di

Gianluca Freda

“Bellissima, bellissima! Una magnifica desolazione!”

(Buzz Aldrin a Houston, dopo il suo “primo passo sulla Luna”)

Una delle cose che più mi diverte leggere su internet sono i battibecchi tra complottisti e anticomplottisti riguardanti le missioni lunari del programma Apollo. Si tratta di una materia su cui, come è noto, non sono neutrale. Essendo un complottista dichiarato, io so (non “penso”, “ritengo” o “opino”: so) che le missioni Apollo sono state la più colossale presa per i fondelli mediatica per teleutenti storditi che mai si sia vista sullo schermo, seconda soltanto alla grande produzione dell’11 settembre, ricca di effetti speciali di gran lunga migliori. Probabilmente si è trattato di una sorta di prova del fuoco generale. I progettisti delle psyop mediatiche si sono detti: vediamo un po’ quanto sono coglioni gli utenti della TV, se si bevono le passeggiate sulla Luna possiamo raccontargli di tutto. Ce le siamo bevute alla stragrande – uso il plurale perché per lunghi anni ci ho creduto anch’io – e infatti da allora in poi ci hanno raccontato di tutto. Non esiste limite alla quantità di cazzate con cui hanno letteralmente ridefinito il nostro habitat mentale. Ancora oggi la maggioranza della popolazione terrestre è convinta che si possa andare sulla luna con un trabiccolo di cartone e domopak e due tutine refrigerate non si sa bene come. La fede e la gratitudine verso coloro che per primi ci hanno trattati da citrulli bovini quali siamo è tale che ancora oggi esistono individui, come il noto Paolo Attivissimo, che si recano festanti a intervistare Buzz Aldrin, uno dei primi artefici del nostro crudele dileggio. Attivissimo era l’uomo adatto a questo compito: chiunque altro, infatti, avrebbe posto ad Aldrin delle domande, il che in un’intervista sarebbe stato sconveniente. Invece, il decano degli anticomplottisti italiani, su suggerimento dei suoi degni lettori, si è limitato a produrre delle affermazioni. Lei ha fatto la storia! Lei è come Colombo, Cook, Lewis e Clark (Kent?)! Come dev’essere bella la realtà del nostro mondo vista da lassù (per chi non la vede neanche da quaggiù il complesso d’inferiorità dev’essere terribile)! E tante altre innocue e divertenti riverenze. Nel suo resoconto Attivissimo narra, con struggente tristezza, che la maggior parte dei giornalisti, quando Aldrin ha iniziato la conferenza, hanno alzato le chiappe e sono andati via dalla sala. Il meccanismo del bipensiero orwelliano, ahimé, è una brutta bestia. Garantisce l’acquiescenza supina alle fregnacce, non necessariamente l’attrazione verso di esse.

In questo articolo non esporrò i motivi che mi hanno condotto a divenire consapevole della grande fregnaccia lunare. Molti altri lo hanno già fatto con successo, con considerazioni tecniche e piuttosto approfondite. Anch’io l’ho fatto in passato, con osservazioni ben più ruspanti, che sono le preferite e le più convincenti per una mente semplice come la mia. Ma non voglio aprire l’ennesima discussione sull’argomento. Mi vergogno troppo a discutere di certe ovvietà. Del resto, perché dovrei farlo? Se un tale è capace di guardare le foto lunari della NASA e non ridere, non vedo in che modo potrei aiutarlo. Il senso dell’umorismo è una dote innata, se non lo possiedi è inutile seguire corsi accelerati.

Devo dire tuttavia che i debunker che strepitano su questo argomento nel tentativo di ripristinarne la dogmaticità, per quanto fastidiosamente rumorosi, sono una specie antropologicamente interessante. Essi si dividono in due grandi categorie. La prima, che io chiamo dei “furenti”, è quella di coloro che nel replicare alle tue affermazioni iniziano con una risata (“hahahahaha!”), proseguono ponendoti disumanamente di fronte alla tua abissale insipienza scientifica (“Sei forse laureato in astrofisica? Hai mai pubblicato un articolo su Science? No? E allora cosa vuoi saperne?”) e concludono con l’invito a dedicarti ad attività più consone alle tue competenze, come il collezionismo di scarabei o l’alimentazione dei piccoli felini. Rivolgo un appello alle persone di buon cuore: questa gente ha bisogno di aiuto. E’ già preoccupante che un individuo rida mentre si esprime, ma individui che ridono per iscritto dovrebbero avere diritto ad un’apposita raccolta Telethon a favore della categoria. A ciò si aggiunga che la desolazione sintattica e grammaticale presente nelle loro invettive denota spesso condizioni di dislessia e disgrafia estremamente gravi. Questo getta un’ombra sinistra sulla loro richiesta di qualifiche accademiche: qualora mi decidessi a scrivere saggi per Science, come potrei mai riuscire a far loro leggere anche soltanto il titolo dei miei articoli?

