Un po’ Grand Guignol. E un po’ tragedia greca. Un paio di giorni fa, Concita De Gregorio – direttore de “L’Unità”, quotidiano del fu Piccì ora Piddì – ha firmato un editoriale a tinte forti. Anzi: a tinte rosso sangue. Titolo: “Modi di morire”. Sfondo: la  disgraziatissima Italia che giace sotto l’orrido giogo berlusconiano (e che potrebbe,  va da sè, rifiorire se tornasse in mano a quei democratici del Partito democratico). Si chiedeva e chiedeva Concita: “A quale sacrificio siete disposti per difendere la democrazia (dall’orrido giogo berlusconiano, NdA)?”. E in modo vagamente marzulliano si rispondeva da sola: “Guardavo le foto del lago di sangue davanti al Palazzo di governo di Bangkok, ieri – trecento litri di sangue versati volontariamente dai manifestanti, qualche goccia a testa – pensavo che certo è un gesto simbolico formidabile capace di evocare all’istante i milioni di persone che il sangue e la vita ce li hanno messi tutti, per la democrazia”. Roba da svenarsi. Ma ammetteva anche il direttore de L’Unità: “A noi, qui, basterebbe molto meno”. Meno male.

Parole e paragoni forti. Ispirati allo scandalo italian style della settimana: l’inchiesta della Procura di Trani sulle oscure manovre, ça va sans dire, berlusconiane in casa Rai. Inchiesta che ha documentato – in maniera inequivocabile e a colpi di intercettazioni – i tentativi di Berlusconi di “stoppare” le trasmissioni a lui sgradite, a partire da AnnoZero. Inchiesta che – giustamente e toni melodrammatici a parte – fa dire al direttore del quotidiano del fu Piccì ora Piddì: indignamoci, protestiamo, agiamo. Unico neo: proprio i capoccioni del Piddì si sono indignati, sì, ma fino a un certo punto. E di protestare e agire, per ora, non se ne parla proprio.

Come mai?

Se lo è chiesto – anzi: lo ha proprio chiesto ai diretti interessati – anche una giornalista del “Corriere della sera”, Maria Teresa Meli. Esemplari le risposte dei piddini. L’inchiesta di Trani? “E’ evidente che Berlusconi vuole usarla per fare la vittima e portarci all’ennesimo referendum su di lui: non possiamo farci trascinare in questa trappola”, il segretario Pierluigi Bersani dixit. “E’ chiaro che il Popolo delle Libertà vuole sfruttare la vicenda in campagna elettorale. Questi magistrati vogliono proprio far vincere Berlusconi… e noi ci mettiamo del nostro difendendo Santoro dodici volte al giorno“, ha fatto autocritica il deputato Piddì ed ex ministro della Pubblica istruzione (nell’ultimo governo Prodi), Beppe Fioroni. “D’altra parte lo schema è sempre lo stesso da sedici anni. I magistrati prima delle elezioni tirano fuori qualcosa su Berlusconi e lui parte a testa bassa contro di loro. Non se ne può più di questa roba. Anche perchè l’unico che se ne avvantaggia è il presidente del consiglio”, si è lamentata la deputata Piddì, Anna Paola Concia.  Che ha anche aggiunto che l’inchiesta di Trani “non la si capisce tanto bene”. Più sibillino il tesoriere dell’ex Piccì ora Piddì, Ugo Sposetti: “La verità – ha sospirato – è che siamo tutti intercettati”.

Già, la verità.

Vero è che la verità giudiziaria, la stabiliranno i giudici; e bisognerà aspettare – visti i soliti tempi lumaca della giustizia italiana – ancora a lungo. Vero è pure che l’inchiesta – per come è stata condotta – suscita più di un dubbio (come ha osservato in punta di diritto, tra gli altri, il giurista Carlo Federico Grosso sulle pagine de “La Stampa”). Ma vero è anche che le indebite pressioni berlusconiane sulla Rai sono – ormai – un fatto di dominio pubblico (e non da oggi).

Le intercettazioni messe nero su bianco dalla Procura di Trani e pubblicate da tutti i giornali sembrano uscite direttamente dalla penna del miglior Paolo Villaggio. Il megapresidente galattico, Silvio Berlusconi alzava la cornetta. Voleva veder stoppata, per l’appunto, AnnoZero, la trasmissione di Michele Santoro. Non gli sembrava di chiedere troppo. E non esitava a fare fuoco e fiamme. A ripetizione: “Questo (ossia Santoro, NdA) va in onda e voi non fate un cazzo?”. “Che cazzo state a fare tutti quanti!”. “Fai un casino della madonna, devi fare una dichiarazione pubblica e dire: mi vergogno di appartenere a un’autorità che fa schifo e non fa niente”. E avanti così. Fino all’ultimo schiaffo (morale): “Fate schifo. Non siete un’authority, siete una barzelletta”.

