di

Massimo Mazzucco

La seconda parte di "La Auschwitz del Vaticano" è dedicata al contributo dato dall’Italia alla "crociata purificatrice", di tipo etnico-religioso, condotta da Ante Pavelic nello Stato Indipendente della Croazia durante la Seconda Guerra Mondiale.
La terza e quarta parte, di prossima pubblicazione, copriranno l’alleanza della Chiesa con gli Ustasha, le specifiche responsabilità del clero croato nel genocidio dei serbo-ortodossi, ed il ruolo della Santa Sede nel più ampio quadro dei cosiddetti "silenzi" di Pio XII durante il periodo delle alleanze del Vaticano con gli stati nazifascisti.
Una volta completati, i vari capitoli saranno integrati da un filmato di supporto, e saranno ripubblicati tutti insieme nelle "sezioni" di luogocomune, come scheda storica permanente.

LA AUSCHWITZ DEL VATICANO
Seconda parte
I BALCANI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
IL RUOLO DELL’ITALIA


I BALCANI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

Questa cartina militare tedesca descrive la compenetrazione delle varie etnie all’inizio della II Guerra Mondiale, in quello che allora era il Regno di Jugoslavia. Come si può vedere, il blocco occidentale dei Serbi ("zona 1"), di religione ortodossa, rappresentava un ostacolo insormontabile per l’unità dei croati, di religione cattolica.

Il 10 Aprile 1941 la Germania di Hitler invase in Regno di Jugoslavia, e creò lo stato-fantoccio chiamato Repubblica Indipendente di Croazia, con a capo il dittatore Ante Pavelic.
Nella cartina sotto la ripartizione dei Balcani nel 1942, dopo l’invasione tedesca e lo smembramento della Jugoslavia. L’alleanza nazifascista controllava ora Croazia, Bosnia, Montenegro e Albania, avendo costretto il resto dell’etnia serba nell’ex-territorio della "zona 2". Tutti i serbi che vivevano nella zona 1 furono uccisi, scacciati o convertiti di forza al cattolicesimo.  Ma i convertiti e gli scacciati furono solo un’esigua minoranza.

In seguito nacque in Serbia (ex-zona 2) il movimento dei Partizan jugoslavi (fra cui c’era il futuro Maresciallo Tito), che oppose una tenace resistenza all’occupazione e all’avanzata germanica. Secondo molti storici fu proprio questa resistenza a rallentare le armate di Hitler a sufficienza da impedirgli di arrivare a Mosca prima dell’inverno (1943), gettando così le basi per la sua sconfitta nella II Guerra Mondiale.
IL RUOLO DELL’ITALIA

Per quanto non abbia partecipato militarmente all’invasione del 10 Aprile 1941, l’Italia aveva provveduto all’addestramento militare degli Ustasha, che sarebbero insorti nel territorio croato come "quinta colonna" al momento dell’invasione tedesca.

Addestramento militare degli Ustasha in Italia, nelle vicinanze del loro campo, prima dell’attacco alla Jugoslavia.

Il generale Mario Robotti della II Armata italiana incontra Ante Pavelic per discutere il coordinamento delle azioni militari nella Jugoslavia occupata.

In cambio della sua collaborazione, l’Italia ebbe l’Istria e la Dalmazia, parte della Slovenia e parte della Bosnia (zona in grigio), che rimasero sotto il suo controllo fino al 1943.

Nei territori occupati dall’Italia l’assoggettamento delle popolazioni non fu meno brutale di quello operato dai nazisti o dagli Ustasha. Le fucilazioni dei cosiddetti "ribelli" erano all’ordine del giorno anche da noi.

SOPRA: Italiani fucilano ostaggi in Montenegro. SOTTO: Un generale italiano controlla personalmente la fucilazione dei combattenti jugoslavi catturati nel villaggio di Larati, in Slovenia.

In una lettera alla Questura di Zara, il comandante del campo di concentramento di Melada facevo una richiesta urgente di 50 rulli di filo spinato:

"Faccio presente – si legge nel documento – che si rende assolutamente necessaria la recinzione completa del campo, onde evitare fughe da parte di qualche internato. A tale proposito bisogna rilevare che quando si presenta la motobarca di cod. Questura per prelevare gli ostaggi da fucilare, nel campo si nota un certo orgasmo, e c’è da temere che qualcuno, per paura di essere prelevato, tenti l’evasione per sfuggire alla fucilazione."

