berlusconilupo

In principio fu il paragone con lo zar dei giorni nostri. L’Italia di Berlusconi? Nessun dubbio. Rischia di finire “come la Russia di Putin”. Parole pronunciate – nel settembre scorso e senza timore di mandare i russi su tutte le furie (e tanto meno di esagerare) – dal primo e indimenticabile segretario del Piddì. Walter “Santo subito (ma per i sostenitori del Pdl, però)” Veltroni. Ma quella fu giusto la stura. L’inizio, diciamo.

Poi è stato tutto un crescendo. Di Pietro – a novembre; giudicando il paragone troppo mite – ha pensato bene di rilanciare, citando il sanguinario dittatore argentino (la parola desaparecidos, vi dice niente?), Jorge Rafael Videla. Quindi – a febbraio; nei momenti più tesi del caso della povera Eluana Englaro – l’opposizione tutta (cioè Di Pietro; più il Piddì; più quel che rimane dei “compagni di merende” di Prc, Pdci, Verdi, Sinistra e Libertà; e chi più ne ha, più ne metta) ha gridato nientepopodimenochè al golpe. Dimenticando, tra l’altro, che se uno è un dittatore, è perchè il golpe, tante volte, l’ha già fatto. Ma questi, ai prodi leader del centrosinistra, devono essere sembrati dei meri dettagli (crono)logici. Perchè a quel punto – nella gara a chi le sparava più grosse – sempre il solito Di Pietro ha deciso di sbaragliare tutti. Berlusconi? E’ come Adolf Hitler, ha sparato l’ex magistrato. Confondendo pericolosamente i camerini di Mediaset con ben altre camere. Che, per altro, sapevano decisamente meno di paillettes e lustrini. E molto più di gas. Ebbene: quella del nazismo sembrava davvero l’arma totale. Ma, no. Perchè ieri anche il segretario numero due del Piddì, Dario Franceschini, ci ha messo del suo. Puntando tutto sull’originalità. E tirando a mano l’impronunciabile Turkmenistan e, già che c’era, pure l’Uzbekistan. E come diceva Totò a Peppino: “Ma sì… fai vedere che abbondiamo… abbundandis in abbundandum!”.

E a furia di abbondare, siamo arrivati a questo punto. “Il modello di Berlusconi sono alcune delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale, dal Turkmenistan all’Uzbekistan. Paesi in cui il potere personale del capo è intrecciato con il potere dello Stato e i poteri economici”, ha sentenziato Franceschini dalle colonne del “Corriere della Sera”. Scordando che in quei Paesi la parola libere elezioni non ha – praticamente – cittadinanza. E che affermazioni come le sue – in Turkmenistan o in Uzbekistan – forse non sarebbero mai finite neppure sui giornali. Comunque: va da sè che il paragone non ha fatto notizia. Oggi per conquistare la prima pagina, come minimo, bisognerebbe paragonare Berlusconi a Dracula (per le donne); a Diabolik o al Dottor Zero (quello che urlava: “Il mondo è mio!”) di Phantaman. Possibilmente messi assieme. Se no, ciccia. Eppure il problema rimane. E alcuni interrogativi – su questi allarmi in casa Piddì e dintorni – pure.

Perchè l’Italia – per lo meno a giudizio di chi scrive – sconta sul serio e per davvero un deficit di democrazia. E non da oggi. Prima monarchico e poi fascista, il nostro (ex) Belpaese nella prima metà del Novecento non si è certo distinto per il culto della democrazia. E neppure quel cataclisma chiamato seconda guerra mondiale ha cambiato a fondo le cose. In epoca pre-Tangentopoli – per cause, per così dire, di forza maggiore (lo strapotere degli Stati Uniti in Europa e la troppo presto dimenticata guerra fredda) – il nostro (ex) Belpaese è stato governato, in barba alla regola democratica dell’alternanza, da un unico (penta)partito: la Diccì e i suoi cespugli di centro e sinistra. Un “regime” durato la bellezza di quaranta e rotti anni. Ancora oggi rimpianto da molti (soprattutto al centro). Ma non da storici illustri come Guido Crainz, che nei suoi libri parla apertamente di “democrazia congelata”.

E poi, appunto: da Tangentopoli in avanti – ed è così da almeno altri tre lustri – l’intera scena politica è stata dominata da un macroscopico conflitto di interessi. E da un uomo che – per la durata di quattro governi (tutti presieduti da lui) – è riuscito di fatto ad allungare le mani sui principali poteri dello Stato (militare, legislativo ed esecutivo) oltre che sul cosiddetto quinto potere, quello delle tivù. Dando vita a un altro “strapotere” che si potrebbe definire mediatico. Che purtroppo non ha paragoni nè in Asia nè in Sudamerica. E che – forse sarebbe ora di ammetterlo – è al contrario un caso tutto italiano. Un caso che – come il resto del made in Italy – è per giunta a rischio imitazione. Visto che – proprio ieri – a vincere le elezioni a Panama è stato Ricardo Martinelli. Che non ha soltanto origini tricolori. Ma – per coincidenza – anche un paio di televisioni (oltre a una catena di supermercati).

Un eredità pesante. E problemi gravi. Che sollevano interrogativi grevi. Perchè gli italiani – votando – hanno dimostrato più e più volte di ritenere le regole di una democrazia occidentale sana un optional. E perchè, in effetti, le cose possono sempre andare peggio. Ma allora per quale ragione – se siamo sull’orlo del golpe – i leader democratici (Di Pietro, Veltroni e Franceschini e compagnia briscola) non fanno altro che litigare tra loro? E ancora: per quale ragione – se il Belpaese è a rischio addirittura Turkmenistan – il Partito democratico vive le prossime elezioni (quelle per le europee) con un atteggiamento in perfetto stile “business as usual”, candidando al solito una truppa di trombati e burosauri (da Cofferati a Domenici, passando per l’80enne Luigi Berlinguer)? E soprattutto e posto che all’origine di tutti i nostri problemi c’è un palese conflitto di interessi: ma perchè – pur avendo governato per 7 degli ultimi 15 anni – il centrosinistra non è mai intervenuto per risolvere il problema, salvo poi lamentarsene a ogni piè sospinto di fronte agli elettori?

Domande – come i problemi del Belpaese – destinate con tutta probabilità a rimanere senza risposta. Ma una cosa è certa. Anzi, due. Primo: in Italia, la situazione può essere grave, ma mai seria. E secondo: i leader dell’opposizione di turno forse farebbero bene a ricordarsi che a gridare “al lupo, al lupo” (anche quando il lupo c’è davvero) non solo non si risolvono i problemi. Ma si finisce per non essere più ascoltati.

Fonte: www.bamboccioni-alla-riscossa.org