di

Francesco Boco

Fonte: Quotidiano online LINEA

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Prima del 3000 a.C. esistevano civiltà con conoscenze straordinarie, che sparirono forse a causa di un cataclisma

L’archeologia “eretica” mette in crisi la comune visione della storia

Anche l’archeologia, come gli studi storici in generale, sta conoscendo un grande fiorire di teorie alternative, di ricerche non accademiche in contrasto con i paradigmi consolidati che cercano di fornire una spiegazione libera e talvolta stupefacente della storia delle più antiche civiltà. Nonostante spesso si tratti di studiosi estranei al mondo delle università e spesso da esso avversati, i loro studi sono non di meno approfonditi e documentati e nel corso degli anni hanno portato non poche prove contrastanti con le tesi ufficiali.
Tra i nomi più importanti a livello internazionale vanno segnalati Zecharia Sitchin, Graham Hancock, Luc Burgin e Robert Bauval, tutti autori di numerosi best seller e nomi molto diffusi anche tra i lettori italiani. Questa corrente di studi viene comunemente identificata come archeologia eretica, con un’efficace definizione che ne chiarisce l’estraneità alle teorie più affermate.
Alla sterminata e affascinante bibliografia eretica in questione si è da poco aggiunta una notevole raccolta di saggi a firma Marco Pizzuti dal titolo Scoperte archeologiche non autorizzate (Edizioni Il Punto D’Incontro, 15,90 euro), che nelle sue oltre 300 pagine ripercorre le più interessanti scoperte e teorie alternative in ambito archeologico.
La domanda fondamentale da cui parte la ricerca indipendente può essere così formulata: «La teoria lineare della storia è sufficiente a comprendere le antiche civiltà, le quali spessissimo presentano caratteri tecnologici e scientifici a noi ancora ignoti?». Ridotta ai minimi termini potrebbe essere un modo rapido di inquadrare il problema. Da innumerevoli ritrovamenti in svariate parti del mondo, ma anche dai più noti misteri legati alle piramidi, sono fiorite una serie di teorie alternative che finiscono con l’affermare con forza e convinzione la tesi che la concezione progressista e lineare della storia, sin qui invalsa, non permetta di comprendere l’esistenza di civiltà che appaiono straordinariamente evolute e che in un dato momento sparirono per cause non del tutto chiarite.
Così chiarisce l’autore: «Alla luce delle nuove scoperte geologiche, archeologiche e paleo astronomiche, oggi siamo perfettamente in grado di demolire la data del 3000 a.C. come punto di partenza assoluto del nostro progresso scientifico e culturale. Sostituendo definitivamente l’idea ottocentesca di un cammino lineare della civiltà con quella moderna di ciclo (…che gli antichi già conoscevano per tradizione), secondo cui le culture fioriscono e muoiono in archi di tempo determinati da catastrofi naturali periodiche». Attraverso un’ampia carrellata di casi straordinari ed enigmatici, Pizzuti apre un forziere di scoperte straordinarie e impensabili, di cui raramente si sente parlare.
Una delle scoperte più sconcertanti è stata messa a segno dall’egittologo britannico Walter C. Emery che nel suo volume del 1961 rovesciò le più comuni teorie sulla civiltà egizia. Secondo quanto affermato dallo studioso, le mummie più antiche giunte sino a noi appartenevano a un lignaggio differente da quello della maggioranza della popolazione egizia. La stirpe che fondò la dinastia dei faraoni era di gruppo sanguigno A, di diverso ceppo razziale, di alta statura e dai caratteri nordici. Già questo basterebbe a far traballare l’impalcatura della storiografia scolastica, ma a ciò si aggiunga che, ad esempio, sono state riscontrate le medesime tracce di gruppo sanguigno nella casta dominante delle civiltà preispaniche del Sud America. Inoltre, non poche sono le comunanze costruttive riscontrate nelle piramidi monumentali del Perù e dell’Egitto.
Se a ciò si aggiungono i ritrovamenti di piramidi in Cina (lago Fuxian), in Inghilterra (Silbury Hill), in Ucraina (vicino Sebastopoli), in Australia, in USA oltre ad altri casi, è giustificata la tesi portata avanti dall’archeologia eretica secondo cui prima del 3000 a.C. esistette una civiltà – forse una grande e straordinaria civiltà mondiale? – con conoscenze tecnologiche straordinarie ed enigmatiche, la quale sparì probabilmente a causa di un cataclisma di cui narrano diverse cronache mitologiche.
Le piramidi della piana di Giza, le tre più famose e misteriose, sono state attentamente indagate dagli studiosi eretici, i quali hanno concluso che non si tratti di tombe (o non solo), come comunemente affermato, ma di qualcos’altro non ancora chiarito. In particolare la piramide di Cheope sembra più un macchinario dalla funzione non del tutto chiara, piuttosto che una tomba, dato che al suo interno non è stata trovata nessuna mummia autentica.
Al di là delle numerose curiosità e studi di cui il lettore troverà trattazione nel testo, l’archeologia eretica pone un serio problema alla visione usuale della storia e della temporalità. Uno dei punti forse più deboli di questa disciplina, e attorno a cui sarebbe interessante indagare, è che non soltanto i cataclismi provocano la fine di una civiltà.
Vista l’insistenza sul ruolo dei fattori naturali, è opportuno ricordare come secondo importanti filosofi e storici quali Spengler e Toynbee, tra le cause che provocarono la fine delle grandi civiltà del passato furono l’esaurimento delle energie originarie, del vigore e l’incapacità di comprendere il disegno del destino storico. Certo, l’archeologia fatica a spiegare questi aspetti, ma essi possono costituire una guida ad una comprensione più approfondita di fenomeni così misteriosi.

Fonte: Quotidiano online LINEA

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