Il sistema di tracciamento delle navi mostra come le imbarcazioni delle Ong facciano la spola tra la Libia e l’Italia

di

Giuseppe De Lorenzo

A volte le immagini parlano più di mille parole. Pensate al caso delle navi delle Ong impegnate nel Mediterraneo nel soccorso dei migranti lasciati alla deriva sui barconi. Fino ad oggi molti avevano sollevato dubbi sulle attività di recupero in mare delle imbarcazioni umanitarie.

Ora quelle perplessità sono sostenute dalle immagini (guarda il video). E dimostrano come i soccorritori vadano a recuperare i migranti a poche miglia dalla costa libica.

L’accusa di Frontex

A settembre l’agenzia Frontex dell’Unione Europea accusò le Organizzazioni Non Governative di essere “colluse” con gli scafisti. L’addebito suonava più o meno così: i trafficanti prima di mettere in mare le imbarcazioni forniscono ai migranti l’esatta posizione delle navi delle missioni (Aquarius, Golfo Azzurro e altre), così da assicurare un rapido ripescaggio. Ovviamente le Ong, a partire da Medici Senza Frontiere fino ad arrivare a Save the Children, risposero piccate affermando che si trattava di una “aggressione politica”.

Il business dei trafficanti

In realtà il tempo ha portato a galla una verità meno rosea di quella delineata dai vertici delle Ong. A febbraio Frontex è tornata alla carica, scrivendo nel rapporto 2017 che di fatto le navi umanitarie “aiutano i criminali a raggiungere i loro obiettivi a costi minimi, rafforzando il loro modello di business“. Le operazioni umanitarie di salvataggio sono schizzate nel corso degli anni: appena 1.450 persone salvate nel 2014 a fronte delle 46.796 anime recuperate nel 2016. I trafficanti insomma preferiscono le missioni alle navi militari. Perché? La mancanza di coordinamento con le autorità Ue e il vizio delle Ong di spingersi anche oltre i limiti delle acque territoriali, secondo l’Europa sono un invito ai trafficanti a mettere in mare sempre più barconi, sempre più carichi e con meno benzina. Tanto – è il ragionamento – poco dopo la partenza i migranti vengono presi in carico dai soccorritori che li portano in Italia. Con l’unico effetto di aumentare i morti in mare.

 Migranti, così i radar in mare incastrano le Ong

Il Giornale a fine febbraio ha rivelato i contatti tra scafisti e organizzazioni umanitarie. È stato proprio uno dei trafficanti, contattato al telefono, a confermare che se vai in Italia dalla Libia “ti vengono a prendere quelli delle missioni”. Non è un caso dunque se ben due procure, sia quella di Cagliari che quella di Palermo, stanno indagando sulle Ong. Non solo. Alcuni hanno più volte sollevato la questione del porto in cui vengono sbarcati i migranti una volta tratti in salvo. Lo scalo “più vicino” non è di certo la Sicilia, né Lampedusa, visto che prima ci sarebbero i pontili della Tunisia o di Malta. Si tratta però di una questione di lana caprina: la convenzione di Amburgo del 1979 obbliga le navi a lasciare i naufraghi in un “luogo sicuro”, che non necessariamente è il porto “più vicino”. E così alla fine i disperati finiscono tutti in Italia. Contenta – si fa per dire – di accoglierli.

Il video di Luca Donadel

Ma torniamo alle immagini. Nei giorni scorsi il blogger Luca Donadel ha realizzato un video sulla sua pagina Facebook e sul canale youtube che già conta due milioni di visualizzazioni e 62mila condivisioni. Un successo. Utilizzando il sistema informatico “Marine Traffic”, Donadel ha tracciato gli spostamenti delle circa 14 navi umanitarie che pattugliano il Mediterraneo, “dimostrando” che vanno a recuperare i migranti a poche miglia dalla costa libica e fanno la spola con la Sicilia. Lo stesso esperimento venne fatto alcuni mesi fa il think tank olandese “Gefira”. Le immagini parlano chiaro: le operazioni di salvataggio avvengono sempre nello stesso punto. Poco lontano da Tripoli. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

 

FONTE