Di

Antonella Randazzo

 

Il resoconto è agghiacciante, specie per chi crede che la Repubblica italiana “ripudia la guerra”. Gli italiani di certo non vogliono la guerra, ma considerando la produzione e l’esportazione di armi si capisce che i loro governanti e un ristretto gruppo di imprenditori non soltanto la vogliono, ma ne ricavano diversi vantaggi.
Quello che leggerete in questo articolo è importante per capire molte cose, e non vi verrà mai detto da fonti mediatiche ufficiali.
Non molti italiani sanno che l’Italia è un Paese che produce molte armi e, anche in tempi di “crisi”, la produzione bellica è più fiorente che mai.
Nel 2009 il governo ha autorizzato le esportazioni di armi per il 61,3% in più rispetto all’anno precedente. Almeno la metà di queste armi sono andate a Paesi che non appartengono alla Nato e all’Ue, come l’Arabia Saudita. Il resoconto è stato fatto dalla Relazione governativa che anticipa il Rapporto sul commercio di armi della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 2010.

Occorre ricordare che l’Arabia Saudita è l’unico Paese al mondo ad avere una monarchia assoluta. Questo significa che parte delle armi vendute a questo Paese dall’Italia andranno a sostegno di una dittatura, e saranno usate contro la stessa popolazione.
Tra le altre cose, nel 2009, il regime saudita ha acquistato un caccia multiruolo Efa Eurofighter, prodotto dall’Italia insieme alla Germania, alla Gran Bretagna e alla Spagna. Altri Paesi che vengono riforniti di armi dall’Italia sono gli Usa, il Marocco, gli Emirati Arabi Uniti, l’India e il Qatar.
Il nostro Paese è anche complice delle aggressioni belliche delle autorità Usa. Nelle numerose basi americane sono partite diverse operazioni di guerra. Tra Pisa, Brescia e Aviano ci sono sul nostro territorio almeno 30 testate atomiche.
Le nostre autorità (di qualsiasi colore politico) non hanno mai messo in discussione  l’occupazione militare statunitense, e accettano anche i molti misteri che circondano alcuni tipi di armi tecnologiche di ultima generazione che sarebbero presenti nel nostro Paese. Il numero esatto delle testate nucleari è conosciuto soltanto dalle autorità statunitensi, e fino a pochi anni fa gli italiani non erano informati nemmeno sulla possibilità che gli Usa avessero portato armi nucleari sul loro territorio. Un accordo, chiamato “Stone Axe” (ascia di pietra), è stato firmato nel 2001, per dare agli Usa pieno potere di utilizzare le bombe portate in Italia.
Altri Paesi europei, come l’Olanda, la Germania, la Norvegia e il Belgio, hanno sul loro territorio testate nucleari americane, ma hanno chiesto la rimozione, mentre in Italia questo non è ancora avvenuto.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, in Europa c’erano ben 7000 bombe atomiche americane. Soltanto in Germania ce n’erano 2750. In Italia si suppone che ce ne fossero altrettante, anche se il numero esatto era sconosciuto.
In Italia esistono almeno due industrie che producono le “closter bomb”, ordigni creati per mutilare e uccidere civili, che sono stati utilizzati dagli anglo-americani in Iraq e in Afghanistan. Le bombe a grappolo sono bombe che si frammentano in centinaia di lame, che tagliano e provocano ferite difficili da curare. In parte esplodono subito, e in parte possono esplodere in seguito a urti o vibrazioni. Queste bombe hanno dilaniato arti a molti bambini in Afghanistan e altri Paesi in guerra. Sono di certo migliaia i bambini afghani e iracheni uccisi o mutilati da questi ordigni che le nostre autorità hanno permesso di produrre e di esportare.
C’è molta vicinanza fra i “signori della guerra” italiani e personaggi importanti dell’establishment americano.
Nel giugno 2003, la Carlyle ha acquistato il 70% di Fiat Avio, la società appartenuta alla famiglia Agnelli che opera nella costruzione di caccia aerei, velivoli da trasporto e componenti missilistiche. Il restante 30% è stato acquistato da Finmeccanica, che è in parte di proprietà del Ministero del Tesoro italiano. Personaggi che hanno fatto parte del governo Usa traggono altissimi profitti dalla Carlyle. Tra questi ci sono James A. Baker III, ex segretario di Stato; Richard G. Barman, ex direttore dell’Office of Management and Budget; e John Sununu, ex segretario generale della Casa Bianca. Nella direzione del Carlyle Group siedono inoltre l’ex premier britannico John Major e l’ex direttore della Banca Mondiale, Afsaneh Masheyekhi. Il principe saudita Al-Waleed Bin Talal, nipote di re Fahd, dispone di una partecipazione indeterminata nei fondi, e George W. Bush, ex presidente degli Stati Uniti, è stato dal 1990 al 1994 membro del consiglio d’amministrazione di Caterair, filiale del Carlyle Group. 
