DI

LAYLA ANWAR
An Arab Woman Blues
 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dov’è che la linea tra ciò che è Reale e ciò che è Surreale si annulla?
Questo sentimento raccapricciante del Surreale mi segue ovunque io vada… Non sto esagerando.
In più di un’occasione, mi sono data un pizzico, per essere sicura che non stessi sognando.
Ho molti esempi di Surreale appesi alle maniche, che non vogliono andare via, come bambini che si aggrappano, che chiedono l’attenzione, che chiedono d’essere ascoltati…
2001.
Una delle prime immagini surreali che mi viene in mente è quella di quando ho visto due aerei volare dentro dei palazzi. A primo impatto ho pensato si trattasse del trailer dell’ennesimo film d’azione hollywoodiano. Ho aspettato pazientemente per vedere chi fossero i protagonisti ed i co-protagonisti di questo nuovo film che sarebbe uscito in tutto il mondo…
Ma non era un produzione cinematografica, era tutto reale. Poi, dopo pochi minuti, ho visto un presentatore della CNN agitare un passaporto estratto dall’ammasso di macerie e cemento ridotti in polvere – un passaporto intatto, che portava il nome di un certo Mohammed Atta. Mi sono data un forte pizzico. Non stavo sognando. Il telefono ha squillato, per prima cosa ho detto – può essere vero? Senza neanche sapere chi mi stesse chiamando.
E la prima risposta che ho sentito – è stata: “Massrahia”, che in arabo significa messa in scena.
Un’altra immagine che continua ad apparire nella mia mente è venuta poco dopo la messa in scena – l’immagine di Bush in una scuola elementare che tiene un libro sottosopra – fingendo di essere interassato ad una storia per bambini sulle capre… Non molto tempo dopo – ho sentito che avrebbero dato la caccia alle capre musulmane in Afghanistan. Così chiamavano gli afghani e Bin Laden, il pastore delle capre, si nascondeva in una grotta a Tora Bora, una caverna dotata della più sofiscticata tecnologia.
A pensarci bene – questi episodi surreali che continuano a perseguitarmi – sono iniziati prima di quel giorno di settembre. Sono cominciati nel 1990 – proprio prima della prima guerra del Golfo, prima dell’operazione Desert Storm.
1990.
Ricordo diagrammi, slides di power point rappresentanti il bunker sotterraneo di Saddam Hussein, che sembrava una piramide, con tunnel sotterranei a collegare diversi punti “strategici” nella città di Baghdad. Ancora, dotata d’alta tecnologia, postazioni computerizzate, missili telecomandati, raffinatissimi strumenti di telecomunicazione connessi al commando generale dell’esercito iracheno.
Tra me e me ho pensato che si dovesse trattare del trailer di un altro episodio di Star Trek… Ma non lo era.
Dopo centinaia di tonnellate di bombe sulle nostre teste, che mi destavano da questo film di fantascienza, abbiamo scoperto che i bunker in questione non erano altro che lamiere di rottami, sotto le quali i soldati trovavano rifugio, nel deserto.
Poi, immagini ancora più surreali sono apparse dal nulla… lasciando tracce di sangue secco nella sabbia ardente del deserto…
Una di queste immagini è quella dei soldati americani che prendono a calci un pallone – il pallone era la testa di un iracheno, una testa recisa, un teschio. Un’altra immagine sono i soldati americani che tengono cervelli di iracheni in barattoli come trofei – ma li lasciano nel frigorifero del campo – buoni e sicuri rimedi alimentari. Mantenete sempre i vostri trofei umani freschi e croccanti, proprio come per i vostri prodotti animali – sapete, carne, latticini, quel genere di cose… (A proposito: ho sentito che i vostri ragazzi americani fanno ancora collezione di trofei – dita di afghani – spero li teniate in dei barattoli, come cetriolini – sapete, le dita tendono a decomporsi velocemente).
Nella mia mente ci sono flash di altre scene, mi scorrono davanti agli occhi ed io sto qui a cercare di catturarne una, come fosse una mosca…
1990.
Si, eccola che torna… La mosca – quella dannata mosca davanti il mio naso. Le do un’ultima soffiata e cade a terra, si schianta come un MIG. La guardo giacere tra i miei piedi, prendo un fazzoletto, la raccolgo e ce la metto accuratamente dentro, lo piego e conservo quell acreatura scioccata ed impaurita nella mia borsa. Spero di trovare il vecchio. L’ho intravisto nel suk… Me lo ricordo abbastanza bene, aveva occhi piccoli e luminosi, niente denti frontali, un corpo davvero esile, uno scheletro in stracci. Teneva una borsa in mano… Mi si è avvicinato con un sorriso.
