I ‘tuttofare’ della Casta ora sono senza stipendio: ‘Siamo diventati carta straccia’

di

Marco Pizzuti

Come giusto che sia, in tempo di “spending review”, i milioni di euro pagati dalla Camera dei Deputati all’imprenditore romano Sergio Scarpellini per l’affitto dei palazzi Marini hanno riscosso notevole attenzione da parte dei media. La questione è infatti divenuta presto di dominio pubblico con l’appellativo dei “palazzi d’oro”. Di certo andava fatto qualcosa per tagliare le spese eccessive come ad esempio lasciare i palazzi, acquistarne la proprietà a prezzo di mercato o pretendere un ribasso dei prezzi sugli affitti. Ognuna di queste 3 soluzioni sarebbe stata una buona iniziativa per le casse dello Stato e un buon esempio per i cittadini se avesse tenuto conto del fatto, che all’interno di quei palazzi lavorano anche 426 operai (con diverse qualifiche, da commesso a manutentore o addetto delle pulizie) di alta rappresentanza a bassissimo costo (da 800 a 1100 euro al mese). Nessuno però è sceso in campo per tutelare questi dipendenti privati che svolgono le stesse identiche mansioni dei dipendenti pubblici alla Camera con la sola differenza che mentre i primi prendono stipendi da fame, i secondi percepiscono ancora degli scandalosi stipendi d’oro.

In tutta questa faccenda insomma, c’è molta ipocrisia perché come al solito, a rimetterci seriamente è solo l’anello più debole della catena, “i cugini poveri della Camera”, ovvero quegli operai della Milano 90 che si sono visti mettere improvvisamente per strada dalla decisione di recesso anticipato dagli affitti. Peraltro, se andiamo a fare seriamente due conti, ci accorgiamo subito che lo Stato, pur avendo pagato degli affitti milionari, ha risparmiato notevolmente sul personale poiché se avesse dovuto assumere 426 dipendenti pubblici della Camera al costo attuale dei loro stipendi d’oro per 16 anni consecutivi, avrebbe avuto un risparmio di “Maria calzetta”. Anche Sergio Scarpellini, il noto imprenditore romano finito su tutti i giornali per questa vicenda, è in realtà solo l’ennesimo capro espiatorio poichè l’unica vera responsabile dei contratti d’affitto con la Camera è la classe politica, visto che si tratta di contratti che Scarpellini (uno che di mestiere fa l’imprenditore e non l’amministratore dello Stato) non poteva certo firmarsi da solo.

I deputati 5 stelle (ed in particolare l’on. Fraccaro) promotori del provvedimento legislativo che consente la rescissione anticipata del contratto con la Milano 90, avevano promesso a suo tempo di pensare anche al problema occupazionale dei dipendenti privati low cost della Camera, ma fino ad ora non hanno mai aperto nessun tavolo di trattativa per cercare di trovare una soluzione concreta alternativa al licenziamento. Fermo restando che nessuno ha la “bacchetta magica”, il loro silenzio sulla vicenda pesa come un macigno perché se da una parte si sono giustamente presi l’onore di avere diminuito i costi della Camera, dall’altra non si sono assunti anche l’onere di mantenere la promessa di salvaguardare i 426 posti di lavoro distrutti.   

A seguire l’articolo del Fatto Quotidiano

I ‘tuttofare’ della Casta ora sono senza stipendio: ‘Siamo diventati carta straccia’

di

Giuseppe Alberto Falci

I palazzi per i deputati “messi a disposizione” dal costruttore Scarpellini, finanziatore dei partiti, comprendevano anche più di 400 lavoratori con contratto di tipo “turistico alberghiero” a tempo indeterminato (con retribuzioni tra 800 e 1100 euro). Ora la politica se ne va, i dipendenti restano senza lavoro: e occupano gli immobili