La seconda categoria anticomplottista, che amo definire dei “dotti”, è quella di coloro che controbattono alle tue affermazioni sciorinando una cultura fisico-scientifica enciclopedica. Da costoro imparo sempre un sacco di cose: essi disquisiscono, con profonda competenza, di ambienti a gravità ridotta, di riflettori laser, di radiazioni ionizzanti, di moti inerziali, di magnetosfere, di attriti statici e dinamici e di tante altre cose di straordinario interesse. La cosa, purtroppo, rattristante è che tanto genio scientifico vada sperperato nel tentativo di giustificare fotografie della NASA come quella qui sotto (AS11-40-5922), in cui compare un modulo lunare visibilmente composto di carta da pacchi, mazze di scopa e tendine da monolocale, tenuti insieme da abbondante scotch.

Ciò dà luogo a discussioni surreali, del tipo:

“Come spieghi che in questa foto il modulo lunare sia fatto di mazze di scopa?”

“Devi considerare che il modulo utilizza combustibile ipergolico, che genera un’accensione spontanea attraverso il semplice contatto col comburente. Non è dunque necessario alcun meccanismo di accensione e ciò ha consentito di dismettere le pompe di alimentazione, che avrebbero rischiato di andare in avaria”.

“Va bene, ma come mai il modulo è fatto di mazze di scopa?”.

“Ciò dipende dalla diversa massa dei propellenti utilizzati, che erano stati distribuiti nei due serbatoi per consentire una ripartizione simmetrica del peso, il che consente di variare la direzione della spinta fino a un massimo di 6 gradi rispetto all’ asse verticale, mentre la forza può essere regolata in un intervallo compreso tra i 4,7 e 43,9. Nella foto puoi vedere i quattro gruppi motore adibiti al controllo dell’assetto, i sistemi di regolazione termica e le antenne per le comunicazioni in banda S, in speciale lega d’alluminio.

“Ma io vedo solo delle mazze di scopa…!”

“Purtroppo la tua scarsa preparazione scientifica ti impedisce di capire che il modulo possedeva una spinta RCS di 16×440 N, era dotato di propellente N2O4/UDMH, con impulso specifico Isp pari a 290 s (2.84 kN•s/kg), una spinta in ascesa di 16 kN e due batterie elettriche da 28-32V e 296 A-h, 56.7 kg ognuna. Ti è più chiaro adesso?”.

“No! E’ fatto di cartacce e mazze di scopa!”

“Scusami, adesso devo andare a preparare la mia tesi sul decadimento dei bosoni di Higgs in leptoni tau. Alla prossima, e studia un po’, mi raccomando”.

La medesima slavina di techno-babble la si ottiene provando a far notare altre banali disattenzioni della regia, come questo filmato in cui il riverbero dei riflettori tradisce penosamente i fili a cui gli “astronauti” sono appesi (quelli che consentono loro di eseguire quei zompi mirabolanti); oppure le molte foto come quella qui sotto, nelle quali, sul retro del fondale nero, compare spettrale e rivelatrice la sagoma dell’enorme sfera (poi servita per realizzare una copia in scala della superficie lunare, usata per filmare gli “allunaggi”) che si trovava nello stesso capannone CIA in cui sono state scattate le foto della “più grande impresa dell’uomo” (in un certo senso lo è stata davvero).

Non credo che esista una metafora migliore per definire tanto le missioni lunari quanto la realtà stessa in cui i media ci costringono a vivere: un desolato scenario di cartapesta dietro al quale si scorgono mostruose, colossali, le palle di regime che la maggior parte della gente non osa guardare per paura di veder collassare il proprio habitat psichico.