“Comprane una per me” mi disse. Ho dato un’occhiata nel suo tesoro – una borsa piena di mosche morte. “Comprane una come mangime per i tuoi uccelli” mi disse, con voce implorante.
Ho conservato la mosca imbalsamata nella mia borsa, nelle speranza di trovare l’Hajji [in arabo: il vecchio, ndt] e di darla a lui.
Si, eccole che strisciano di nuovo, quelle scene, come vermi dalle viscere della terra… Strisciano di nuovo sulla mia pelle… Come un incubo.
Quelli erano gli anni delle sanzioni. L’Hajji con le sue mosche morte, il mio album di foto di piccoli mostri da DU, il mio album di Frankestein, le ho collezionate come l’Hajji collezionava mosche morte… ancora e ancora…
Un corridoio d’ospedale, una sala emergenze, un elettrocardiogramma senza inchiostro, l’inchiostro era proibito. Un uomo morto, uno zio che giace lì. Niente inchiostro. Il dottore scuote la testa. È morto.
Un’altra immagine – broncopolmonite, forse. Bisogna fare una radiografia. Niente radiografia. Proibita. Nonno muore.
Un’altra immagine, una dopo l’altra… Ammassi di mobili, libri, vestiti messi in vendita… Mi do un pizzico… È reale. Bambini che fanno salti di gioia quando gli si regala una matita – le matite erano proibite.
Le immagini ora si accatastano in mucchi davanti a me – come documenti da passare in rassegna e firmare, come documenti impilati di fronte ad un comitato dell’ONU, un comitato in una stanza piena di comode sedie di pelle e uomini in completo ed occhiali, con lo Statuto che dondola sullo sfondo, appeso ad un muro debole e sul punto di crollare…
Sfoglio le immagini, adesso siamo nel 2003.
2003.
Appare un’altra immagine surreale, suoni e colori… “I fuochi di artificio hanno illuminato I cieli di Baghdad” dice una voce dal suono nasale. Sono le prime luci dell’alba, le 4 per essere precisi. Sento un gallo e la chiamata dai minareti con il loro Allah Akbar che affogano nella marea delle esplosioni… mi aggrappo al filo che traccia la mia strada tra quelle voci che annegano, una naufraga in un mare violento, che si tiene ad una fune… la chiamata di un minareto ed un gallo…
Galli, arrostiti… sfogliando l’album nella mia mente…
2007.
Omar aveva 13 anni, presto 14, ma non abbastanza. Viveva ad Adhamiya. Rapito dai militanti sciiti – l’esercito di Mahdi, la cui icona – il tizzone ecclesiastico Muqtada Al-Sadr – è l’idolo dei media alternativi, in particolare dei Rosens e dei Cockburns di questo mondo. Lasciamo da parte il trivellatore ed i suoi discepli Black&Decker per il momento. Omar…
Arrivò la notizia che Omar era stato rapito, torturato e seppellito a najaf – la nera città sacra dei trapani, le catene, i bastoni e le fosse.
Un sunnita che avesse voluto viaggiare fino a Najaf per recuperare il corpo di Omar era come qualcuno che firmasse il suo stesso certificato di morte, come un kamikaze che sta per compiere Hara-Kiri. Ma la madre di Omar non avrebbe rinunciato.
Voleva suo figlio, anche se morto… Lo zio K. Ebbe un’idea brillante. La madre di Omar avrebbe vaggiato fino a Najaf in macchina, ma dentro una bara. E così fece. È rimasta in una bara messa sopra il tetto di una macchina. Un’altra macchina la seguiva, nella speranza di riportare indietro Omar in un’altra bara.
Alla famiglia di Omar fu detto che in cambio di una certa somma di denaro, sarebbero stati in grado di recuaperare il corpo del defunto. Quando Umm Omar [in arabo: la mamma di Omar, ndt] arrivò a Najaf, si buttò in terra per baciare i piedi dell’uomo.. Lui, in piedi, disse con una voce fredda e crudele – non c’è nessun Omar qui.
Il convoglio di due macchine torno a Baghdad con la madre di Omar in una delle due bare sopra il tetto di una delle macchine.
Ho altre immagini… Ognuna è legata ad una storia… ho bisogno di capitoli, volumi per annotarle tutte.
2010.
Quelle che seguono non sono le ultime della serie del Surreale. Sono il loro seguito. Altre ne verranno, altre verranno rivelate con il passare dei giorni e degli anni, come una tempesta di sabbia che ingiallische le pagine di un libro la cui storia non ha mai fine, lasciando depositi di sabbia calda, tracce di sangue, ferite di pugnali nel cuore…
Uno sfascio, scarti, metallo, pezzi e frammenti… L’esercito americano lascia Ground Zero, sulla superficie.
