Jean Claude Junker

Non c’è solo lo scenario ipotizzato per il post 4 marzo nel curriculum delle previsioni mancate del presidente della commissione Europea. “Non vorrei vincesse il No”, diceva prima del voto referendario sulla riforma Renzi – Boschi. “Non prendiamo seriamente la possibilità che la Gran Bretagna lasci l’Unione europea”, dichiarava a pochi mesi dalla vittoria del Leave

Tifava al referendum costituzionale italiano, si era affidato al pragmatismo inglese alla vigilia del voto sulla Brexit, confidava sul fatto che gli olandesi, storici commercianti, votassero a favore degli accordi commerciali con l’Ucraina. E invece si è verificato esattamente l’opposto. Ogni volta, in ogni Stato, dal Sud al Nord Europa. Ora lo scenario ipotizzato per il post 4 marzo si aggiunge al curriculum delle previsioni (puntualmente mancate) di Jean Claude Juncker: “Dobbiamo prepararci allo scenario peggiore, cioè un governo non operativo in Italia e una forte reazione dei mercati nella seconda metà di marzo”, ha detto il presidente della commissione Europea mentre il differenziale di rendimento tra i nostri Btp e i Bund tedeschi si allargava a 138 punti (contro i 134 dell’apertura) toccando i massimi dall’inizio di gennaio. In parallelo piazza Affari ha aggravato le perdite segnando un rosso dell’1,3% (nel finale ha recuperato chiudendo a -0,8 per cento). Insomma la reazione negativa dei mercati è stata sollecitata dalle parole di Juncker e non certo dall’esito delle elezioni politiche italiane, previste tra dieci giorni. Un caso di scuola di profezia che si autoavvera.

Il referendum di Renzi: “Non vorrei vincesse il No” – Ma d’altra parte non è la prima volta che le parole dell’ex premier lussemburghese producono effetti completamente opposti da quelli sperati. Per rimanere nel nostro Paese, per esempio, suscitarono scalpore le parole di Juncker alla vigilia del voto sul referendum costituzionale, considerato come “una questione essenziale” per definire l’architettura istituzionale dell’Italia nei prossimi anni. “Non voglio interferire in questo dibattito. Ma che l’Italia debba continuare un processo di riforme è una cosa ovvia. E che Renzi aggredisca i problemi dell’architettura istituzionale mi sembra una cosa buona”, disse in un’intervista alla Stampa prima di lanciare un endorsement netto: “Mi limito a dire che non vorrei vincesse il No“. Come andò a finire la notte del 4 dicembre è cosa nota.

L’accordo commerciale tra Olanda e Ucraina: “Voteranno Sì” – Meno conosciuta, invece, era la profezia del presidente della Commissione Ue sul referendum consultivo varato in Olanda per accordo europeo di libero commercio con l’Ucraina. Il risultato elettorale non era vincolante per il governo dei Paesi Bassi, ma una eventuale vittoria del No avrebbe avuto un evidente imbatto politico in Europa. Anche lì, dunque, Juncker si era premurato di scendere in campo a fare il tifo per il . “Non posso immaginare che l’Olanda, nazione con una tradizione commerciale tanto lunga nel tempo quanto di successo, voglia dire No all’accordo di cooperazione”, dichiarava ai giornali di Amsterdam nei giorni precedenti al 6 aprile del 2016.  Come votarono quindi gli olandesi? Più del 61% optarono per il No agli accordi con l’Ucraina. Esattamente lo scenario che Juncker “non poteva neanche immaginare“.

La Brexit: “Non la consideriamo seriamente” – Parole profetiche, ma al contrario, anche quelle utilizzate nei mesi precedenti alla Brexit. “Se io dicessi che abbiamo un piano B, in qualche modo lascerei intendere la volontà della Commissione di considerare seriamente la possibilità che la Gran Bretagna lasci l’Unione europea. Quindi non entrerò nei dettagli di un piano B, perchè non esiste un piano B. Abbiamo solo un piano A. Sono abbastanza fiducioso che ci sarà un accordo con la Gran Bretagna”, diceva il 16 febbraio del 2016. Otto giorni dopo nuova iniezione di fiducia alla fine dell’incontro con David Cameron. “Credo che il popolo britannico, che ha già dimostrato saggezza nella sua lunga storia, dirà sì all’accordo” con l’Unione Europea. Passavano i mesi, però, e la proverbiale saggezza riconosciuta da Juncker agli inglesi iniziava a vacillare. Il 12 maggio del 2016, dunque, il presidente della commissione Ue si appellava al pragmatismo britannicoperché “l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea sarebbe una catastrofe“. “Non posso escludere – aggiungeva allarmato – che l’uscita della Gran Bretagna potrebbe sollecitare la voglia anche in altri Paesi”.

Il Fassino europeo – Il 16 giugno altro appello agli “amici britannici” di non abbandonare l’Ue perchè altrimenti si sarebbe addirittura aperto un periodo di incertezza nel mondo. “Abbiamo affrontato molte crisi non ne abbiamo bisogno di un’altra”, diceva a pochi giorni dal voto. A 24 ore dall’apertura delle urne ecco l’estremo invito al Remain, condito da un altro immancabile riferimento al pragmatismo: “Spero che i britannici si facciano guidare dal pragmatismo, che è una delle virtù britanniche. E di conseguenza spero che l’uscita del Regno Unito dall’Europa non sia il risultato del referendum. I britannici hanno bisogno della Ue, e la Ue ha bisogno a sua volta del pragmatismo dei britannici”. Evidentemente, però, i sudditi di Sua Maestà non la pensavano allo stesso modo visto che il 51,9% votarono per il Leave. Sarà per questo che, il 29 settembre scorso, alla fine del vertice di Tallin, in Estonia, a  chi gli chiedeva di esprimersi sul referendum per l’indipendenza della Catalogna, Juncker si era limitato a rispondere: “Non abbiamo discusso di questa questione oggi”. L’unico modo per dribblare quella che poteva essere l’ennesima catastrofica previsione. Un record che non ha neanche Piero Fassino.

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