Tutto questo mi porta a diversi tipi di considerazioni. La prima, più ovvia e più triste, è che aveva perfettamente ragione Tony Lentz (vedi articolo postato l’altroieri) quando nel 1981 affermava: “Permettere a noi stessi di essere influenzati dalle sottili ma potenti illusioni presentate dalla televisione conduce ad una sorta di follia di massa che potrebbe avere implicazioni piuttosto spaventose per il futuro della nazione… Inizieremo a vedere cose che non esistono, daremo a qualcun altro il potere di creare per noi le nostre illusioni”. E aveva altrettanto ragione Hal Becker, cinico manager della Futures Group, quando affermava nello stesso anno: “Mettete qualsiasi cosa in televisione ed essa diventa realtà. E se il mondo esterno alla TV contraddice le immagini, la gente inizierà a modificare il mondo per adeguarlo alle immagini della TV”. La maggior parte dell’umanità è imprigionata, da quando esistono i mezzi di comunicazione di massa, in un set cinematografico angusto e asfissiante, in cui la complessità del mondo è ridotta ad una piatta rappresentazione bidimensionale, per giunta raffazzonatamente allestita e – cosa più insopportabile – per il profitto di altri. Quasi tutto ciò che crediamo di sapere sul mondo e sull’universo ci viene da immagini che altri hanno creato per noi e che noi abbiamo poi trasferito in ciò che ci circonda, per rendere la vita corrispondente al suo simulacro catodico eterodiretto.

La seconda considerazione, che a prima vista potrebbe apparire pessimistica, ma che in realtà apre un universo di sconfinate prospettive, è che con ogni probabilità ogni certezza che crediamo di avere sulla struttura e sulla fisica dell’universo è in realtà – esattamente come accade per le missioni Apollo – una mera apparenza poggiante su immagini mentali indotte, puntellate da profluvi di chiacchiere “scientifiche”; chiacchiere che si perdono nel deserto dei dettagli tecnici e perdono di vista, per timore o per insipienza, la visione d’insieme. George F. R. Ellis, noto ed insigne cosmologo, scriveva su Scientific American nel 1995: “La gente deve rendersi conto che esistono più modelli che possono spiegare le osservazioni [astronomiche] finora compiute… ad esempio, io potrei costruirvi un modello di universo sfericamente simmetrico, con la Terra al centro, e non si potrebbe negare la sua validità sulla base delle osservazioni. Si potrebbe escluderlo solo su basi filosofiche. In questo, dal mio punto di vista, non c’è assolutamente niente di male. Ma ciò che vorrei evidenziare è che noi utilizziamo criteri filosofici per scegliere i nostri modelli. Buona parte della moderna cosmologia cerca di nascondere questo fatto”. Ellis, se ben capisco, sta dicendo che non esistono rilevazioni scientifiche oggettive separabili dal nostro modello di interpretazione della realtà, che è soggettivo e dipende dalle immagini mentali che ogni epoca porta con sé. La nostra era è stata edificata, anche nel campo della scienza, sulla filosofia televisiva e sui suoi modelli banalizzanti. Sarà per questo che tutto appare così asfittico, bloccato, reclusorio, quasi un gulag da Truman Show? In questo caso, il futuro si prospetta roseo. Dobbiamo solo attendere la fine della condanna mediatica – che come ogni condanna non dura in eterno – e il cosmo tornerà ad essere per noi il luogo totalmente ignoto che è sempre stato, pronto ad essere studiato e interpretato (due termini che sono spesso sinonimi) in un’ottica nuova. Scopriremo presto, per la milionesima volta, che cambiare il mondo è semplice quanto cambiare idea. Ci accorgeremo di esser rimasti autoreclusi in un mondo di pura materia, condizionati a ritenerlo l’unico reale, mentre tutt’intorno a noi stridevano ghiacciai di diamante e tuonavano vulcani di stelle.

La terza considerazione è che se vogliamo accelerare la liberazione dalla schiavitù catodica dobbiamo al più presto disconoscere il nostro carceriere e metterlo di fronte alle sue menzogne. Per fare ciò le menzogne bisogna imparare a riconoscerle. Non si tratta, in verità, di un’assegnazione particolarmente complessa. Il nostro guardiano è programmato per mentire e tutto ciò che passa per le sue labbra è, in un modo o nell’altro, una bugia. Anche un evento reale, come una banale rapina o una dichiarazione politica, viene falsificato e appiattito per il semplice fatto di essere stato predigerito dai suoi circuiti. Ciò che ci viene proposto dell’evento è sempre il residuo fecale, decontestualizzato e sterilizzato, di una realtà complessa che il mostro ha già tagliuzzato e risagomato seguendo i criteri della propria programmazione. E’ però essenziale imparare a riconoscere almeno le menzogne che non scaturiscono dalla natura stessa del mezzo e dalle sue finalità a lungo termine, bensì da una progettazione “accurata” (le virgolette sono d’obbligo; in realtà, dal lato tecnico, la cura nel realizzare queste messinscene è sempre assai scarsa) mirante ad indurre negli ignari fruitori uno spostamento di paradigma a breve-medio termine, necessario ai gestori del medium per giustificare e garantire sostegno ai propri progetti di riconfigurazione geostrategica. A questa categoria appartengono bufale mediatiche come la Shoah, le armi di distruzione di massa, l’11 settembre, le “rivoluzioni colorate” (l’ultima in ordine di tempo è quella tentata in Iran) e, naturalmente, le missioni Apollo. Questo tipo di bufale presentano una serie di caratteristiche ricorrenti, che trovano nella truffa lunare il proprio prototipo. Smascherarle è per buona metà una questione di “fiuto” (ciò che veniva chiamato “fiuto giornalistico” ai tempi in cui esisteva ancora un giornalismo). Qui di seguito offro un mio personalissimo decalogo dei criteri che consentono di “annusare” la bufala e mettere in guardia il senso critico affinché non si lasci prendere alla sprovvista:

