di

Giorgio Bongiovanni e Monica Centofante

de magistris

Per proseguire con le proprie indagini i magistrati di Salerno non avevano altra scelta: fare irruzione negli uffici e nelle abitazioni dei colleghi di Catanzaro e prendersi quanto per mesi era stato loro immotivatamente negato.
Al fine di verificare la fondatezza di una inquietante ipotesi investigativa: l’esistenza di un complotto ordito ad arte per fermare l’allora pm Luigi De Magistris e le sue inchieste.
La polemica montata in questi giorni dai media, a seguito delle perquisizioni a carico di magistrati del distretto catanzarese attualmente titolari dell’inchiesta Why Not, non tiene conto di alcune semplici considerazioni. Tanto banali quanto fondamentali.
La prima è che non è affatto in corso una guerra tra procure, semplicemente una procura che legittimamente indaga su un’altra procura, così come previsto dalla legge ogniqualvolta si registri una situazione anomala da verificare (non è la prima volta che accade e non sarà l’ultima), è stata attaccata soltanto per aver svolto il proprio lavoro, rimanendo vittima di atti che sono al di fuori delle normali procedure.
Secondo, la procura indagata si è per troppo tempo rifiutata – immotivatamente, vien da dire illegalmente – di fornire ai magistrati che la stavano indagando i documenti necessari ad accertare eventuali responsabilità, stando a quanto emerge dallo stesso decreto di sequestro probatorio che riporta le date delle richieste e dei continui solleciti sempre disattesi, i quali partono addirittura da febbraio del 2008.
Alcuni dei documenti sollecitati, si legge negli atti, erano di “chiara matrice amministrativa e, comunque, extrainvestigativa”.
Niente che potesse compromettere le indagini in corso, quindi, contrariamente a quanto più volte denunciato dai magistrati di Catanzaro e riportato da (quasi) tutta la stampa. Eppure nemmeno quei fascicoli furono consegnati ai colleghi salernitani. Per quale ragione? Cosa si voleva coprire? La stampa, questo, non se lo è domandato, troppo impegnata a dedicarsi alle polemiche, agli attacchi, alle critiche, troppo intenta a rimestare nel torbido per occuparsi dei fatti. Contribuendo e alimentando quel marasma generale e quel clima di totale incertezza che ormai pervade gli animi di tutti e che presta il fianco a ogni forma di strumentalizzazione. Ad ogni uso e consumo.
Allo stesso tempo giustifica l’immediato intervento del Consiglio Superiore della Magistratura che, lo ha annunciato, riporterà l’ordine. Come? Avviando le pratiche di trasferimento per il procuratore di Salerno da una parte e per il procuratore generale di Catanzaro dall’altra, mettendo i due sullo stesso piano e contribuendo a ridurre tutto, ancora una volta, ad una bagarre tra magistrati.
Insomma, come buttare la classica benzina sul fuoco. Anche qui verrebbe da chiedersi il perché e la risposta potrebbe nascondersi in quelle carte, nel caos assordante dimenticate da tutti. Per caso? Per leggerezza? No. Più probabilmente per metodo. Un metodo preciso già utilizzato per distruggere mediaticamente il Dott. De Magistris, delegittimarlo di fronte all’opinione pubblica e giustificare così qualsivoglia azione disciplinare nei suoi confronti.
La regola è semplice: parlare di tutto per non parlare di niente. E dietro quel niente ci sono migliaia di pagine che provano un sistema di malaffare sapientemente organizzato al fine di depredare i soldi pubblici, i nostri soldi, a vantaggio di privati.
Ma per parlare di tutto, all’inizio di questa squallida storia, occorreva un precedente. E il precedente furono le tante fughe di notizie delle quali lo stesso De Magistris venne incolpato e in realtà create ad arte per “avviare una serie di interventi di carattere disciplinare e paradisciplinare a suo carico”. Al fine di giustificare la revoca delle indagini a lui affidate, fino al suo allontanamento dall’incarico di magistrato inquirente. Un lavoretto da “007” affidato ai vertici della sua stessa Procura, a un manipolo di onorevoli avvocati, a magistrati e politici indagati e ispettori ministeriali. Il tutto con la compiacenza dello stesso Csm.
A provarlo, in quelle carte dimenticate, ci sarebbero una serie infinita di indagini, di testimonianze, di intercettazioni telefoniche.
Ne riportiamo una, interessante spunto per una prima analisi (che proseguiremo).
E’ il 28 febbraio del 2007 quando Felicia Genovese, magistrato, indagata nel processo “Toghe Lucane” di cui era ancora titolare Luigi De Magistris, chiama Antonio Patrono, all’epoca presidente della prima Commissione del Consiglio superiore della magistratura. Quella stessa commissione deputata a verificare l’apertura della pratica di trasferimento di incompatibilità incolpevole del Dr. De Magistris e che lo scorso 9 gennaio interrogò i pm di Salerno sullo stato dei procedimenti penali a carico del magistrato.
Ebbene, nel corso del colloquio tra i due, entrambi membri del gruppo associativo di Magistratura Indipendente, Patrono tranquillizza la Genovese che “sollecita l’interessamento di altri componenti del Csm”, tra cui il Dr. Ferri e Giulio Romano, della sua stessa corrente, membro “della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura e relatore della sentenza emessa nei confronti del Dr. De Magistris”. Nonché, per essere completi, sostenuto nelle ultime elezioni al Csm, dal Dr. Gerardo Dominijanni (sostituto procuratore alla Dda di Catanzaro) e dalla Dr. Caterina Chiaravalloti (giudice della Corte d’Appello di Catanzaro), rispettivamente nipote e figlia di soggetti coinvolti nelle inchieste del pubblico ministero.
L’epilogo della vicenda lo conosciamo tutti e, a leggere questi dati, credere in una decisione imparziale sul trasferimento del giudice risulta veramente difficile.
Su tutto questo e su molto altro stanno indagando i magistrati di Salerno mentre la controproducente campagna mediatica rischia di fermarli.

Fonte: http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8401