DI

PAUL KRUGMAN
nytimes.com

 

 

 

 

 

 

 

A Parigi, i sostenitori di Francois Hollande brindano per i risultati delle elezioni presidenziali. I festeggiamenti sono andati avanti per tutta la notte a Place de la Bastille, la piazza icona della Rivoluzione francese. Monsieur Hollande ha detto : ‘L’austerità non può più essere inevitabile.’
I francesi hanno reagito. I Greci, anche. E’ questo il momento.
In entrambi i paesi si sono tenute le elezioni domenica scorsa ma, in effetti, valevano come un referendum sull’attuale strategia economica europea, e in entrambi i paesi gli elettori hanno fatto due volte pollice verso. Non si può prevedere quanto ci vorrà perché questi voti portino dei concreti cambiamenti nella politica attuale, ma il tempo sta già finendo per quella strategia che vuole una ripresa con l’austerità – e questa è una buona cosa.
Inutile dire, che nel periodo pre-elettorale si sono dette le solite mezze verità. In realtà è stato piuttosto divertente vedere gli apostoli dell’ortodossia che cercavano di ritrarre il prudente, mite François Hollande come una figura minacciosa. E’ un tipo "piuttosto pericoloso", ha scritto The Economist, che ha osservato che " E’ uno che crede veramente nella necessità di creare una società più giusta." Quelle horreur!
Ciò che è vero è che la vittoria di Mr. Hollande significa la fine del "Merkozy", l’asse franco-tedesco che negli ultimi due anni ha imposto il regime di austerità.. Questo sarebbe stato uno sviluppo "pericoloso" se questa strategia avesse funzionato, o addirittura avesse avuto una ragionevole possibilità di funzionare. Ma non è, e non deve essere così, adesso è ora di andare avanti. Gli elettori europei, si scopre, sono stati più saggi delle menti migliori e più brillanti di tutto il Continente.
Cosa c’è di sbagliato nel prescrivere tagli alla spesa, come rimedio per i mali dell’Europa? Una risposta è che non esiste una “fata della fiducia” quella, cioè, che convince che i governi che tagliano la spesa pubblica spingono consumatori e imprese a spender di più, tanto che l’esperienza degli ultimi due anni ha profondamente sconfessato questa scelta. Quindi tagli alla spesa in un’economia depressa possono solo rendere la depressione più profonda.
Inoltre, sembra che ci sia ben poco o nessun guadagno per tanto strazio. Si consideri il caso dell’Irlanda, che è stata un paese obbediente in questa crisi, imponendo misure di austerità sempre più severe nel tentativo di riconquistare il favore dei mercati obbligazionari. Secondo l’ortodossia dominante, questi mezzi dovrebbero funzionare. Infatti, la volontà di credere è tanto forte che tutta l’élite politica europea continua a dichiarare che l’austerità irlandese ha veramente funzionato e che l’economia irlandese ha cominciato a riprendersi.
Ma non è così. E anche se non potrai mai saperlo da quello che dice la stampa, i costi per il debito irlandese restano molto più alti rispetto a quelli di Spagna o Italia, per non parlare della Germania. Quindi quali sono le alternative?
Una risposta – una risposta che ha più senso che quanto quasi nessuno in Europa è disposto ad ammettere – sarebbe quella di spaccare l’euro, la moneta comune europea. L’Europa non sarebbe in queste condizioni se la Grecia avesse ancora la sua dracma, la Spagna la peseta, l’Irlanda il suo punt ( la sterlina irlandese), e così via, perché la Grecia e la Spagna avrebbero avuto quello che oggi manca: un modo rapido per ristabilire la competitività dei costi e per sostenere le esportazioni, in poche parole la “svalutazione”.
Come caso opposto della triste storia dell’Irlanda, prendiamo il caso dell’Islanda, che era sotto-zero per la crisi finanziaria, ma che è stata in grado di rispondere con la svalutazione della sua moneta, la corona (ed ha avuto anche il coraggio di lasciar fallire le banche e dichiarare default per il debito pubblico). Sembra chiaro che l’Islanda ha messo in moto il tipo di ripresa che avrebbe dovuto fare anche l’Irlanda, ma che non ha fatto.
Una divisone dell’euro sarebbe un’azione di grave disturbo, e rappresenterebbe una sconfitta enorme per il "progetto europeo", per lo sforzo di lungo periodo per promuovere la pace e la democrazia attraverso una più stretta integrazione. C’è un altro modo? Sì, c’è – ed i tedeschi hanno mostrato come questo modo può funzionare. Purtroppo, non hanno capito niente di quello che è successo alla loro economia.
Se parliamo con un opinionista tedesco sulla crisi dell’euro, gli farà piacere sottolineare che la loro economia era in stallo nei primi anni dello scorso decennio, ma che è riuscita a riprendersi. Quello che non gli farà piacere riconoscere è che questa ripresa è stata trainata dalla comparsa di un enorme surplus generato dal commercio tedesco con altri paesi europei – in particolare, con i paesi ora in crisi, che erano in pieno boom, e che avevano tassi di inflazione più alti del normale, grazie ai bassi tassi d’interesse.
I paesi europei in crisi potrebbero essere in grado di uguagliare il successo della Germania, se vivessero in una condizione economica altrettanto favorevole – cioè, se questa volta fosse il resto dell’Europa e, specialmente la Germania, che attraversassero un periodo di boom inflazionistico.
Così l’esperienza della Germania non è, come i tedeschi credono, un motivo per applicare l’austerità solo nel Sud dell’Europa ma è una circostanza che coinvolge molto tutte le politiche di crescita, anche altrove, ed in particolare per la Banca Centrale Europea che dovrebbe abbandonare la sua ossessione per l’inflazione e per la crescita.
Ai tedeschi, manco a dirlo, non piace questa conclusione, né piace alla leadership della Banca Centrale. Si aggrappano alle loro fantasie di prosperità che si può raggiungere soffrendo, ed insistono sul fatto che continuare con la loro strategia perdente sia l’unica cosa responsabile da fare. Ma sembra che non potranno contare più sul sostegno incondizionato dall’Eliseo.
E che, ci crediate o no, vuol dire che sia l’euro che il progetto europeo ora hanno una migliore possibilità di sopravvivere di quella che avevano fino a pochi giorni fa.
Paul Krugman è professore di Economia e affari internazionali alla Princeton University e columnist per The New York Times. Krugman ha vinto, nel 2008, il Premio Nobel per l’economia. È autore di numerosi libri, tra cui The Conscience of A Liberal, The Return of Depression Economics e il più recente End This Depression Now!.

Fonte: www.nytimes.com
Link: http://www.nytimes.com/2012/05/07/opinion/krugman-those-revolting-europeans.html?_r=1
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ERNESTO CELESTINI