1. Dilettantismo: La bufala mediatica si riconosce innanzitutto dal suo essere fabbricata coi piedi e per il fatto che contiene quasi sempre la prova visiva della propria inautenticità, spesso in modo così eclatante da risultare perfino comico. Una delle obiezioni più frequenti del debunker di turno a coloro che denunciano la messinscena, evidenziandone i grossolani errori di fabbricazione è: “eh già, e secondo te gli uomini della CIA sarebbero così idioti da commettere un errore così pacchiano? Da far compiere agli astronauti movimenti che tradiscono platealmente i cavi a cui sono appesi? Da girare un video della “morte di Neda” in cui si lascia vedere così chiaramente agli spettatori la fialetta del sangue finto che gli attori le rovesciano in faccia? Da far crollare in verticale il WTC7, che non era stato colpito da nessun aereo, senza inventare una spiegazione plausibile? Insomma, deciditi, sono dei geni della truffa o degli idioti completi?”. A parte l’inammissibilità logica dell’argomentazione, con la quale ogni prova materiale a carico viene trasformata per via dialettica nel suo contrario, la risposta è: non sono idioti. Ma considerano completamente idioti gli spettatori delle loro produzioni, e, a giudicare dai risultati, non certo a torto. La considerazione che i progettisti delle psyop nutrono nei confronti delle loro vittime è ben espressa da Walter Lippmann, uno degli uomini che contribuirono ad elaborare le linee fondamentali della falsificazione mediatica a scopo di controllo delle coscienze. Nel suo libro L’opinione pubblica Lippmann scrive: ““La massa di individui completamente illetterati, dalla mente debole, rozzamente nevrotici, sottosviluppati e frustrati è assai considerevole; molto più considerevole, vi è ragione di ritenere, di quanto generalmente si creda. Così viene fatto circolare un vasto richiamo al popolo tra persone che, sul piano mentale, sono bambini o selvaggi, le cui vite sono un pantano di menomazioni, persone la cui vitalità è esaurita, gente ammutolita e gente la cui esperienza non ha mai contemplato alcun elemento del problema in discussione”. Per decerebrati del genere, pensano i progettisti delle psyop, è del tutto superfluo spendere milioni in effetti speciali mirabolanti. Basta spendere poche lire per qualche rozzo effettaccio teatrale e/o girare un paio di filmati col telefonino per ottenere l’effetto desiderato. Gli “illetterati” si lasceranno sopraffare dalle emozioni, disattiveranno il cervello ed eviteranno accuratamente di eseguire analisi approfondite su ciò che stanno osservando. Fino ad oggi i fatti, per quanto sia doloroso dirlo, hanno dato ragione a Lippmann oltre ogni sua più rosea aspettativa.

2. Incoerenza: un’altra caratteristica delle bufale mediatiche è quella di evidenziare una quantità di elementi contraddittori nel momento in cui si pongono a confronto le diverse immagini o testimonianze che sono servite a presentarla agli utenti finali. Così Armstrong utilizza due scalette diverse nelle foto e nel filmato della prima discesa sul suolo lunare; Aldrin indossa tute differenti nelle foto della passeggiata lunare; il “fidanzato di Neda” cambia faccia nelle foto diffuse da Twitter e in quella che accompagna l’intervista rilasciata alla BBC; i “testimoni oculari” delle camere a gas di Auschwitz si contraddicono tra loro riguardo alle dimensioni, caratteristiche e dislocazione delle strutture; e così via. Questa scarsa cura della coerenza narrativa è in parte ascrivibile alla bassa considerazione delle capacità intellettive degli utenti finali di cui al punto 1. In parte è anche dovuta al fatto che le psyop d’intelligence sono spesso realizzate da più centri operativi la cui coordinazione non è necessariamente ottimale. Alcune contraddizioni sono particolarmente clamorose, come nella “lista dei 19 dirottatori dell’11 settembre”, continuamente modificata e parte dei cui membri sono vivi, vegeti e dediti ad onestissime attività. Ma questo non ha importanza per la riuscita dell’imbroglio, che punta a sollecitare il lato emotivo dell’utente, mettendo a tacere le doti razionali che – in quell’esigua minoranza di individui che ne è in possesso – potrebbero smascherare la messinscena.

