Più che un pezzo di cronaca, un piagnisteo. Martedì scorso, Ferrucio Sansa – giornalista del quotidiano torinese “La Stampa” – ha versato due-pagine-due di inchiostro all’insegna del magone facile. Commozione a buon mercato, insomma. Così come erano a buon mercato i prodotti – dalla pasta ai telefonini – attorno cui ruotava l’intera storia messa in fila da Sansa. Protagonisti: sei rumeni e una pattuglia di arzilli vecchietti. Tutti finiti – a vario titolo – nel mirino dell’autorità giudiziaria. Ma con un alibi, apparentemente, a prova di bomba.

Andiamo per ordine. Secondo il giornalista de “La Stampa”, in fin dei conti, l’intera vicenda si potrebbe riassumere così. C’era una volta una combriccola di vecchietti genovesi – tutti pensionati; il più giovane un 65enne, il più anziano un 96enne – che ingannava le giornate sulle panchine di Piazza Giuseppe Verdi. Un passatempo innocente. Guastato da una proposta indecente. Un’altra combriccola di sei giovani e dinamici rumeni – anche loro frequentatori della stessa piazza; dotati di mano particolarmente lesta e spiccata intelligenza (im)prenditoriale – si era offerta di andare a fare la spesa al posto degli anziani vicini di panchina. Va da sè, senza pagare. In pratica: i rumeni rubavano in supermercati e grandi magazzini; i vecchietti genovesi, una quindicina in tutto, pagavano la merce con un maxisconto (secondo uno dei clienti, circa metà prezzo). Un vero (mal)affare.

Dirà qualcuno di voi: embè, e le ragioni per commuoversi ‘ndo stanno? Semplice: il tutto è andato avanti per un pezzo in grande allegria. Finchè purtroppo non è intervenuta la polizia. Anzi e per la precisione i carabinieri. Che hanno arrestato alcuni dei manolesta e messo nelle pesti l’allegro gruppetto di vecchietti acquirenti e gaudenti. Che dovrà rispondere di ricettazione (o, nella migliore delle ipotesi, di incauto acquisto). E la ragione della lacrima sta proprio qui: secondo il giornalista de “La Stampa”, gli anziani amanti del piccolo shopping al bazar del parco avevano un alibi perfetto: ricevevano una pensione miserella. Quanto? Uno dei pensionati ha spiegato a Sansa che “con cinquecento euro non arriviamo a fine mese”. Mentre una signora di settant’anni, anche lei con una spiccata propensione per l’hard discount fai da te, si è detta candidamente non proprio pentita, ma almeno preoccupata: “Spero soltanto che non lo venga a sapere la mia famiglia e i vicini”. Già. Perchè – secondo l’aura regola italiaca – si fa, ma non si dice. Sia come sia. Il giornalista de “La Stampa” conclude il suo papiro così:

Chissà come finirà. Nei corridoi del Tribunale, nella caserma dei carabinieri sospirano dispiaciuti quasi quanto gli anziani. Ma la Giustizia è lenta, potrebbe arrivare la prescrizione o magari si potrebbe decidere di non perseguire i pensionati e di limitarsi a segnalarli ai servizi sociali.

Per la serie: speriamo che finiscano tutti prosciolti e contenti. Amen.

Forse: non sarebbe stato male se il giornalista de “La Stampa” avesse verificato se i redditi dei pensionati (e delle loro famiglie) erano davvero così miserelli (perchè se lo ha fatto, non lo ha scritto). E forse: non avrebbe fatto male a concentrarsi un tantino di più su alcuni “acquisti” che gettavano ombre sullo stato di necessità e sulla diciamo così, buona fede, degli anziani. Che oltre a roba mangereccia (salmone compreso), erano riusciti a mettere le mani anche su cellulari e piccoli elettrodomestici. Ma per certo – secondo l’umile opinione di chi scrive – “La Stampa” male non avrebbe fatto a dedicare tanta commozione e contanto fiume di inchiostro (con tanto di richiamo in prima pagina) a un’altra faccenduola. Che riguarda sempre furti e pensioni. E che ha per protagonisti tutti, ma proprio tutti i giovani italiani.

Sempre martedì scorso infatti – nel giorno delle due-pagine-due sull’incauto shopping alla genovese – il ministero del Lavoro ha messo nero su bianco, con tanto di cifre precise, uno dei segreti di pulcinella del nostro sistema previdenziale. A pagare le pensioni di ex manager (o per dirla all’italiana dei dirigenti d’azienda) e ferrovieri (un esercito quest’ultimo composto dall’impressionante numero di 240 mila persone, più del doppio del numero di ferrovieri ancora in servizio) sono i soliti sfigatissimi co.co.co. e co.co.pro. Motivo? Loro – i dirigenti (che prendono mediamente 46mila e 700 euro all’anno di pensione) e i ferrovieri – non hanno contribuito e non contribuiscono abbastanza. E così si pesca nei contributi versati dai precari. Una faccenduola che su “Corriere” ha meritato un articoletto asettico nelle pagine dell’economia (quelle più lontane da prime pagine e titoloni). E cui proprio “La Stampa” – per coincidenza – non ha dedicato nemmeno una riga.

Ma si sa che l’Italia – che ha un presidente della Repubblica (Napolitano, 84 anni), un premier (Berlusconi, 72 anni) e un capo dell’opposizione (Franceschini, 50 anni) che totalizzano in tre più di due secoli di storianon è certo un Paese per giovani. E nemmeno per persone troppo oneste. Come quei vecchietti che magari prendono sempre la pensione minima. Le cose se le vanno a comprare comunque e con fatica al supermercato. E per cui nessuno, in quest’estate torrida, sta versando lacrime. O una goccia di inchiostro.

P.S.
L’articolo di Ferruccio Sansa (“La gang di anziani che ordinava i furti al market”) – per ora e come tutti i pezzi de “La Stampa” che vengono caricati nell’archivio web del giornale solo sette giorni dopo la loro pubblicazione – non è ancora disponibile on line. Caricheremo il link appena possibile.

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