Dopo aver minacciato di andar via in caso di taglio dello stipendio e dopo aver incassato il “via libera” del ministro Maurizio Lupi e l’invettiva di Diego Della Valle, il manager passa al contrattacco: “Ogni euro risparmiato va a vantaggio dei contribuenti che hanno tutto l’interesse che il gruppo sia gestito nel migliore dei modi” e aggiunge: “Nel 2006 nessuno voleva fare l’amministratore delegato”

Mauro Moretti: “Fare l’ad di Ferrovie una fatica. Stipendio? Tocca a Renzi convincermi”

Dopo aver minacciato di andar via in caso di taglio dello stipendio e dopo aver incassato il “via libera” del ministro Maurizio Lupi e l’invettiva di Diego Della Valle, Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie, passa al contrattacco: “Ogni euro risparmiato va a vantaggio dei contribuenti che hanno tutto l’interesse che il gruppo sia gestito nel migliore dei modi:se ci sono alternative alla guida si facciano pure avanti”.

In occasione della presentazione del piano industriale 2014-2017: “Noi non stiamo a poltrire negli uffici e il nostro è il lavoro più duro che si possa pensare in Italia e nel mondo. Ho conosciuto tanti ex amministratori delegati e tutti mi hanno detto che una realtà industriale così dura, complessa e difficile non l’avevano mai vista. Ora la sfida è che il capitale industriale della società venga valorizzato appieno perché va a beneficio di tutta la collettività. Non capisco chi dice che qui lacompetizione non c’è. Non so in che mondo viva”.  “Aspetto la proposta di Renzi. La valuterò, toccherà a lui convincermi. Aspetto la proposta – dice rispondendo ai giornalisti – da quando ricopro questo ruolo ho ricevuto solo riduzioni di stipendio. All’inizio prendevo 1,1 milioni e chi mi ha preceduto ne prendeva anche 1,6. Non è un fatto personale, ma la leva retributiva è fondamentale nelle aziende che stanno sul mercato”. Per quanto riguarda eventuali altre proposte dall’estero “l’avete scritto sui giornali sono italianissimo, vorrei continuare a lavorare in un’impresa italiana”.

Il top manager, che ha uno stipendio di 873mila euro l’anno, rivendica il suo lavoro e anche il fatto che fino a qualche anno fa non c’era la coda per sedersi su quella poltrona: “Nel 2006 nessuno voleva fare l’amministratore delegato di Fs, lo si ricordi. Questa è una storia di fatica, non di giochetti per prendere mezzo minuto di scena”. L’ex segretario nazionale della Cgil Trasporti,attualmente imputato nel processo per la strage di Viareggio, replica alle critiche presentando il nuovo Frecciarossa Etr1000: “In arrivo tra il 2015 e il 2017 intendiamo rideterminare i servizi nazionali e potenziare la parte più profittevole dei servizi internazionali”. Treni da 350 chilometri all’ora che, a quanto pare, saranno pronti per Expo2015

”Non temiamo – ha aggiunto il manager – di essere misurati sui risultati, anzi, lo chiediamo”. Moretti ha poi aggiunto che tale metro di paragone deve valere “per tutti” in quanto “sulle chiacchiere non si misura nessuno”. Il piano presentato oggi dall’ad alla comunità finanziaria prevede investimenti per 24 miliardi di euro, di cui 8,5 miliardi in autofinanziamento, con una dotazione per il servizio locale di 3 miliardi. Quella del risanamento di Fs, che nel 2006 “era sull’orlo del fallimento” è “una piccola e buona storia italiana, fatta di sfide, fatica e lavoro, e difatti realizzati nel silenzio. Senza troppe parole. Da una squadra forte di ferrovieri, di cui io sono solo il portavoce pro-tempore“. 

Trovo che sia sbagliato, per l’importanza del tema, metterci a discutere delle singole persone” dice il ministro della P.A., Marianna Madia, a margine del convegno ‘I manager pubblici che vogliamo’, a chi le chiedeva di commentare le dichiarazioni di Moretti. “Partire da un dibattito polemico, come in questi giorni, sicuramente non ci fa intraprendere la strada migliore” e “credo sarebbe il modo peggiore di affrontare il tema”. 

Intanto sulla questione delle retribuzioni dei manager pubblici al Tesoro si vuole prima di tutto far chiarezza sulle norme già vigenti, a partire dal Regolamento sui compensi per gli amministratori delle società controllate dal ministero dell’Economia non quotate e che non emettono strumenti finanziari quotati sui mercati regolamentati. Si tratta di un decreto ministeriale firmato dall’ex ministro Fabrizio Saccomanni che entrerà in vigore dal primo aprile e riguarderà quindi le prossime nomine.

Tre le fasce previste: nella prima fascia, quella dove rientrano le società più importanti come Rai eAnas l’importo massimo sarà di 311mila euro lordi; nella seconda fascia, quella delle società intermedie come il Poligrafico, il tetto sarà di 248.800 euro lordi; nella terza fascia, quella delle società minori tipo Sogesid (tutela del territorio), il tetto scende al 60%, cioè a 186.600 euro lordi.

Per le società quotate, cioè Eni, Enel e Finmeccanica, e per quelle non presenti in Borsa ma che emettono strumenti finanziari quotati, come la Cassa depositi e prestiti, le Ferrovie dello Stato, le Poste, si applicano invece le norme varate dal governo Monti con il decreto Salva Italia come modificate dalla legge 98 del 2013, che prevede un taglio del 25% “del trattamento economico complessivo a qualsiasi titolo determinato, compreso quello per eventuali rapporti di lavoro con la medesima società”. Ad oggi l’ad dell’Eni Paolo Scaroni guadagna 6,52 milioni lordi, quello dell’Enel Fulvio Conti 3,95 milioni lordi, quello di Finmeccanica Alessandro Pansa 1,02 milioni lordi, delle Poste Massimo Sarmi 2,2 milioni lordi, del presidente delle stesse Poste, Giovani Ialongo 903.611 euro lordi, dell’ad della Cassa depositi e prestiti Giovanni Gorno Tempini 1,035 milioni lordi. Ben lontani da quanto ritiene opportuno il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, secondo cui nessun manager pubblico deve prendere un stipendio superiore a quello del presidente della Repubblica, cioè 239.181 euro lordi l’anno.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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