3. Rarefazione informativa: la bufala mediatica è anche riconoscibile dall’assenza di informazioni dettagliate su tutto ciò che non riguardi il momento centrale dell’avvenimento dato in pasto agli spettatori/lettori. Se cercherete di ottenere dai media informazioni più ampie riguardo ad elementi che sono collegati all’evento per via indiretta, troverete solo poche e scarne informazioni, sempre le stesse, ripetute all’infinito su TV e quotidiani, con variazioni lievissime e spesso contrastanti. Non vi sarà dato conoscere i nomi dei parenti di “Neda”, il loro lavoro o avere informazioni più precise sulla facoltà universitaria frequentata dalla ragazza; non riuscirete ad avere i dettagli tecnici di funzionamento delle fantomatiche camere a gas naziste (Robert Faurisson li sta chiedendo da 30 anni); i dirottatori dell’11 settembre saranno dirottatori e basta, senza che vi sia dato conoscere alcun particolare delle loro vite antecedente alla progettazione dell’attentato. Ricostruire anche i dettagli, oltre alla scena madre, sarebbe troppo complesso e, stante l’irragionevolezza della stragrande maggioranza della popolazione umana, si tratterebbe di un lavoro superfluo. A questa regola fa parziale eccezione proprio la truffa delle missioni Apollo, e questo per motivi evidenti: l’implausibilità dell’evento e la necessità di convincere della sua realtà anche scienziati e cosmologi, oltre all’uomo della strada, rendeva necessaria una maggiore accuratezza nei dettagli. Fino a un certo punto, comunque: provate a chiedere alla NASA i dettagli tecnici di funzionamento delle famose “tute refrigerate” o a cercare qualche ripresa di stelle e pianeti visti dalla Luna: vi troverete ancora una volta di fronte al nulla (by the way, Armstrong dichiarò, nella conferenza stampa immediatamente successiva al “ritorno dal satellite”, che sulla Luna non si vedevano stelle!! Posso capire che non sia possibile farle venire sulle foto, ma addirittura che non si vedano…!).

4. Retorica: dovendo colpire e accendere l’emotività delle sue vittime, la bufala mediatica è farcita di connotazioni retoriche, quasi sempre riprese dai modelli cinematografici e televisivi le cui immagini hanno ormai sostituito, nella psicologia della collettività umana, quelle della realtà quotidiana e tangibile. Così gli astronauti piantano patriottiche bandiere a stelle e strisce, come gli eroi di Iwo Jima, e pronunciano sentenze altisonanti al momento di posare le suole sulla sabbia selenita; così Hamid Panahi, nel video di Neda, si esibisce in declamatorie manifestazioni di dolore (“Neda resta con me! Non lasciarmi!”) riprese pari pari dai blockbuster hollywoodiani; così il presidente Bush, dopo l’11 settembre, dichiara al mondo che i terroristi “hanno svegliato il grande gigante addormentato”, con una citazione da cinefilo tratta di peso da “Tora! Tora! Tora!”. “Io credo che la gente abbia perso la capacità di collegare insieme le immagini della propria vita senza l’intervento della televisione. E’ questo che intendiamo quando diciamo che ci troviamo in una società catodica”, diceva Hal Becker, accingendosi a sfruttare questa intuizione a favore del Futures Group per cui lavorava. E ancora una volta aveva ragione.