I rastrellamenti svuotavano interi villaggi, favorendo in questo modo il progetto di "pulizia etnica" di Ante Pavelic.

Soldati italiani conducono un "rastrellamento": masse di persone vengono portate ai campi di concentramento

Anche le rappresaglie erano diventate una routine in tutta la zona occupata, per obbligare i partigiani a consegnarsi e venire deportati.

Nè furono più teneri gli italiani al momento della loro ritirata, nel 1943. Ovunque passavano lasciavano alle proprie spalle morte, devastazione e villaggi bruciati.

SOPRA: Il villaggio di Goraji Orahovac, nella Boka Kotorska, fu totalmente incenerito dagli italiani. SOTTO: Gli italiani si concedono un riposo, dopo aver dato alle fiamme un villaggio appena attraversato.

Sulle macerie di un villaggio dalmata campeggia uno slogan di Mussolini: "L’odio giusto che vive nell’anima dei giovani popoli ha scelto: vinceremo!"

In "Scaramucce sul lago Ladoga,"  Roberto Bassi ricostruisce le peregrinazioni di una famiglia di veneti ebrei durante il fascismo. Particolarmente significativa questa testimonianza dell’allora Ammiraglio della Regia Marina italiana, Polacchini, riferita a Zagabria, nel ’42-’43: "Dei manifesti informano la popolazione che vi sarebbe stata una distribuzione straordinaria di carne. Qualche faccia sconvolta mi ha indotto ad avvicinarmi con il mio attendente a una macelleria del centro. Ai ganci del negozio sono appesi, con gli abiti insanguinati, molti uomini. Scritte in croato dicono: questa è l’unica carne che vi meritate, quella dei ribelli che si oppongono all’Italia." L’ammiraglio protesta, ma la risposta è che sono i fascisti italiani e gli ustascia croati a comandare.   LINK

L’avventura italiana in Istria e Dalmazia rappresenta ovviamente un capitolo a parte nella storia della Seconda Guerra Mondiale, ma è interessante notare quanto il nostro intervento militare abbia influito sulle vicende interne jugoslave, e soprattutto sul genocidio dei serbo-ortodossi nell’ambito del progetto di totale cattolicizzazione della Jugoslavia.
In questo rapporto a Mussolini, Italo Sauro – responsabile italiano per i territori slavi conquistati – sottolineava la necessità di arrivare alla completa "eliminazione dello slavismo". Nella stessa pagina leggiamo anche: "La lotta dovrà esser anzitutto precisa onde, ad esempio, ad un prete slavo si dovrà sostutuire un prete italiano che parli slavo, e ciò perchè in un primo tempo è bene agire lentamente per non provocare troppe opposizioni e andare facilmente in profondità. Il prete slavo dovrà in ogni caso essere prima affiancato a un italiano, e poi eliminato".

Nuovamente, la spada e la croce unite nel connubio inestricabile coltivato dalla Chiesa per quasi due millenni.
Tutte queste vicende infatti andrebbero inquadrate nel più ampio disegno delle alleanze storiche fra il Vaticano e i vari stati nazifascisti – Spagna, Italia, Germania, Portogallo, Belgio, Austria, Croazia – nate a partire dalla fine degli anni ’20 con lo scopo di ristabilire un "impero centrale", cattolico e assolutista, sulla falsariga dei grandi imperi del passato, imperniati sul concetto centrale di "romanità".



Immagini e documenti di questa pagina sono tratti da
"REPORT ON ITALIAN CRIMES AGAINST
YUGOSLAVIA AND ITS PEOPLE"
pubblicato da
Commissione Nazionale Jugoslava sui Crimini di Guerra
(Belgrado, 1947)
e da
"ITALIAN CRIMES IN YUGOSLAVIA"
pubblicato da
Yugoslav Information Office
(Londra, 1945)
(Il secondo documento è disponibile online: 1, 2, 3, 4, 5, 6)

 

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