DI

ALESSIO MANNINO
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Legge-bavaglio sulle intercettazioni: avanti così, verso l’oscurantismo. Ma siamo proprio sicuri che oscurare le notizie sia un male in sé? In altre parole: essere informati sempre e comunque, è un valore? La nostra risposta, amareggiata poiché una decente informazione su questo giornale presumiamo di fornirla, è no.

Gli scandali, infatti, non fanno più scandalo. Secondo l’ultima versione della mannaia Pdl sui segreti telefonici, «mai le intercettazioni saranno pubblicabili (nemmeno per riassunto) fino al processo, anche se ormai depositate e non più coperte da segreto, anche se penalmente rilevanti e su fatti non privati ma di interesse pubblico», come ha scritto ieri nel suo fondo in prima pagina sul Corriere l’ottimo cronista Luigi Ferrarella. I giornali che violeranno questo divieto saranno spellati vivi da multe di 309 mila euro a notizia, obbligando l’editore a vigilare sul lavoro dei giornalisti affinché non commettano il reato di lesa pubblicazione. Siamo quindi alla censura preventiva di Stato ma senza dirette misure di polizia, bensì tramite lo strumento, più morbido e viscido perché relegato al rapporto fra proprietà e redazioni, del Minculpop interno alle testate.
L’ennesimo colpo di piccone ad un diritto fondamentale della liberal-democrazia, la libertà d’informazione tutelato dall’articolo 21 della Costituzione. L’indignazione, ormai quotidiana per la stretta autoritaria del regimetto di Berlusconi, monta e sale, ancora una volta. Ma è un moto di rifiuto che essendo diventato routine, si fa assuefazione, speculare e contraria all’indifferenza con cui la maggior parte degli italiani accoglie queste news. L’industria dell’angoscia e del divertimento, il bastone e la carota con cui i media teleguidati dalla pubblicità lobotomizzano il cittadino-consumatore, trova il suo corrispettivo polemico nell’industria dell’indignazione e della mobilitazione permanente. La prima fa credere che esistano da una parte solo eventi luttuosi o irrazionali (cronaca nera, calamità naturali, crisi considerate come fatti inevitabili) e dall’altra spettacoli per distrarsi e farsela passare (i reality show, il gossip, i pettegolezzi, le “curiosità”); la seconda controbatte con requisitorie contro il potere politico ed economico ma a senso unico, parziali, viziate dall’ottica ristretta per cui in una democrazia occidentale basta rovesciare i mascalzoni al governo e tutto rifiorisce, come per magia, come se il problema non sia il sistema di vita che ci vede tutti sulla stessa barca. 
Sia ben chiaro: al primo modello, stile Studio Aperto, è preferibile il secondo, tipo Fatto Quotidiano, quanto meno perché quest’ultimo poggia su una moralità (benché acquattata sul contingente e nello specifico sull’antiberlusconismo eretto a metafisica). Ma entrambe sono facce della stessa medaglia, la fabbrica del nonsenso: si va da uno stordimento per ignoranza e manipolazione ad un automatismo da incazzati in servizio permanente effettivo, che la sanno sempre molto lunga ma in realtà sono dipendenti dalle malefatte altrui, e ne costituiscono, magari inconsapevolmente, il complemento e perciò il completamento. Gli uni si scontrano contro gli altri ma, psicanaliticamente, ne sono l’ombra, ripudiata e al tempo stesso cercata, desiderata, indispensabile.  Ecco perché, dai e dai, la notizia del giorno, che sia pure frutto dell’intercettazione di turno, smuove le coscienze già smosse e lascia in un beato menefreghismo gli indifferenti abituali. Il bavaglio alla stampa è un’ignominia, d’accordo. Tuttavia, crediamo di poter affermare a ragion veduta che con la stampa che ci ritroviamo non è una gran perdita. La china su cui stiamo scendendo a passi da giganti ridurrà sempre più ampie parti dell’opinione pubblica alla disinformazione come fatto compiuto. Chi si batterà per contrastarla sarà condannato all’invisibilità e alla carboneria. Ma ricordiamoci che le più grandi rivoluzioni della Storia non si sono fatte stando ai primi posti della classifica di Freedom House. Si sono imposte, a prezzo di sacrifici e di sangue, con il prorompere della necessità di un popolo di abbattere i propri tiranni. E più la tirannia stringe il cappio, più cresce la necessità della ribellione. Più ci imbavagliano, più aumenta il bisogno vitale di respirare. Avanti così dunque: più ci umiliano, e prima verrà il giorno della ghigliottina.   

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