5. Eroismo: strettamente connesso alla retorica hollywoodiana è il “fattore eroismo”. La stragrande maggioranza degli esseri umani – aiutata dalla terribile banalizzazione tele-cinematografica della realtà che ha devastato la nostra capacità di pensiero nell’ultimo secolo – ragiona in modo elementare e categorizza la realtà in scialbe dicotomie: destra-sinistra, bianco-nero, buono-cattivo, e così via. La bufala mediatica gioca su questa insipienza analitica e offre all’utente una rappresentazione della realtà che corrisponda alla sua rarefatta immagine del mondo. Essa presenta ed esalta sempre, con gran pompa, un eroe “buono” la cui presenza evoca per contrasto l’antagonista “cattivo” contro il quale si intende dirigere il disprezzo dell’osservatore. Gli astronauti conquistano, come eroici pionieri del Far West, le lande remote del satellite terrestre, con tanto di celebrazione patriottica e saluto alla bandiera, evocando la sconfitta dei malvagi sovietici che restano a terra a rodersi il fegato; Neda muore da eroina per mano del demoniaco Ahmadinejad (e fioccherà abbondante sui forum di internet, nei giorni successivi, la retorica melmosa del suo “sacrificio per la libertà”); gli eroici pompieri dell’11 settembre muoiono da eroi per opporsi al malvagio piano dei terroristi che vogliono distruggere l’America; e così via, di cazzata in cazzata. Inutile sottolineare che i grandi eventi e le grandi tragedie, quando reali e/o non ridotte a feuilleton per le masse, non offrono cittadinanza agli eroi. Non ne troverete neanche uno nei diari di Colombo e nemmeno nelle cronache dei soccorsi in Louisiana a seguito dell’uragano Katrina. Dinanzi all’enormità dell’ambizione e del dolore umano gli eroi se ne restano in disparte, chiusi nei loro quadratini di celluloide, ad osservare ammirati.

6. Simbolismo: il gregge dei teledipendenti ha la memoria corta. Consuma repressioni, stragi e catastrofi come si consuma un doppio cheeseburger da McDonald’s. Per far sì che il pur banale significato della messinscena (che può essere la malvagità di un dato regime o la superiorità scientifica statunitense) resti impresso per più di dieci minuti nelle menti vuote dei fruitori, occorre che la psyop sia progettata in modo da culminare in una o più immagini simbolo che rimangano fissate nell’immaginario. L’americano medio non ha la più pallida idea di dove si trovino geograficamente l’Iran o la Cina, non sa nulla della loro situazione politica, culturale, economica, per non parlare del ruolo che tali paesi rivestono nelle strategie militari globali. I viaggi sulla luna gli interessano meno del porno. Tende a digerire e dimenticare in fretta anche l’evento più clamoroso o toccante, a meno che non si progetti un’immagine-simbolo, ricollegabile all’evento stesso, da imprimere come un marchio a fuoco sulla “tabula rasa” che è la sua mente, secondo la definizione del Tavistock Center. Può accadere, in casi rari, che questa immagine-simbolo scaturisca spontaneamente dallo stesso palcoscenico della rappresentazione. Ad esempio, nel corso della rivolta cinese di Piazza Tien an Men (prima tra le “rivoluzioni colorate” organizzate dalla CIA per rovesciare il governo di Deng Xiaoping) le “immagini simbolo” degli studenti che offrono fiori ai soldati, già accuratamente preparate dalla regia, vennero superate da un’immagine autentica (o almeno finora non dimostrata fasulla), quella del tizio che ferma una colonna di carri armati stando fermo in mezzo alla strada; questa immagine si prestava con maggiore efficacia ad ottenere il risultato desiderato e fu dunque preferita a quelle già predisposte. Ma nella maggior parte dei casi l’immagine-simbolo viene preparata “in studio” durante la rappresentazione: Aldrin che fa il saluto alla bandiera (un’immagine così palesemente fasulla che perfino Paolo Attivissimo , a suo tempo e a denti stretti, aveva espresso dubbi sulla sua autenticità); la stessa bandiera americana issata sulle macerie di Ground Zero a simboleggiare la resistenza dell’America vendicativa alla malvagità dei terroristi (per realizzare la foto la bandiera venne fregata da uno yacht ancorato nei pressi, il cui proprietario s’incazzò non poco); il primo piano del viso di Neda ricoperto di ketchup (le immagini autentiche dei vari manifestanti iraniani pestati a sangue e mezzi morti, o morti, non andavano bene, essendo troppo simili a quelle dei manifestanti picchiati e accoppati in ogni paese del mondo, dunque dozzinali e prive di forza simbolica). Si può pertanto riconoscere la bufala mediatica dalla presenza di questa iconografia e dall’uso retorico che ne viene fatto.

