L’ alchimista non deve scoprire qualcosa di nuovo, ma ritrovare un segreto”

Serge Hutin, “L’Alchimie”.

Come sanno bene gli esoteristi, la tradizione alchemica trae principalmente origine dalla casta sacerdotale dell’antico Egitto. Fino ad oggi però l’ancestrale scienza della trasmutazione è stata considerata poco più di una leggenda da tutti gli accademici ortodossi. Ma ciononostante, le associazioni più misteriose, potenti e longeve della storia come la massoneria, oltre a far risalire le origini della propria conoscenza ai costruttori delle piramidi, sembrano avere avuto sempre lo stesso “chiodo fisso”, l’alchimia. Le cattedrali gotiche realizzate dalle logge massoniche esprimono infatti il compimento della “grande opera alchemica” attraverso il linguaggio ermetico e silente della simbologia pagana. E’ forse possibile ipotizzare allora che dietro le mentite spoglie di una leggenda “dura a morire” l’antica casta egizia sia riuscita veramente a tramandare alcuni grandi segreti della fisica ai suoi più stretti discendenti?

L\'alchimia nelle raffigurazioni esoteriche

L’alchimia nelle raffigurazioni esoteriche


La testimonianza di Girolamo Segato

Nessuno fino ad ora è mai riuscito a dimostrare direttamente che la tradizione alchemica abbia avuto qualche fondamento, eppure a ben vedere, la misconosciuta storia di Girolamo Segato (1792-1836) può costituire un importante indizio in tale direzione. L’eclettico cartografo italiano infatti riuscì a produrre le prove che bastano ad acclarare una volta per tutte l’effettivo grado di conoscenza della fisica posseduto dagli antichi egizi. E la sua storia personale può quindi essere intesa metaforicamente come un sentiero tracciato nel regno oscuro dell’alchimia.

Il viaggio in Egitto

Girolamo non era solo un abile disegnatore tecnico e nutriva numerosi interessi eterogenei alla sua professione. Tra questi, occupava un posto speciale la tecnica di imbalsamazione a cui si era dedicato con passione. Fremeva quindi per conoscere la terra dei faraoni e per poter studiare le ben più raffinate tecniche di mummificazione. Partì così per il suo primo viaggio durante il quale vide le rovine dell’obelisco di Eliopoli e disegnò con grande abilità numerosi luoghi e reperti. Un secondo, importante viaggio lo effettuò nel maggio del 1820 aggregandosi ad una spedizione militare diretta nel Sudan Orientale e con l’occasione rimase ad Assuan per un mese. Abbandonata la spedizione, si inoltrò verso la Nubia con destinazione Wadi Halfa, File e quindi Elefantina da dove fece ritorno al Cairo portando con sé alcuni preziosi reperti. Il materiale che aveva recuperato interessò così tanto l’archeologo Enrico Minutoli che quest’ultimo lo convinse a partire il 19 dicembre 1820 per Saqqara dove aveva in programma di visitare la piramide di Abu-Sir. Una volta giunto a destinazione il Segato si fermò per iniziare gli scavi e le rilevazioni previste mentre il suo amico archeologo proseguì verso il Nilo. Ritornato al Cairo, riempì ben 90 casse di reperti archeologici per inviarli a Berlino su incarico del Minutoli dove purtroppo ne arrivarono solo 20 a causa di un naufragio. Ma nonostante la sciagura marittima il materiale superstite fu comunque sufficiente per inaugurare l’apertura di un museo egizio nella capitale germanica. Nei primi anni della sua permanenza in Egitto, Girolamo Segato oltre a preparare mappe, disegni e opere cartografiche si dedicò soprattutto all’archeologia e all’approfondimento della civiltà egiziana.

