Una delle problematiche emergenti a livello mondiale risulta ad oggi essere quella della presenza di plastiche e microplastiche nell’ambiente marino. L’impatto che le materie plastiche di grandi dimensioni, denominate “macroplastics” possono avere sull’ambiente marino è stato a lungo oggetto di ricerca ambientale. Negli ultimi anni, tuttavia, emerge una crescente preoccupazione relativa all’impatto causato dalle “microplastics” sugli organismi marini.
Nei descrittori che determinano il “Good Environmental Status” oltre ai classici contaminanti ambientali particolare attenzione è stata posta sulle minacce emergenti come la presenza di marine litter (in particolare plastica) e dei loro effetti sull’ambiente marino (Descrittore 10). Gli impatti di questi detriti sul biota e l’ambiente marino sono in gran parte sconosciuti. Tra le diverse via di assunzione, attraverso cui i detriti di plastica possono penetrare all’interno di un organismo, la più comune è senz’altro l’ingestione: ciò è stato documentato in più di 180 specie animali, tra cui uccelli, pesci, tartarughe e mammiferi.
In particolare questa linea di ricerca portata avanti negli ultimi anni dall’Università di Siena ha lo scopo di  indagare il potenziale impatto ecotossicologico delle macroplastiche (>5mm) e microplastiche (<5 mm) ed i derivati della plastica, in vertebrati ed invertebrati marini. In particolate l’attenzione è stata rivolta ad organismi appartenenti a diversi livelli trofici nell’area del mar Mediterraneo: organismi planctonici, pesci, tartarughe marine, uccelli marini e cetacei sia misticeti che odontoceti. L’intento è quello di indagare quali siano le specie marine maggiormente esposte agli effetti di queste sostanze sia a livello meccanico che a livello chimico (ftalati e bisfenolo A), quest’ultimo altamente sottovalutato fino ad oggi. I detriti della plastica, oltre ad adsorbire sulla loro superficie molecole di composti inquinanti idrofobici (PCB, DDT e suoi metaboliti), nei processi di degradazione rilasciano delle sostanze (quali ftalati, bisfenolo A, PBDE, alchilfenoli) che si ritrovano al loro interno sia essendo componenti stessi della plastica, sia in quanto additivi aggiunti durante i processi di lavorazione.
Caratterizzate da dimensioni molto piccole (< 5 mm), le microplastiche possono essere facilmente confuse con il plancton e di conseguenza gli animali planctofagi come mobula, squalo elefante ed i cetacei Misticeti sono soggetti ad un elevato rischio di ingerire tali particelle.

Fonte: Università di Siena