7. Effetti: “Dai frutti li riconoscerete”, dice il Vangelo. La bufala mediatica è progettata, come si è detto, per generare forti e irrazionali reazioni emotive nei meno dotati di spirito critico (cioè nel 90% dell’umanità). Poiché essa raggiunge sempre perfettamente i suoi scopi, potete riconoscerla osservando le reazioni scomposte delle sue vittime. Prendete un qualsiasi idiota di vostra conoscenza (ogni vero essere umano ne conosce più d’uno) e osservate la sua reazione di fronte al messaggio. Se l’idiota si lascia andare, con ribollente passione, alla retorica del martirio, o a quella dell’eroismo, o a quella dell’incomparabile e celeste dolcezza della democrazia, avrete un forte indizio del tipo di medicina che gli è stato somministrato. A monte di un alienato che straparla di fumosi concetti, esistenti nel solo mondo della sua immaginazione, è lecito supporre l’esistenza di un farmaco mediatico poderoso, così come a monte di un ubriaco è lecito presupporre l’esistenza di una o più lattine di birra. Se per vostra singolare fortuna doveste trovarvi a corto di ubriachi strepitanti, potete rimediare osservando le reazioni dei molti subnormali che affollano i forum e i siti della rete. Ad esempio questo sito e quest’altro possono costituire un’assai utile cartina di tornasole.

8. Evasività: la bufala è anche riconoscibile dal fatto che gli elementi che ne rappresentano la più considerevole fonte di dubbio vengono accuratamente elusi dai mezzi d’informazione e – per quel che conta – anche dai “debunker”. Ci si concentra sui punti noti a tutti o su quelli marginali, lasciando convenientemente nell’ombra gli aspetti più controversi. Troverete decine di persone disposte a sciorinarvi le mirabili caratteristiche tecniche del LEM; ma se chiederete come mai il modulo lunare, in certe foto della NASA, si presenti come un ammasso di immondizia legata col nastro adesivo, riceverete solo insulti o il silenzio. Idem per l’11 settembre: gli elementi che smascherano con certezza l’inside job, come il crollo del WTC7, non sono neppure stati presi in considerazione dalla commissione d’inchiesta americana; il rapporto dell’Open Chemical Physics Journal, in cui ricercatori indipendenti hanno analizzato le macerie di Ground Zero, trovando tracce abbondanti della termite usata per demolire gli edifici, non riceveranno la minima attenzione dai media, né dagli anticomplottisti a cottimo. E allo stesso modo il debunker coscienzioso eviterà con cura di commentare le immagini del video di Neda in cui si vede distintamente il contenitore da cui le viene rovesciato in faccia il sangue finto; al massimo si produrrà in una sequela di insulti e risate per iscritto, affermerà balbettando che si tratta solo di un ammasso di pixel e poi scomparirà nel nulla. Il ricercatore che chieda informazioni precise sul funzionamento e sulle caratteristiche tecniche delle camere a gas naziste verrà ignorato o arrestato. Quando i nodi cruciali di una questione vengono elusi con il suddetto imbarazzo, o perfino con la repressione, la possibilità di trovarsi di fronte a una bufala cessa di essere una possibilità.

9. Distruzione delle prove: per evitare che la bufala, col passare del tempo,venga contraddetta o smascherata, occorre far sparire le prove compromettenti; o più spesso occorre giustificare in qualche modo la totale assenza di prove, visto che esse, essendo per l’appunto prove di una vicenda mai avvenuta, non sono mai esistite. La cancellazione/decostruzione delle prove è in realtà un’attività alla quale i malandrini che stanno dietro alle psyop si dedicano di malavoglia. Non ne vedono la necessità. Le loro vittime non s’informano, non ragionano, non leggono; quindi, chi se ne frega se sulla stampa specializzata o sul web dovessero comparire anche diecimila smentite, con tanto di dimostrazione? Esse non basterebbero comunque a cancellare le immagini televisive, che nelle menti dei poveri dei spirito hanno già rifondato la realtà sulle inamovibili fondamenta della fregnaccia. Non è clinicamente possibile far rinsavire masse di individui la cui coscienza è stata programmata dalle operazioni di guerra psicologica se questi individui sono contenti della propria condizione. Si potrebbe al massimo riprogrammarli: se TV e giornali pubblicassero nuove immagini e nuove campagne di stampa che contraddicano le precedenti, ecco che nell’arco di poche ore il gregge mediatico cancellerebbe dalla memoria le vecchie “verità” per adeguarsi alle nuove, quali che siano. Ma un’operazione del genere richiederebbe un enorme dispiego di mezzi ed è ovviamente al di fuori della portata di qualunque ricercatore, per quanto scrupoloso. Dunque la distruzione delle prove è considerata dagli operatori delle psyop come un eccesso di zelo, laborioso e inutile.

