Esperimento riuscito all’università di Cambridge, in Inghilterra. Darà informazioni importanti su condizioni come, per esempio, la Sindrome di Down e sui motivi per cui molti embrioni «falliscono» prima di riuscire a impiantarsi nell’utero
di
Luigi Rigamonti
Ottenuto il primo “embrione artificiale” di topo? Quasi. Magdalena Zernicka-Goetz, dell’università inglese di Cambridge, è riuscita a “mimare” il processo di formazione dell’embrione di un topo in laboratorio. Il risultato è stato pubblicato sulla rivista Science. La struttura è stata ottenuta a partire da cellule staminali che si sono assemblate dando origine a una formazione tridimensionale simile a un embrione naturale. Lo studio dovrebbe aiutare a comprendere l’origine di molte malattie legate alle fasi iniziali dello sviluppo e a ridurre i test condotti sugli animali.
L’esperimento
Magdalena Zernicka-Goetz ha utilizzato sia le cellule staminali embrionali che danno origine agli organi sia quelle che formano le strutture esterne all’embrione, come la placenta. L’esperimento riproduce le fasi dello sviluppo di un embrione e lo fa per la prima volta in una struttura tridimensionale. L’embrione, ha specificato la ricercatrice, di origine polacca, «Ha regioni anatomicamente corrette, che si sviluppano al posto giusto nel momento giusto». Confrontato con un embrione normale, quello artificiale ha mostrato di seguire lo stesso andamento nello sviluppo e di essere completo sotto tutti gli aspetti, compresa la formazione delle cellule germinali destinate a diventare ovuli e spermatozoi e quella della cavità amniotica nella quale l’embrione si sviluppa.
Il significato
«Si tratta di un risultato molto importante» spiega Manuela Monti, ricercatrice presso il Centro di Medicina rigenerativa dell’Irccs San Matteo di Pavia, che ha lavorato a lungo con l’autrice dello studio all’istituto Gurdon di Cambridge. «Perché per la prima volta permette di analizzare le primissime fasi dello sviluppo embrionale, che , in teoria, come modello, possono essere translate nell’umano e questo potrà aiutare a capire in futuro perché una buona parte degli embrioni normalmente si arrestano nello sviluppo prima dell’impianto in utero».
«L’aspetto straordinario dal punto di vista tecnico di questo esperimento» prosegue l’esperta, «è l’intuizione di avvalersi di una struttura tridimensionale in cui sospendere le cellule. Perché questo ci dà informazioni sulla distribuzione spaziale di tali cellule in questa fase. È proprio questo tipo di informazione posizionale che ci potrà aiutare a capire, per esempio, come insorgono determinate condizioni legate a anomalie di segregazione dei cromosomi, come per esempio la sindrome di Down» chiarisce la biologa pavese. «L’altro risultato notevolissimo ottenuto da Magdalena Zernicka-Goetz è stato quello di aver capito, sempre grazie alla struttura tridimensionale, dove si formano le cellule germinali, e questo è importante perché permette di vedere qual è la gerarchia dei fattori che si “accedono” per la differenziazione di tali cellule»
Niente uomo artificiale
È il primo passo verso l’embrione artificiale umano? «No, nessun uomo artificiale, categoricamente no» replica Manuela Monti. «È solo pura biologia. Il resto sono solo speculazioni da fantascienza . La formazione di un feto è cosa ben più complessa di questa e troppo complicata: non possiamo e non vogliamo farlo».