stato islandese paga mutui

L’Icelandic Financial Services Associacion ha pubblicato un rapporto da cui si evince che lo stato islandese paga il 13% del PIL nazionale, cancellando i mutui ipotecari di un quarto della popolazione.

A tale notizia si affianca l’avanzamento delle indagini inerenti il crack finanziario che l’Islanda ha vissuto nel 2008.

Il paese europeo meno popolato (320 mila abitanti spalmati su di una superficie pari al triplo del suolo italiano), nei primi anni del duemila ha visto un eccezionale boom economico. Le banche, privatizzate a partire dal 2003, hanno attirato tantissimi investitori stranieri, in particolare inglesi e olandesi, grazie a vantaggiosi conti on line dai minimi costi di gestione e dagli alti tassi di interesse. Il conto "IceSave" portò un’esponenziale crescita degli investimenti, ma, contemporaneamente, alla crescita del debito estero delle banche stesse che, nel 2007, sfiorava il 900 per cento. Nell’anno seguente, la crisi generale dei mercati finanziari, fece crollare le principali banche del paese, la Landsbanki fu la prima a subire il tracollo e ad essere nazionalizzata.

Il colpo di grazia lo diede la perdita del potere d’acquisto della corona sull’euro, decuplicando il debito e sancendo la bancarotta. A questo punto il Fondo Monetario Internazionale accordò all’Islanda un prestito di 2 miliardi e 100 milioni di dollari, cui si aggiunsero altri 2 miliardi e mezzo da parte di alcuni Paesi nordici.

Il governo di dimise ed il nuovo, eletto con elezioni anticipate nell’aprile 2009, varò una manovra di salvataggio che prevedeva il pagamento di 3 miliardi e mezzo di euro da parte della popolazione. Ogni islandese avrebbe dovuto sborsare, per 15 anni, 100 euro al mese.

Il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, per evitare che gli utili fossero privatizzati mentre le perdite nazionalizzate, indisse un referendum con la pronta risposta intimidatoria da parte dell’Olanda e dell’Inghilterra che minacciarono l’Islanda sia di isolamento sia di congelare i conti dei cittadini. Il referendum si fece nel marzo 2010, con il 93% dei votanti a favore, ed il Fmi bloccò il prestito concesso.

Per opporsi allo strapotere delle banche si volle creare una nuova costituzione islandese per permettere ai cittadini di votare per eleggere direttamente i 25 membri del Consiglio Costituente. Il governo, intanto, si era mobilitato per accertare le responsabilità civili e penali del crack così che l’Interpool emise un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidente della Kaupthing, Sigurdur Einarsson.

Per impedire la bancarotta, lo Stato stipulò un accordo con le banche che prevedeva l’annullamento dei debiti eccedenti il 110 per cento del valore della casa per evitare che gran parte della popolazione rischiasse di perdere la propria abitazione.

Negli scorsi giorni le indagini sul crollo finanziario hanno subito un’accelerazione, infatti, il procuratore speciale islandese, Olafur Hauksson, ha concentrato le accuse di frode e malversazione nei confronti l’ex Ceo della Kaupthing Bank, Hreidar Sigurdsson, e contro il presidente Sigurdur Einarsson.

L’Islanda ha percorso e sta percorrendo la strada che punta sulla sovranità popolare, una volontà che si erge su ogni altro accordo internazionale. La strada degli aiuti da parte di Bce e Fmi, la strada della privatizzazione, della rinuncia ai beni comuni ed ai diritti è, invece, il binario italiano. Alla luce di ciò… il popolo italiano sta perdendo la sua sovranità?

 

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