Altri conglomerati finanziari, come Morgan-Chase (della famiglia Rockefeller) e Citigroup sono state oggetto di diverse inchieste, che hanno provato il loro coinvolgimento nel riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti, nel sostegno alle operazioni di guerra e di repressione dei regimi militari più corrotti (ad esempio in Cile, Bolivia, Argentina durante le dittature degli anni ’70 e ’80, nel Nicaragua di Somoza, nelle Filippine di Marcos, ecc.), nelle transazioni di armi pesanti e componenti nucleari e nelle fughe di capitali dai paesi del Sud del mondo verso i maggiori paradisi fiscali. 
Come molti sanno, il patrimonio dei Rothshild è inestimabile, oltre alle banche, posseggono il controllo della maggior parte delle corporations, e anche una lunga lista di società e banche americane e straniere. Fra queste società troviamo anche  la Finmeccanica, che oggi è uno dei più importanti gruppi di produzione bellica.
Il cerchio si chiude: i banchieri hanno bisogno di guerre e si occupano di controllare la produzione di armi.
Purtroppo l’Italia ha una lunga tradizione di produzione bellica. Gli industriali italiani del settore bellico ebbero molti vantaggi dalle guerre coloniali e dalle due guerre mondiali. Ad esempio, la Fiat, che aveva già prodotto molte autovetture per la guerra in Libia (1911-1912), nel 1915 produsse e migliorò molti mezzi di autotrasporto e si specializzò anche nella produzione di mitragliatrici ed esplosivi. Nel periodo gennaio/agosto 1915 ricevette un’ingente massa di ordinazioni militari che gli fruttò almeno 55 milioni di lire (per l’epoca una cifra astronomica).
La legislazione speciale permetterà alla Fiat di sottomettere i lavoratori ad un regime lavorativo militarizzato, in cui gli operai venivano sorvegliati da carabinieri e militari, come fossero carcerati. Scriveva l’Avanti del 22 marzo 1916: "Entrando alla Fiat gli operai devono dimenticare in modo più assoluto di essere uomini per rassegnarsi ad essere considerati come utensili".  Sfruttando i lavoratori, e grazie alla guerra, il capitale sociale della Fiat, da 25 milioni e mezzo del 1914, salì, nel 1918, a 128 milioni.
Anche l’Ilva, che giunse a produrre tre quinti dell’intera produzione nazionale di acciaio, accrebbe a dismisura il suo capitale, che salì a "300 milioni di capitale versato, circa altrettanto di impianti e attrezzature, 200 milioni di partecipazioni e gli addetti al gruppo risultavano in numero di circa 50 mila".  Lo stesso avvenne per altre industrie, come la Terni, l’Ansaldo e la Pirelli. 
Nelle due guerre mondiali, la Fiat produsse moltissime armi ricavando profitti altissimi. Ad esempio, produsse le mitragliatrici e il carro armato più grosso dell’epoca, chiamato “Fiat 2000”. Per la Fiat, le guerre erano affari molto lucrosi.
Nel periodo 2001-2007, l’Italia è stata al 6° posto nel mercato delle esportazioni mondiali di armi. Nel 2008 ricevette commesse per 3700 milioni di dollari, piazzandosi al secondo posto nella classifica di quell’anno.  I Paesi a cui sono state vendute armi sono diversi, fra questi c’è la Turchia, l’India, la Nigeria, l’Australia, la Gran Bretagna e gli Usa.
Ai giovani italiani, lo Stato ha offerto nel 2008 oltre 15.000 posti nell’Esercito, nella Marina e nell’Aeronautica. Gli arruolati sono in gran parte meridionali, dato che proprio al Sud i livelli di disoccupazione giovanile sono altissimi. Per questo sono in aumento i giovani che scelgono la divisa, diventando soldati “professionisti”.
Oggi il gruppo leader nel settore della produzione bellica è Finmeccanica. Nel 2008 questo gruppo ha acquisito il 100% di DRS Technologies, Inc., un’azienda statunitense leader nel settore dei servizi e dei prodotti bellici. Con questa fusione, Finmeccanica ha assunto un’importanza mondiale producendo armi per gli USA, il Regno Unito e altri Paesi esteri. Ovviamente, gli Stati Uniti rappresentano il mercato più grosso nel settore bellico. Neanche a dirlo, gli azionisti di maggioranza di DRS e coloro che hanno finanziato la fusione sono grosse banche del calibro di Goldman Sachs International, Intesa San Paolo S.p.A., Mediobanca-Banca di Credito Finanziario S.p.A. e Gruppo Unicredito.
Attualmente, il Consiglio di Amministrazione di Finmeccanica è controllato da queste banche.
Il gruppo DRS Finmeccanica ha ottenuto commesse di enorme entità. Ad esempio, lo scorso mese ha avuto una commessa del valore di 140 milioni di dollari per la “fornitura di sistemi di visione termici per l’Esercito e la Marina degli Stati Uniti nel contesto del programma PEO Soldier, Project Manager Soldier Sensors and Lasers (PM SSL)”. I nuovi ordinativi entrano a far parte di un contratto di ben 387 milioni di dollari.
Molto denaro viene sottratto alle nostre tasche per alimentare le forniture di guerra. Lo scorso anno, le nostre autorità hanno speso 900 milioni di euro per l’acquisto di 16 elicotteri CH47F "Chinook” dalla AgustaWestland (appartenente sempre al gruppo Finmeccanica). Questa spesa è stata totalmente a carico dei cittadini italiani, anche se i mezzi saranno utilizzati per guerre volute dagli Usa. 
Finmeccanica fornisce armi a moltissimi Paesi in guerra, anche a quelli dove vengono costretti a combattere i bambini e avvengono massacri di innocenti. Nel periodo fra il 1993 e il 1997, l’Italia ha fornito esplosivi e armi leggere alla Sierra Leone e allo Zimbabwe, dove avvenivano violenze inaudite, anche contro civili europei e autoctoni. 
Tutto questo è documentato nella "Relazione sull’export italiano di armi nel 1998", presentata dall’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema nel  1999.
Finmeccanica si occupa anche della produzione di armi nucleari. Il fatto è emerso quando la Norvegia ha dichiarato di non voler investire più in Finmeccanica perché la società risultava coinvolta nella produzione di armi nucleari.
Il The Guardian, ha reso noto che il governo norvegese ha venduto la propria quota di 290 milioni di sterline (423 milioni di euro) in azioni in BAE e altre sei ditte produttrici di armi tra cui la Finmeccanica, che fanno parte del gruppo MBDA (azienda produttrice di missili compartecipata da Finmeccanica, Bae Systems e Eads), avendo appreso che il gruppo stava producendo il missile nucleare aria-terra ASMP-A per conto delle forze armate francesi.
Finmeccanica detiene una quota del 25% nella MBDA, pur sapendo che la produzione di armi nucleari è vietata in Italia. La sporca faccenda è passata sotto silenzio dei media italiani, che invece strombazzano le notizie relative alla “dotazione nucleare” dell’Iran.
La parata militare svoltasi anche quest’anno per “festeggiare” la nostra Repubblica ha un valore ben diverso da quello che i cittadini si rappresentano, perché oggi le nostre strutture militari non si occupano soltanto di “sicurezza”, ma svolgono soprattutto funzioni di forniture belliche e partecipazione e sostegno a guerre di aggressione.
Molti italiani depositano i propri risparmi in banche che ricavano lucrosi profitti sulla morte e distruzione bellica, oppure acquistano azioni di Finmeccanica, senza rendersi conto che stanno sostenendo le persone che rendono possibili le guerre.
I profitti prodotti da Finmeccanica negli ultimi anni sono stratosferici e in ulteriore crescita. Nel 2009 sono stati riconosciuti aumenti pari al 16% rispetto all’anno precedente. Ricordiamo che fanno parte del gruppo Finmeccanica le aziende: AgustaWestland (elicotteri), SELEX, Galileo Avionica, Elsag Datamat, DRS Tecnologies, Vega Group (elettronica per la Difesa e Sicurezza), Alenia Aeronautica, Alenia Aermacchi (aeronautica), Telespazio, Thales (Spazio), Oto Melara, Wass, MBDA (sistemi di Difesa), Ansaldo Energia (Energia), Ansaldo STS, AnsaldoBreda (Trasporti). La produzione bellica è prevalente in queste società, che nei canali ufficiali, eufemisticamente, vengono definite come “società che si occupano di alta tecnologia”, oppure società che operano nel settore della “difesa”.