L’authority – per la cronaca – era l’Agcom, cioè quell’organismo – in teoria indipendente e super partes – che dovrebbe vigilare su tivù, radio e media vari. Ancora per la cronaca: l’orecchio bollente vittima degli strali berlusconiani, invece, era quello di un signore che siede nel consiglio dell’Agcom, al secolo Giancarlo Innocenzi. Innocenzi, al telefono con il megapresidente galattico, rispondeva agli insulti balbettando che lui ce la stava mettendo tutta; che era pronto a fare – parola sua – anche il “tupamaro” (insomma: il guerrigliero) con “bombe” e tutto quanto. Ma a convincere i colleghi dell’Agcom a fermare Santoro, proprio non ce la faceva. E allora giù altre umiliazioni e contumelie da antologia. Umiliazioni e contumelie che Innocenzi -  sempre intercettato e con tono fantozziano – raccontava, con mirabile sintesi, così: “… E poi (Berlusconi, NdA) mi ha fatto un culo che non finiva più”. Oppure: “Mi ha fatto due sciampi”. O ancora: “Mi manda affanculo tre volte al giorno”. Il consigliere Agcom più insultato d’Italia, il più delle volte, si consolava spiegando dinamica di “sciampi” e “affanculamenti” al direttore generale della Rai, Mauro Masi. Che, a un certo punto – pure lui intercettato – invece di incitare il bistrattato consiglire ad avere un sussulto di dignità, sbottava abbacchiato: “(…) nemmeno in Zimbabwe”.

Questo, in sintesi, lo spettacolino offerto dall’inchiesta che tanto ha fatto indignare il direttore de L’Unità. Una comica. Roba, appunto, da film di Fantozzi. Che però non si apprezza fino in fondo, se non si sa che Fantozzi-Innocenzi – quello che siede nel consiglio dell’authority indipendente, che dovrebbe vigilare su Rai e Mediaset (con tanto di lauto stipendio pagato dai contribuenti: circa 400mila euro all’anno, secondo il Fatto Quotidiano) – ha un curriculum di tutto rispetto. Ex dipendente Mediaset, è stato sottosegretario al ministero delle Comunicazioni dal 2001 al 2005. Ovvero durante il governo Berlusconi 2. Più indipendente e super partes di così, insomma, si muore. Dal ridere, però.

E allora? E allora – indignazione, proteste e proposte di svenarsi a parte – non ci sarebbe occasione migliore di questa per tirar fuori dal ripostiglio delle cose vecchie – una volta e per tutte – l’annosa questione del conflitto di interessi berlusconiano. Non ci sarebbe occasione migliore di questa per chiedere a gran voce una riforma di quella autorità garante per le comunicazioni che in questi anni non ha certo brillato per iperattività (tra parentesi, come è possibile che un ex dipendente Fininvest sieda nel suo consiglio di amministrazione?, chiusa parentesi). Così come non ci sarebbe occasione migliore di questa per proporre nuove regole per la Rai che impediscano a persone come Mauro “… nemmeno in Zimbabwe” Masi – ex segretario generale della Presidenza del consiglio dei ministri, chiaramente del governo Berlusconi – di andare a occupare le poltrone che contano nella televisione di Stato, che dovrebbe essere pubblica e non servire interessi di parte. E soprattutto non ci sarebbe occasione migliore di questa per mettere sul piatto qualche idea per una riforma della Legge – la Gasparri, per la cronaca – che regola l’intero sistema radiotelevisivo italiano e costringe gli spettatori, da decenni, a sorbirsi l’assurdo duopolio Rai-Mediaset. Insomma: oltre ad indignarsi, per l’opposizione, ci sarebbe tanto da dire, da progettare, da fare.

A meno che.

A meno che, per i democratici de’ noantri, non contino di più altri calcoli e altre verità. Per dire: prendiamo il problema numero uno: la Agcom. Come ha ricordato il giornalista del “Corriere della sera”, Sergio Rizzo, in un articolo pubblicato giusto mercoledì scorso: i consiglieri di quella autorità che dovrebbe vigilare su Rai e Mediaset sono 8, e nominati per metà dalla maggioranza e per metà dall’opposizione. Il risultato è che 5 sono ex politici. Oltre all’involontario protagonista dell’inchiesta di Trani – il consigliere più insultato d’Italia, Innocenzi, ex sottosegretario del penultimo governo Berlusconi – troviamo:

2) Michele Lauria, ex senatore della Margherita ed ex sottosegretario per le Comunicazioni del governo Amato (Amato Giuliano, premier di centrosinistra tra il 2000 al 2001).

