Naoki Tomasini

 

La marina israeliana impedisce ai pescatori di Gaza di lavorare, sparando addosso anche alle barche che rispettano le loro norme restrittive

dal nostro inviato

Dal 5 febbraio, la Striscia di Gaza è di nuovo sigillata. Il valico di Rafah al confine con l’Egitto, aperto dopo il termine dell’operazione Piombo Fuso, è stato richiuso, e rimarrà off-limits per gli stranieri anche in futuro, mentre verrà aperto ai palestinesi solo se Hamas accetterà una tregua di lungo termine. Gli altri valichi sono strettamente controllati da Israele. Così ora, l’attenzione di Tsahal, l’esercito israeliano, si sposta verso il quarto confine: quello con il mare.
foto di naoki tomasini

Già il 4 febbraio le motovedette israeliane, nel tratto di mare a nord di Gaza città, sparavano contro le imbarcazioni dei pescatori palestinesi. Non direttamente, ma vicino, a scopo intimitadorio, per farle rientrare verso il porto. Oggi, nello stesso tratto di mare, che rientra nello spazio marittimo palestinese, un’altra piccola imbarcazione di pescatori è stata letteralmente crivellata di colpi. A bordo si trovavano cinque persone che, svuotando le infiltrazioni di acqua con un secchio, sono riuscite a tornare a riva illese. Questa mattina all’alba PeaceReporter si trovava al porto di Gaza città, per intervistare il rappresentante dei pescatori della Striscia, tremila persone che non sono più in grado di lavorare e sono terrorizzate dall’uso sistematico dell’intimidazione armata operata dalla marina israeliana, anche nei miserabili spazi loro concessi. Poche ore dopo, intorno alle 12 ora locale, la chiatta crivellata di colpi (si contavano oltre sessanta fori) ha raggiunto la banchina e abbiamo raccolto il racconto dell’accaduto direttamente dal proprietario dell’imbarcazione, Mahdi Abu Riyala, 30 anni.

foto di naoki tomasini

"Abbiamo gettato le reti a circa 1700 metri dalla costa, a nord di Gaza, dove si trova la spiaggia di Beit Lahiya. Una motovedetta israeliana si è avvicinata e con i megafoni ci hanno gridato: ”Cosa fate qui? Queste sono acque israeliane! Non tornate più o verrete affondati!”. Allora abbiamo iniziato a ritirare le reti, ma loro ci hanno intimato di spostarci verso poppa e hanno iniziato a sparare contro la prua. Non c’è stato nessun colpo di avvertimento in acqua, hanno sparato direttamente alla barca, da circa sei metri di distanza – racconta il pescatore – Eravamo in cinque a bordo. Poi hanno iniziato a insultare Allah e il profeta Maometto. C’è mancato poco che affondassimo. Non è la prima volta che gli israeliani attaccano le nostre barche, ma a me non era mai accaduto, è stato terribile. Noi andiamo a pescare ogni giorno in quella zona, al largo non possiamo andare, così ci dirigiamo verso nord perché di fronte a Gaza non c’è pesce. La barca mi era costata 15mila dollari, e ora ripararla ne costerà almeno 500. Quanto pesce dovrò pescare per guadagnare questa cifra?".

foto di naoki tomasini

Lo spazio marittimo della Striscia di Gaza, secondo gli accordi di Oslo, si estende per venti miglia dalla costa. Già prima della presa di Gaza da parte di Hamas, però, la marina israeliana lo aveva ristretto a dieci, e poi sei. Al termine dell’ultima offensiva le ordinanze militari israeliane imponevano un ulteriore restringimento a tre miglia nautiche. L’attacco di ieri e quello, ancor più grave, di oggi sono avvenuti a poco più di un miglio dalla costa e a essere prese di mira non sono stati dei pescherecci, ma piccole chiatte monomotore di legno, lunghe meno di sette metri. I pescatori erano chiaramente all’interno dello spazio consentito dalle ordinanze militari israeliane. Tornerà ancora in quella zona nonostante il pericolo? "Ripareremo la barca e torneremo a gettare le reti in quella zona, non abbiamo scelta, abbiamo famiglie da sfamare", risponde Mahdi.

Fonte: http://it.peacereporter.net