La clamorosa scoperta

Nel corso del tempo intensificò le sue ricerche sulla cultura egizia riproducendo e descrivendo esattamente l’allora sconosciuto cubito, l’antica unità di misura egizia. Si dedicò inoltre a esperimenti chimici e studi di alchimia utilizzando il laboratorio farmaceutico dei De Rossetti. Esaminò persino la composizione chimica dei colori dei dipinti murali egizi e gli elementi utilizzati nei processi di mummificazione arrivando a scoprire il segreto della pietrificazione dei corpi umani e animali. Realizzò quindi centinaia di esperimenti di pietrificazione perfettamente riusciti i cui reperti sono oggi materialmente visibili da tutti presso la facoltà di medicina dell’Università di Firenze (dipartimento di Anatomia, Istologia e Medicina Legale). Girolamo attirò così la morbosa attenzione degli scienziati ai quali confidò solo di avere appreso l’antica arte da un papiro egizio. Subì allora molte pressioni per rivelare le formule che aveva scoperto ma rimase sempre nel riserbo più assoluto. E qualche tempo dopo avere acquisito una certa notorietà i papiri egizi che custodiva gelosamente finirono bruciate tra le fiamme del suo laboratorio al Cairo in circostanze rimaste poco chiare. I primi riconoscimenti ufficiali sulla tecnica di pietrificazione gli giunsero nel 1835 quando l’Accademia della Valle Tiberina Toscana lo nominò socio corrispondente. Morì a soli 44 anni portandosi nella tomba il segreto del papiro egizio. A 200 anni dalla nascita il comune di Sospirolo gli dedicò un apprezzato convegno dal quale emerse soprattutto il grande contributo che il geniale Girolamo Segato ha dato all’inizio della egittologia moderna (Wolynski Arturo, “Girolamo Segato: viaggiatore, cartografo e chimici”, Stab. Giuseppe Civelli, Roma 1894; Pieri Gino, “Girolamo Segato”, Istituto Veneto di Arti Grafiche, Belluno 1936; Pocchiesa Ivano – Fornaro Mario, “Girolamo Segato esploratore dell’ignoto”, Media Diffusion Ed. Treviso 1992).

Foto di un busto e di una testa pietrificati da Girolamo Segato attualmente custodito all’Università di Firenze

Foto di un busto e di una testa pietrificati da Girolamo Segato attualmente custodito all’Università di Firenze

Foto di un busto e di una testa pietrificati da Girolamo Segato attualmente custodito all’Università di Firenze

Il principe alchimista Raimondo di Sangro

Raimondo di Sangro (Torremaggiore 1710 – Napoli 1771), discendente diretto della stirpe carolingia e gran maestro della setta massonica dei Rosacroce, rimane uno dei più oscuri e controversi personaggi della storia dell’Alchimia. Realizzò infatti numerose invenzioni che lo resero allo stesso tempo famoso ed inquietante. Di alcune di esse abbiamo le prove tangibili mentre di altre solo dei resoconti destinati a rimanere misteriosamente in bilico tra il serio ed il faceto. Stando alle testimonianze dell’epoca sembra infatti che egli sia riuscito a realizzare il “c.d. lume eterno”, un focolare in grado di bruciare per millenni e di cui troviamo menzione nelle antiche tradizioni egizie (citaz. “Iside Svelata”, M. Blavatsky). Di certo invece produsse dei mantelli impermeabili per il re Carlo III di Borbone quando ancora non si conosceva nessun procedimento di impermeabilizzazione. Il Principe insomma, dedicò tutta la sua vita all’antica arte dell’alchimia e il suo palazzo acquistò fama di essere diventato un laboratorio. Alambicchi, forni e provette finirono quindi per riempire tutti gli scantinati della sua sfarzosa dimora, il cui interno è ancora caratterizzato da complementi d’arte davvero unici al mondo. Le statue che fece realizzare hanno dell’incredibile e basta vederle per rendersene conto. Il celebre “Cristo velato” ad esempio sembra essere stato realizzato con la tecnica alchemica della pietrificazione. E pur se l’opera venne regolarmente commissionata allo scultore Giuseppe Sammartino (1720-1793) alcune cose non tornano.

