DI

AARON PETTINARI
antimafiaduemila.com

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando lo scorso mese il Presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, ha dato mandato all’assessore regionale all’Ambiente Mariella Lo Bello e al dirigente Giovanni Arnone di revocare le autorizzazioni per la realizzazione del Muos, l’impianto militare di antenne satellitari di Niscemi, in tanti avevano accolto la notizia come uno straordinario successo per tutto il movimento “No Muos” che da anni si batte per questo. Nonostante ciò, però, all’interno della base Usa si continua a lavorare, come denunciato da alcuni attivisti, con gli Stati Uniti che si fanno forti del protocollo d’intesa siglato nel 2011 tra l’allora ministro della Difesa italiano Ignazio La Russa e il governatore siciliano Raffaele Lombardo, favorevoli alla realizzazione.
Ci sono poteri forti a spingere per quest’opera e la conferma arriverebbe dalle dichiarazioni dell’ex Idv Sergio De Gregorio che, interrogato dai magistrati, ha raccontato i retroscena in merito alla campagna acquisti del 2007 che affossò il governo Prodi.
L’ex senatore ha dichiarato agli inquirenti che l’allora governo di centrosinistra cadde per le pressioni di altri poteri, ovvero la Cia, che avevano messo nel mirino Prodi e il suo esecutivo soprattutto per l’ostilità manifestata nei confronti del Muos. Un fatto che nei giorni scorsi ha allarmato non poco lo stesso Crocetta il quale ha dichiarato:

“Sono seduto su una polveriera. Già dai primi giorni dal mio insediamento sono partiti i dossier nei miei confronti. Ed è chiaro che a muoversi, in questi casi, sono i poteri forti. Non è mafia. O meglio, non stiamo parlando solo di mafia. Questi poteri, in passato, a mio parere, furono responsabili, ad esempio, della sparizione di Enrico Mattei. Figuriamoci se si preoccupano di intervenire su un presidente della Regione”.

Una considerazione forte ma che potrebbe anche non essere sconsiderata. Anche il presidente dell’Eni, morto sul cielo di Bescapé (in provincia di Pavia) la sera del 27 ottobre 1962 a causa dell’esplosione dell’aereo che lo stava riportando a Milano dopo una visita in Sicilia, con la sua politica energetica aggressiva stava “pestando i piedi” ai poteri dell’economia mondiale. Mattei aveva bene in testa l’idea di un’Italia libera dalla dipendenza dalle Sette Sorelle. Recenti documenti, recuperati dallo storico Mario Cereghino e pubblicati su “I Quaderni de L’Ora”, riportano una conversazione di un diplomatico italiano a cui Mattei aveva confidato che nell’arco di sette anni avrebbe tirato fuori l’Italia dalla Nato ponendola a capo dei Paesi non allineati. Una sorta di terzo blocco mondiale rispetto al blocco Usa e a quello dell’Unione Sovietica. Dichiarazioni di un certo peso che, seppur non portano prove sulle motivazioni che hanno portato alla morte l’ex presidente dell’Eni (su cui vi è ancora un forte alone di mistero ndr), certamente fanno riflettere rendendo non così remota l’idea che con il decesso di Mattei in molti, in Italia e all’Estero, possono aver tirato un sospiro di sollievo. E’ quasi una certezza che la carica esplosiva sul velivolo venne piazzata a Catania.
Nella sentenza De Mauro, dove viene messo nero su bianco che il disastro aereo di Bescapé fu frutto di un attentato e non un semplice incidente aereo, viene elogiato il grande lavoro del pm di Pavia Vincenzo Calia, titolare della terza inchiesta sul caso aperta il 20 settembre 1994 e chiusa nel 2003. Nella richiesta di archiviazione Calia scrive:

“L’esecuzione dell’attentato venne decisa e pianificata con largo anticipo, probabilmente quando fu certo che Enrico Mattei, nonostante gli aspri attacchi e le ripetute minacce non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’ente petrolifero. La programmazione e l’esecuzione dell’attentato furono complesse e comportarono – quantomeno a livello di collaborazione e di copertura – il coinvolgimento degli uomini inseriti nello stesso Ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano”.

E poi continua:

“E’ facile arguire che tale imponente attività, protrattasi nel tempo, prima per la preparazione e l’esecuzione del delitto e poi per disinformare e depistare, non può essere ascritta – per la sua stessa complessità, ampiezza e durata – esclusivamente a gruppi criminali, economici, italiani o stranieri, a ‘Sette (… o singole…) sorelle’ o servizi segreti di altri Paesi, se non con l’appoggio e la fattiva collaborazione – cosciente, volontaria e continuata – di persone e strutture profondamente radicate nelle nostre istituzioni e nello stesso Ente petrolifero di Stato, che hanno eseguito ordini o consigli, deliberato autonomamente o col consenso e il sostegno di interessi coincidenti, ma che, comunque, da quel delitto hanno conseguito diretti vantaggi”.

Un’analisi che non esclude comunque il coinvolgimento della mafia. Per lo stesso Calia “la tesi della mafia come ente di supporto può essere molto verosimile seppur non esistono riscontri certi”. L’ex “boss dei due mondi”, Tommaso Buscetta, aveva raccontato che

“il primo delitto eccellente di carattere politico ordinato dalla commissione di Cosa Nostra, costituita subito dopo il 1957, fu quello del presidente dell’Eni, Enrico Mattei. In effetti, fu Cosa Nostra a deliberare la morte del Mattei, secondo quanto mi riferirono personalmente alcuni dei miei amici che componevano quella commissione, come Greco Salvatore “Cicchiteddu” e La Barbera Salvatore. L’indicazione di uccidere Mattei giunse da Cosa Nostra americana, attraverso Bruno Angelo (autorevole esponente della famiglia di Philadelphia) che chiese questo favore a nome della commissione degli Usa e nell’interesse sostanziale delle maggiori compagnie petrolifere americane”.

Dello stesso avviso il collaboratore di giustizia gelese Antonio La Perna mentre per il catanese Antonino Calderone il coinvolgimento di Cosa Nostra è da escludere perché “ …non c’era il motivo di uccidere Mattei. Portava ricchezza in Sicilia e alla mafia interessano i soldi…”.
Tuttavia non è inverosimile che l’attentato al presidente dell’Eni rientri nello scambio di favori tra mafia americana e siciliana. Così come non è “campata in aria” la possibilità che oggi si possa ripetere un fatto tanto grave nei confronti del Presidente dell’Ars, Crocetta. Dietro all’installazione del Muos ci sono interessi e poteri forti, internazionali e locali. E storicamente Cosa nostra si presta ad essere braccio armato del potere, ancor di più quando gli uomini da colpire sono già al centro del proprio mirino.

Aaron Pettinari
Fonte: http://www.antimafiaduemila.com