3) Gianluigi Magri, un tempo capogruppo Dc e poi Ccd al Comune di Bologna; e ora in quota Udc.

4) Roberto Napoli, ex senatore Ccd, ora mastelliano dell’Udeur (nonchè tra gli ospiti d’onore all’ultima festa sempre dell’Udeur, a Ceppaloni).

5) ed Enzo Savarese, già deputato di Alleanza nazionale tra il 1996 e il 2001.

E poi, sì, ci sono tre “laici” che troppo “laici” non sono. Come:

6) l’ex direttore generale della Federazione italiana editori giornali (Fieg), Sebastiano Sortino;

7) Nicola D’Angelo, capo di gabinetto dell’ex ministro per le Comunicazioni, Antonio Maccanico (centrosinistra).

E per finire Stefano Mannoni, tanto vicino al Popolo delle Libertà, che ieri ha dichiarato che nelle telefonate tra il collega Innocenzi e il premier Berlusconi sono normali. Non c’è nulla di male, perchè così fan tutti. Cioè, ha assicurato Mannoni, tutti i membri dell’authority si confrontano – si spera se non altro più civilmente – con i loro politici di riferimento per quel che riguarda tivù e media a partire dalla Rai.

E così, appunto, veniamo alla televisione pubblica. Come si scelgono i giornalisti che informano i cittadini? Qualche spunto ce l’ha dato uno dei volti più noti di Rai3, Lucia Annunziata. Che è stata anche presidente Rai. E che due giorni fa ha rilasciato un’intervista a “il Fatto quotidiano, intitolata – in maniera un tantino fuorviante – “Minzolini non fa il giornalista, ma il militante”. Nell’intervista, infatti, Annunziata ha criticato Minzolini per i suoi eccessi di partigianeria (Minzolini “sbaglia ad abbracciare la stessa causa di chi lo ha nominato”). Ma ha spiegato anche – senza tanti peli sulla lingua – il meccanismo di nomine e carriere:

“Guarda – ha detto rivolgendosi alla giornalista de “il Fatto”, Sandra Amurri – tutti i direttori Rai vengono nominati dalla politica. Non ci sono scelte professionali, la professionalità è messa in conto, ma la scelta è di natura politica. Io sono stata nominata direttore del Tg3 dal governo Prodi (…). Ripeto: la Rai è di proprietà della politica, i direttori sono di parte politica per definizione (…)”.

Senti, senti: “I direttori sono di parte politica per definizione”, e “la Rai è di proprietà della politica”. E le presunte voci libere che Berlusconi voleva stoppare – Santoro compreso – invece da chi sarebbero stati “nominati”, da chi sarebbero sostenuti, a chi appartengono? Mistero. La giornalista de “il Fatto quotidiano” si è dimenticato di chiederlo.

Un vero peccato. Perché avrebbe aiutato a completare il quadro. Quadro che – però – già così è abbastanza chiaro. L’autorità che vigila sull’informazione in tivù è in mano ai partiti. La Rai – a quanto pare – pure.

Di qui il sospetto che i compagni di un partito in particolare – quello democratico – se ne restino con le mani in mano – deludendo la povera Concita – per una ragione ben precisa. Anzi, due. Primo: per timore che saltino fuori altre pressioni – magari – di segno opposto. Secondo: perchè sollevando la questione informazione , c’è il rischio che si rompano degli equilibri, e che si perdano spazi e poltrone (in Rai e fuori). Tradotto: chiedendo a gran voce un’informazione libera – in Rai e fuori -, c’è pur sempre il rischio che l’informazione si liberi davvero. Anche dal giogo dei partiti, partito democratico – per l’appunto – compreso. Sospetti che il Piddì potrebbe smentire facilmente. Agendo e dimostrando la sua buona fede. Cosa che però per ora non è accaduta. E che all’orizzonte, manco si intravede.

Domanda: e allora ha ragione chi dice – come il berluscones di cui sopra – che così fan tutti e che non c’è nulla di male? Risposta: sarebbe bello crederci, ma non è così. Un problema a destra (il conflitto di interessi e una spiccata passione per la censura) più un problema a sinistra (la lottizzazione selvaggia degli spazi lasciati liberi da Berlusconi) non fa pari e patta. Fa due problemi che gravano sulle spalle dei contribuenti. Contribuenti che – oltre al danno, la beffa – pagano pure un canone salato per vedere la Rai e sorbirsi a reti unificate liti e inviti all’indignazione vari. Più che una tragedia, ci consenta la signora De Gregorio, comunque questa ha tutta l’aria di una commedia. All’italiana, s’intende.

 

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