Sono i tuttofare della “casta” e dal 13 di gennaio non avranno più un lavoro. Nessuno ne parla perché non è politically correct difenderli, ma fino all’altro ieri, raccontano, “ci sfruttavano manco fossimo stati dei luridi camerieri”. Quando nel lontano ’97, senza un bando pubblico, il romano Sergio Scarpellini – costruttore, allevatore, e, soprattutto finanziatore di partiti di destra e sinistra per 650mila euro negli ultimi tredici anni – mise a disposizione della politica una serie di palazzi nelle vie limitrofe aMontecitorio alla modica cifra di 48 milioni di euro l’anno, la politica acconsentì senza batter ciglio. Il pacchetto del costruttore offriva anche più di 400 dipendenti con contratto di tipo “turistico alberghiero” a tempo indeterminato (con retribuzioni che oscillavano dagli 800 ai 1100 euro), personale che in estrema sintesi avrebbe dovuto svolgere la mansione di “tuttofare dei palazzi”. Personale che, a detta di chi conosce la storia di quegli anni, “fu inserito dalla politica: ci sono lontani parenti di deputati figli di commessi, e anche nipoti di assistenti parlamentari”.

Ma in questo caso il sacrificio viene riservato all’anello debole della catena. Ed ecco che la terza vertenza in Italia per numero di lavoratori (426 coinvolti), la prima nel Lazio, ha il sapore sì di “casta”, ma investe i 426 dipendenti della Milano ’90 (azienda di Sergio Scarpellini), oggi in mobilità, senza alcuna prospettiva, e senza alcuno stipendio dal mese di ottobre. “Loro – inveisce contro chi decide la loro sorte Francesca, donna di mezza età, e dipendente della Milano ’90 – hanno la responsabilità di 426 famiglie. Noi siamo operai, non pretendiamo gli stipendi dei commessi parlamentari, siamo semplicemente alta rappresentanza a basso costo. Il 13 gennaio saremo a spasso, e non avremo più un lavoro”.

“Esasperati” da una trattativa che non porterà a nulla, i dipendenti della Milano ’90 da giorni in assemblea permanente si aggirano in “borghese” nei corridoi di Palazzo Marini, edificio che da anni ospita i gruppi parlamentari di Montecitorio. Sono gli ultimi giorni perché una delibera dell’Ufficio di presidenza della Camera ha messo a verbale che dal 17 novembre era necessario iniziare a liberare le 405 stanze occupate dai deputati a palazzo Marini. Una smobilitazione figlia di un emendamento di Riccardo Fraccaro (M5s) contro gli affitti d’oro, che di fatto ha consentito al Parlamento di rescindere i contratti con il palazzinaro Sergio Scarpellini. Per i 426 lavoratori senza prospettive di riassorbimento soltanto 750 euro di indennità per resistere altri otto mesi. Poi, si vedrà.

Nell’attesa i pochissimi deputati che frequentano palazzo Marini, e che si trovano lì per chiudere gli ultimi scatoloni, scansano ed evitano i “finti commessi”, i camerieri di quello che un tempo fu un albergo (Palazzo Marini). Emblematica la scena di alcuni giorni fa al quinto piano del Palazzo. Mentre cinque dipendenti della Milano ’90 raccontano la vertenza al cronista si scorge la sagoma di Rocco Buttiglione. Il quale con molta nonchalance passa in mezzo ai dipendenti senza proferire parola, e, soprattutto, senza nemmeno un accenno di saluto. “Siamo stati considerati fin quando c’hanno sfruttato come facchini, come tuttofare di un sistema marcio. Oggi siamo carta straccia da gettare in un cestino”, sbotta un quarantenne che si riserva di svelare il nome. E anche quando “abbiamo sfilato davanti a Montecitorio gli unici che si sono affacciati sono stati Marco Miccoli del Pd e Matteo Salvini. Gli altri ci scansano o ci prendono per il culo. E persino la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha fatto orecchie da mercante alla richiesta di un incontro”.

L’esasperazione li porta a denunciare sprechi su sprechi che si sono consumati nel corso di quasi venti anni. O come quando sono stati gettati nei cassetti dell’immondizia decine e decine di computer che “avrebbero potuto dare alla scuola di mia figlia, dove i ragazzi sono costretti a portarsi la carta igienica da casa”. Sprechi su cui oggi si appellano i dipendenti della Milano ’90 per salvare il posto di lavoro. Assicura il questore Stefano Dambruoso, che partecipa al tavolo delle trattativa: “E’ vero che è  la terza vertenza in Italia. Ma non può essere risolta da Scarpellini che ha interesse a guadagnarci. Deve essere estesa ai tavoli di discussione della regione. Stiamo facendo tutti gli sforzi per risolvere il problema occupazionale”.