Di

Piero Ricca 
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Cinque italiani su cento sono analfabeti, trentotto su cento leggono con difficoltà una scritta semplice, l’abitudine alla lettura di libri non coinvolge più del venti per cento della popolazione. Alla democrazia italiana mancano le basi.
Qual è il livello dell’istruzione e della cultura degli italiani? Se ne parla poco, eppure la risposta a questa domanda aiuta a capire tanti problemi. Vediamo alcuni dati, tratti da due indagini internazionali i cui risultati sono stati pubblicati a cura della ricercatrice Vittoria Gallina nei saggi “La competenza alfabetica in Italia. Una ricerca sulla cultura della popolazione” (Franco Angeli, 2000) e “Letteratismo e abilità per la vita. Indagine nazionale sulla popolazione italiana 16-65 anni” (Armando editore, 2006).
Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra: sono analfabeti totali. Trentotto su cento lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta semplice e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione, ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi o di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona indecifrabile. Tra questi, il 12 per cento dei laureati. Soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea.
Sia chiaro: la tendenza al declino delle competenze e all’analfabetismo di ritorno riguarda tutte le società occidentali. Ma in Italia il fenomeno ha un impatto maggiore. Tant’è vero che siamo in coda all’Europa per lettura di libri e giornali. Secondo l’Istat oltre il 60 per cento degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno. Soltanto nel 20 per cento delle famiglie c’è l’abitudine alla lettura, mentre l’80 per cento degli italiani (dati della Banca Mondiale) si informa esclusivamente attraverso la televisione. Questa televisione. In compenso gli italiani sono in vetta alle classifiche per uso del telefonino. Inutile dire che l’homo videns, come l’ha definito Giovanni Sartori in un suo saggio, è assai più suggestionabile della minoranza ancora affezionata alla parola scritta. Più vicino al rango del consumatore (o del suddito) che non del cittadino.
Tra i pochi intellettuali che denunciano il rischio della de-alfabetizzazione di massa e le conseguenze per la tenuta della democrazia, c’è Tullio De Mauro, linguista e lessicografo, autore tra l’altro del Grande Dizionario dell’Uso della lingua italiana edito da UTET. “La democrazia vive se c’è un buon livello di cultura diffusa”, afferma De Mauro, “se questo non c’è, le istituzioni democratiche, pur sempre preferibili ai totalitarismi e ai fascismi, sono forme vuote”. Prima ancora del deficit di informazione, dunque, alla radice del “caso Italia” sembra esserci un problema di formazione, o meglio: di istruzione primaria. “Quanti di noi hanno la possibilità di ragionare sui dati di fatto, partecipando alle scelte collettive e documentandosi sul senso di quelle scelte?” si chiede de Mauro. Possibili rimedi? “Rafforzare la scuola pubblica, avviare un sistema di educazione continua per gli adulti, creare una fitta rete di centri di pubblica lettura”. E magari programmare un piano decennale di pedagogia di massa, con nuovi maestri Manzi al posto di Vespa e Maria De Filippi. Pura utopia…

Fonte: www.wumagazine.com
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Marzo 2009
VEDI ANCHE: Antonella Randazzo – LA CONDIZIONE CULTURALE DEGLI ITALIANI
Tullio De Mauro – ANALFABETI D’ITALIA