che «il governo non arretra» di fronte agli scioperi che stanno paralizzando il Paese, con le raffinerie occupate e i distributori di benzina a secco. È guerra senza sosta Oltralpe sulla nuova legge sul lavoro, la versione transalpina del Jobs Act, sindacati e lavoratori non si arrendono a una brutta legislazione imposta dal governo senza passare dal voto del Parlamento: e in Francia non scherzano con gli scioperi, se serve usare le mani, lo fanno. Hanno tutto il mio rispetto e la mia solidarietà, almeno non stringono da soli il cappio che hanno attorno al collo. 

Vi ricordate però cosa scrissi dopo gli attentati di Parigi? Che lo stato di emergenza che Hollande corse a firmare direttamente dallo Stade de France, prima ancora che si compiesse la strage del Bataclan (era casualmente già pronto), serviva per avere mano libera a livello politico e sociale, non per i terroristi. Detto fatto, quando la manifestazioni a Parigi cominciavano a diventare troppe, troppo partecipate e spesso violente, rinnovo dello stato di emergenza e divieto di manifestare in suo ossequio.

Sapete com’è avvenuta questa operazione sul finire della scorsa settimana? Con il voto di 68 parlamentari in aula e 46 voti a favore, il 12% dell’Assemblea. La chiamano democrazia, un po’ come quella austriaca dello scorso weekend. Se i lavoratori delle raffinerie non cederanno, quella legge che garantisce al presidente poteri illimitati, verrà utilizzata per sgomberare forzatamente le fabbriche e tacciare il dissenso a colpi di manganello e idranti. Tanto lo prevede la Costituzione, in cui è stata inserito lo Stato di emergenza: e chi si permette di andare contro la Costituzione, a parte Renzi e Verdini? 

Sapete qual è uno degli slogan più frequenti tra gli scioperanti francesi, sentito con le mie orecchie a France2? Nous ne ferons pas la fin de l’Italie, non faremo la fine dell’Italia. Perché siamo ridotti male? Certamente non siamo messi bene, ma, forse, anche perché abbiamo dei sindacati capaci solo di difendere le rendite di posizione e i privilegi di chi non fa nulla dalla sera alla mattina, mentre i diritti dei lavoratori veri vengono calpestati allegramente, salvo minacciare un’oretta di sciopero, magari al venerdì. Ma la pacchia sta finendo, lo ha certificato ieri l’Istat, che ha parlato di una battuta d’arresto per l’industria italiana, la quale a marzo ha registrato la peggior frenata dall’estate del 2013 con una contrazione del fatturato del 3,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e dell’1,6% su febbraio. In discesa anche gli ordinativi (-3,3%), che però, rispetto all’anno precedente, crescono dello 0,1%: sicuramente Renzi festeggerà questo dato. 

A trainare il crollo è in particolare il comparto delle auto che scende del 6,5%, registrando la prima battuta d’arresto dal dicembre del 2013. Accidenti, abbiamo fatto ponti d’oro a Marchionne – il quale, invece, i ponti con l’Italia a Fca li ha fatti tagliare del tutto – e ora, come succede negli Usa e come vi dico da mesi, va in crisi proprio l’unico settore industriale che aveva tenuto, l’auto, grazie a incentivi di ogni genere che però non possono durare in eterno? 

Per amministrative e referendum state tranquilli: l’Austria insegna. Il conto vero arriverà con la Legge di stabilità per il 2017, quando i soldi e le coperture non ci saranno e allora verremo commissariati ufficialmente.

 

Tratto da: il sussidiario.net