Purtroppo per loro, i loro capi, cioè i membri dell’elite politico-finanziaria internazionale che ordina la fabbricazione delle bufale per i propri interessi, la pensa diversamente. Essendo essi stessi un’elite, sanno benissimo che i grandi sconvolgimenti della storia non sono mai stati prodotti da masse di ovini, per quanto oceaniche, bensì da ristrettissimi gruppi di persone pensanti capaci di agire in comune e di coordinarsi tra loro. A queste persone è necessario togliere quanto più possibile il terreno sotto i piedi; privarli di ogni elemento d’indagine, non tanto perché l’indagine sia pericolosa in sé, ma perché essa rappresenta un poderoso collante relazionale e una base per il coordinamento. Non ci si può permettere di rischiare che gruppi di ricercatori indipendenti, magari coordinati tramite internet, si mettano a compiere analisi sulle macerie del World Trade Center o sui nastri originali delle missioni Apollo. E’ vero, costoro non riuscirebbero mai a comunicare al grande pubblico le loro scoperte; ma diverrebbero consapevoli dell’imbroglio, e la consapevolezza di piccoli gruppi coordinati e determinati fa paura più di mille rivoluzioni. Dunque le macerie del WTC devono essere rimosse e distrutte al più presto; i nastri originali dello sbarco sulla Luna devono andare opportunamente smarriti; Oswald deve sparire; i genitori di “Neda”, sospettamente inesistenti, devono poter giustificare la propria inesistenza con l’arresto da parte del mefistofelico governo iraniano; anche le camere a gas, inesistenti più che mai, devono poter vantare la propria distruzione ad opera dei nazisti in fuga se vogliono evitare che la loro irrealtà divenga oggetto d’indagine. La distruzione delle prove basterà a scoraggiare solo una parte dei ricercatori, non tutti, ma intanto si fa quel che si può. Per il resto esiste sempre la carta della repressione, che è fastidiosa e pericolosa da giocare, ma rappresenta pur sempre un’ultima ratio nel caso le cose si mettano veramente di merda.

10. Coraggio intellettuale: per essere smascherata la bufala richiede una buona dose di coraggio intellettuale. Chi comprende la falsità di una proposizione accettata come vera dalla stragrande maggioranza del genere umano si sente spesso solo. I grandi media lo ignorano o lo prendono in giro; parenti e amici lo considerano una persona un po’ tocca che cerca di mettersi in mostra affermando l’esatto contrario di verità risapute. Evitate di arrabbiarvi, di impuntarvi, di strillare. Sarebbe doppiamente inutile: inutile perché non si può sconfiggere con le urla un apparato mediatico globale i cui strilli sono miliardi di decibel più poderosi; e inutile perché portare dalla vostra parte una, dieci o mille persone a suon di strepiti non servirebbe a niente. Le persone sono utili quando ragionano e a ragionare si impara da soli, se mai si impara. Limitatevi a gettare negli altri il seme del dubbio e lasciate che decidano da soli se essere pecore o uomini. L’appoggio entusiastico di una moltitudine di cerebrolesi, in grado di apprezzare solo le vostre urla, sarebbe infinitamente più dannoso della loro inimicizia. Avete contro un sistema di disinformazione in grado di distruggere e riplasmare miliardi di menti nell’arco di un telegiornale, quindi entrare in collisione con la maggioranza del genere umano è una necessaria quotidianità. Accertatevi di avere le spalle per sopportarla. Tenete presente che, stante il continuo bombardamento di stupidaggini da parte dei media, il fatto che la maggioranza degli individui sia convinta della veridicità di un fatto rappresenta il miglior indizio possibile della sua inautenticità. Più fessi ci credono, più è verosimile che abbiano torto. Scrivetevi da qualche parte le parole di Morpheus a Neo e fate in modo di averle sempre di fronte: “La matrice è un sistema, Neo, e quel sistema è nostro nemico. Quando sei al suo interno, cosa vedi? Le menti di quelle persone che stiamo cercando di salvare. Ma finché non ci riusciremo, quelle persone sono parte del sistema e questo le rende nostri nemici. Devi capire che la maggior parte di quelle persone non è pronta per essere scollegata. E molti sono così disperatamente dipendenti dal sistema che combatteranno per difenderlo”. Non abbiate mai paura della solitudine. Sono i piccoli gruppi di persone consapevoli che hanno sempre cambiato il mondo, non le folle belanti. Lasciate queste folle a pascolare serenamente nella desolazione del loro deserto lunare, a tremare di fronte alla serie infinita di minacce immaginarie che l’orchestra del padrone suona per loro. Se si vuole combattere la paura, il primo luogo da cui bisogna scacciarla è la nostra casa. La paura teme la serenità del pensiero, non le grida. Non dimenticate mai che la pillola rossa è una benedizione che tocca a pochi, e che la luna (quella vera e inviolata) vi sia propizia.

 

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