di

Marco Cedolin

 

 

 

 

 

 

E’ di questo pomeriggio la notizia dell’ennesimo incidente in una delle vetuste centrali nucleari francesi. In questo caso si tratta dell’impianto di Fessenheim in Alsazia, a pochi passi dal confine con la Germania, il reattore in assoluto più vecchio (fu inaugurato nel 1977) fra i 58 del paese che il presidente Hollande aveva inserito fra gli argomenti della propria campagna elettorale, promettendone la chiusura entro il 2017, sempre che la centrale riesca ad arrivare integra fino a quella data.
Come sempre accade qualora si tratti di disastri nucleari le notizie sono poche e frammentarie e dopo che in un primo tempo i giornali avevano parlato di un incidente serio, con morti e feriti, citando come fonte i vigili del fuoco dell’Alto Reno, l’accaduto è stato prontamente ridimensionato non appena la fonte è diventata Edf (che controlla l’impianto) ed ha riferito di una semplice fuga di vapore di acqua ossigenata, prodotta dopo che in un serbatoio era stato iniettato perossido che ha reagito con l’acqua. Fuga che non avrebbe provocato gravi conseguenze, tranni lievi bruciature alle mani di due operai….
Insomma come spesso accaduto in passato difficilmente riusciremo ad avere un quadro realistico riguardo alla reale portata di questo incidente, non solo in termini di danni agli operai coinvolti, ma anche di eventuali rilasci di radioattività nell’ambiente. Sulle home page dei grandi giornali la notizia è già scalata in poche fra quelle di secondaria importanza e domani con tutta probabilità non ne resterà più alcuna traccia.
Un quadro realistico a tinte fosche, quanto mai limpido nelle sue coordinate, è invece quello costituito da almeno un centinaio di vecchie carcasse nucleari presenti in tutta Europa che scricchiolano e stridono sotto il peso degli anni, con il rischio di deflagrare, non appena un incidente o un evento naturale intervenga a metterne in crisi l’integrità.
I governi esitano a chiudere gli impianti (preferendo procastinare di volta in volta lo spegnimento dei reattori), perché lo smantellamento degli stessi risulta costosissimo e produce un’enorme quantità di scorie radioattive che andrebbero stoccate in sicurezza, ma gli scienziati non hanno la benchè minima idea di dove e come possa avvenire un’operazione di questo genere.
La politica prevalente continua ad essere quella del tirare a campare, incrociando le dita e sperando che nessuna di queste bombe ad orologeria malauguratamente esploda.
Fra la prospettiva di un disastro di proporzioni bibliche possibile ma non probabile e quella di un esborso monetario sicuro, di rilevanza tale da dimostrare l’assoluta anti economicità dell’atomo, come sempre è accaduto in passato la classe dirigente politica e finanziaria preferisce tergiversare, dimostrandosi disposta a rischiare sul tavolo da gioco la vita di milioni di cittadini, essendo la contropartita costituita da un carico di centinaia di miliardi di euro.
A quando il prossimo scricchiolio? Fra una settimana o un mese? Sempre sperando non si tratti dell’ultimo, quello che le nostre orecchie più non saranno in grado di percepire.

Marco Cedolin

Il Corrosivo