La spazzatura americana mette in disordine il suolo iracheno, i soldati hanno lasciato questo accampamento… come un ospite indesiderato che esce da casa tua lasciandosi alle spalle il caos… Ti ha incasinato la casa, le relazioni, la vita… Vivendo del tuo cibo e della tua acqua per anni… Rubando ciò che poteva, rompendo ciò che poteva, usando ciò che poteva, fottendo ciò che poteva… Come uno di quei turisti che vedi intorno ai tavoli di un resort hotel, riempendosi la bocca con tutto quello che possono prendere dal buffet della colazione, riempendosi fino ad esplodere e portandosi via altro cibo… nelle tasche, nei pantaloni, nella biancheria… Per poi fare il check out, lasciando i materassi della loro stanza di albergo infestati dai loro pidocchi pubici che strisciano in pozze di sangue e sperma secchi…
Così come quella discarica lasciata dagli americani nella periferia di Falluja, non lontano da Mahmoudiah, dove la camicia di Abeer Al-Janabi è stata rubata da quattro coraggiosi ragazzi americani che hanno banchettato con ali di pollo arrosto ed il suo corpo abbrustolito.
Falluja, la Hiroshima e Nagasaki nel nuovo ordine mondiale, dove i tumori sono diventati segnali stradali che ti conducono in una città dove una volta c’era vita… Dove i tumori si sono atteggiati da amici con i bambini, come un Babbo Natale che porta un sacco pieno di giocattoli…
Quindi qui è dove gli americani hanno lasciato il più della loro spazzatura… Da vendere a chili, fatta di gabinetti dell’esercito, marchiati dalle feci dell’uomo bianco, una lettera d’addio… rottami di metallo dai carri armati ed altre armi di distruzione di massa, resti di un fuoco amico, dal popolo americano amante della pace – il tutto al prezzo scontato di 4.000 dollari. I mercanti iracheni acquisteranno ogni singolo pezzo e frammento del metallo che li ha uccisi per 4.000 dollari. Li ricicleranno, proprio come l’Hajji nel mercato di Baghdad con la sua borsa di mosche morte…
L’ultima immagine, per oggi… Ma solo per oggi, perchè la mia storia non finisce, non ancora…
Ho una lunga storia da raccontare… Non ha inizio e non ha fine… Quindi non consideratelo come il mio ultimo capitolo, è solo un capitolo, senza titolo e senza numero… In qualsiasi modo si sfogliano queste pagine, si tornerà sempre all’inizio e alla fine…
Una coppia di americani viveva in Kuwait… Bevevano, fottevano e facevano un sacco di soldi dall’alto della loro ignoranza tatuata sulle loro braccia e sui loro curricula. Il beduino è una creatura incostante del deserto, il beduino è l’invenzione dell’uomo inglese. Lavora per lui, pulisce il suo cappotto e gli da un lavoro. Così gli americani e gli inglesi vengono presi a lavorare nel Golfo. Credetemi su questo punto. Un paio di puttane dall’America e/o dall’Inghilterra atterrano e vengono considerati i signori della terra.
Mi sono imbattuta in molti di loro… Un altro momento surreale… Le arie che si danno, infuse da una presunta conoscenza della “cultura locale”, tra un gin tonic ed una birra… Tra sveltine con prostitute e commissioni d’affari… Tra… (Questo lo lascio per altri capitoli)…
Quindi questa coppia di prostitute americane sono rimaste traumatizzate dalla penetrazione di Saddam in Kuwait… Così va la storia… Erano così traumatizzate, che loro, insieme ai papponi beduini per l’America e l’Inghilterra e con i loro Mullah papponi di Tehran, stanno chiedendo risarcimento per il trauma…
Sapete, quando hanno visto l’esercito iracheno marciare sul Kuwait, questi americani se la sono fatta addosso. E da quel giorno, hanno balbettato tra i dollari – 400 milioni di dollari. Questo è un vero trauma. Non siete d’accordo? Ok, sicuramente non è stato tanto brutto quanto il tremore degli arti da Abu Ghraib dopo la crocifissione ed i cavi elettrici attaccati ai genitali, ma tuttavia, è un trauma, un enorme trauma.
Me la sono fatta addosso anche io… Sebbene non soffra di incontinenza urinaria. Me la sono fatta sotto quando le finestre hanno tremato e schegge di vetro sono volate oltre il mio naso – atterrando sul tavolo dove una sola, piccola candela era accesa – come falene che vogliano morire nella luce…
Si, trauma… Il trauma di un Ground Zero, infinito… Tracciato con inchiostro rosso, senza inizio e senza fine.
Titolo originale: "Ground Zero in Red Ink… "
Fonte: http://arabwomanblues.blogspot.com
Link

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO