Cancro, nanorobot efficaci contro quattro tipi di tumore. Primi test positivi

Ottenuti ripiegando frammenti di Dna come origami hanno viaggiato nell’organismo e ucciso i tumori per fame, chiudendo i vasi sanguigni che li nutrono. La ricerca è stata pubblicata su Nature Biotechnology

Poco più di un mese fa l’annuncio degli scienziati della Columbi University di aver trovato la chiave per comprendere il meccanismo che alimenta tutti i tumori. Oggi dall’altra parte del mondo arriva la notizia che è stato trovato un modo per “uccidere” quattro tipi di tumore affamandoli. I nanorobot, ottenuti ripiegando frammenti di Dna come origami, hanno viaggiato nell’organismo e ucciso i tumori per fame, chiudendo i vasi sanguigni che li nutrono. I primi test condotti su topi e maiali, nei quali sono state riprodotte le forme umane dei tumori di seno, ovaie, polmoni e pelle, sono positivi come si legge nell’articolo pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology: la ricerca è stata condotta in Cina, nel Centro nazionale per le nanoscienze (Ncnst).

“Abbiamo sviluppato il primo sistema robotico fatto di Dna e completamente autonomo, programmato per una terapia anticancro”, ha detto uno degli autori dello studio, Hao Yan, dell’Università dell’Arizona. Mille volte più piccoli di un capello, i nanorobot fatti di Dna sono stati equipaggiati con un enzima che funziona come un’arma letale contro i tumori perché chiude loro i vasi sanguigni. I test  hanno inoltre dimostrato che la tecnica non ha effetti collaterali.

I nanorobot sono foglietti di Dna delle dimensioni di 90 per 60 milionesimi di millimetro (nanometri), ripiegati su se stessi. Su di essi viene attaccato l’enzima trombina, che induce la formazione di coaguli che chiudono i vasi sanguini del tumore. Così confezionati, i nanorobot sono stati iniettati nei topi, hanno viaggiato nel sangue e hanno riconosciuto le cellule tumorali grazie a una molecola che si lega soltanto a queste. Arrivati a destinazione, i nanorobot hanno liberato l’enzima nel tumore come un cavallo di Troia.

L’articolo su Nature

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