Un particolare del volto del Cristo velato

Un particolare del volto del Cristo velato

Foto del “Cristo velato” del Principe di San Severo

Foto del “Cristo velato” del Principe di San Severo

Ufficialmente infatti, il corpo del Cristo è stato ricavato da un unico blocco, ma osservandolo bene da vicino è possibile intravedere le membra perfettamente scolpite sotto uno strato di marmo talmente sottile da risultare trasparente. Occhi, naso, bocca, mani, piedi e persino le vene del Cristo traspaiono con stupefacente realismo davanti allo sguardo incredulo di chiunque abbia avuto la possibilità di ammirarlo da vicino. Nessuno infatti sa spiegare come sia stato possibile realizzare un’ opera del genere e tutte le ipotesi tradizionali che ci possiamo porre finiscono per dovere fare i conti con l’alchimia. Peraltro non si tratta di un’ opera “solitaria” e a farle buona compagnia ne troviamo almeno altre due di pari impressionante bellezza, la “Statua della Pudicizia ” di Antonio Corradini e la “Statua del disinganno” di Francesco Queirolo .

A sin. una eloquente immagine della statua della pudicizia mentre a destra quella del disinganno, da notare che la rete è completamente in pietra ed è talmente perfetta da apparire reale.

A sin. una eloquente immagi ne della statua della pudicizia mentre a destra quella del disinganno, da notare che la rete è completamente in pietra ed è talmente perfetta da apparire reale.

Ma mentre per la prima ritroviamo la stessa tecnica incredibile utilizzata per il Cristo velato, nella seconda possiamo osservare addirittura una complicatissima rete di pietra avvolgere la statua. Una rete che per giunta sarebbe stata ricavata dall’unico blocco a cui apparterrebbe tutta l’opera. Ma oltre ad non esistere nulla di simile al mondo, basta vedere queste sculture dal vivo o su fotografie ad alta risoluzione, per rendersi conto della loro unicità. Per quanto concerne poi le ipotesi tradizionali sulla loro realizzazione, l’unica cosa certa è che non sono all’altezza del compito di svelarne il mistero. E per tale ragione sono in molti a credere che mentre le statue regolarmente commissionate non abbiano nulla di sorprendente, la rete e i veli delle opere siano state aggiunte dopo con qualche amalgama alchemica sconosciuta. Nella cappella del Principe di S. Severo inoltre, sono conservate le c.d. macchine anatomiche, ovvero dei “manufatti” antropomorfi realmente raccapriccianti. E anche se per la scienza ufficiale (CICAP in testa) si tratterebbe solo di corpi umani eccezionalmente riprodotti, alcuni ricercatori indipendenti riconoscono nei loro dettagli una perfezione tale da generare forti sospetti che in realtà siano veri. Del resto, alcune caratteristiche funzionali sul loro presunto utilizzo medico risultano essere particolarmente inquietanti. Normalmente infatti, i modelli anatomici realizzati per scopi didattici sono dotati di una postura da riposo e di arti mobili. In questo caso invece, gli arti sono rigidi, perfettamente immobili e il braccio destro della donna è addirittura bloccato verso l’alto come se si fosse irrigidito durante l’ultimo spasmo vitale. Entrambe le “macchine anatomiche” presentano inoltre solo lo scheletro e la fitta rete di vasi sanguigni umani perfettamente definiti, cuore compreso. Ma ciò che fa venire i brividi a chi non ha mai creduto alla teoria accademica dei manichini, è la circostanza che la donna (o il fantoccio) presenta una gravidanza in atto, con lo scheletro del povero infante perfettamente visibile. Secondo una interpretazione minoritaria infatti, le c.d. macchine anatomiche non sarebbero altro che un uomo e una donna reali, trattati con qualche tipo di cocktail chimico per via endovenosa mentre erano ancora in vita. Il fluido avrebbe poi “metallizzato” i vasi sanguigni dei due corpi rendendo il materiale biologico umano irriconoscibile alle perizie scientifiche.

Foto delle “ macchine anatomiche” del Principe di San Severo

Foto delle “ macchine anatomiche” del Principe di San Severo

La Fusione Fredda, ovvero, la moderna riscoperta dell’alchimia

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