Alcuni italiani, nonostante la notevole disinformazione su questi temi, si sono accorti di cosa si occupa veramente Finmeccanica e l’hanno definita come “il peggio del peggio del nostro paese”.
Lo scorso anno a Torino, presso gli stabilimenti Fiat Avio di Rivalta e Torino, all’Alenia, alla Moreggia, all’Iveco, si è svolta una manifestazione con striscioni, scritte, sagome che rappresentavano persone uccise dalle armi prodotte da queste fabbriche, e un monumento in memoria delle vittime dei bombardamenti di tutte le guerre. Uno striscione diceva "Nessuna pace per i mercanti di morte!".
La Fiat Avio si occupa di costruzione di velivoli ed elicotteri militari. Fra quelli costruiti troviamo i principali caccia europei, come "Typhoon" e "Tornado". Anche l’Alenia fornisce aerei militari, come l’Eurofighter Thypoon e  AMX. La Moreggia si occupa di comandi volo, porte esterne ed interne di aereo e rotori per elicotteri da guerra. L’Iveco produce veicoli per scopi militari, come il Light Multi Role Vehicle (LMV).
La manifestazione aveva lo scopo di denunciare che il Piemonte ha una lunga e “ricca” tradizione nel settore della produzione bellica e, in particolare, di quella aerospaziale. Il messaggio era che, se davvero la Repubblica italiana “ripudia la guerra”, come vuole la nostra Costituzione, occorre impedire che continuino ad esistere fabbriche che rendono possibile la guerra e permettono l’uccisione o la mutilazione di migliaia di persone.
Il 22 giugno scorso è stata organizzata una manifestazione di protesta a Roma, presso la sede della Finmeccanica, in Piazza Monte Grappa. I manifestanti hanno denunciato che
“Finmeccanica, la holding industrial – militare italiana, numero tre al mondo per giro di affari e fatturato, controllata dallo Stato. Associazione a delinquere, riciclaggio, corruzione, evasione fiscale, fondi neri: queste le ipotesi di reato in cui sono coinvolti amministratori delegati, funzionari pubblici, ex senatori, affaristi fascisti e naturalmente anche uomini dei servizi segreti. Questa è la parte del paese che il ministro Frattini difende chiamando nemici dell’Italia coloro che attaccano Finmeccanica! E’ una impressione raccapricciante osservare che mentre si licenzia, aumenta la precarietà, si tagliano gli stipendi, le pensioni, i servizi sociali, la sanità, la produzione delle armi ignora la crisi, e il connubio finanza e armamenti registra profitti crescenti anno dopo anno. Chiediamo alla magistratura di andare fino in fondo nelle indagini in corso perché è lecito pensare che i conti all’estero di Finmeccanica e i fondi neri possano servire a finanziare la lobby trasversale che sostiene la guerra, le missioni militari e il commercio di armi nel nostro Paese. Sciogliamo Finmeccanica! Trasferiamo le capacità tecniche e il personale al corpo dei vigili del fuoco il cui organico è tra i più carenti in Europa in rapporto alla popolazione.”
Purtroppo, finché le nostre autorità saranno suddite del potere anglo-americano, gli italiani saranno coinvolti nelle guerre per proteggere il potere e dovranno persino pagare di tasca loro per la partecipazione a queste guerre e per la produzione di armi che servono ad aggredire o a massacrare altri popoli.
Tutto questo finirà quando gli italiani alzeranno la testa e non accetteranno più il controllo coloniale di chi fa della guerra il proprio business e uno strumento per continuare ad imperare.

Link

Note
1  Brisard Jean-Charles, Dasquié Guillaume, La verità negata. Una voce fuori dal coro racconta il ruolo della finanza internazionale nella vicenda Bin Laden, Marco Tropea Editore, Milano, 2002, p. 180.
2  Henry J. S., Banqueros y Lavadólares, Tercer Mundo Editores, Bogotá, 1996.
3  Castronovo Vittorio, Giovanni Agnelli, Einaudi, Torino 1977, p. 81.
4  Porosini Giorgio, Il capitalismo nella prima guerra mondiale, La Nuova Italia, Firenze 1975.
5  http://www.governo.it/Presidenza/UCPMA/rapporto_2008.html
6 http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o17866
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