di

Robin Ancillotto

I Brics sfidano Fed e Bce

 

Guardate un po’ come ci ridividiamo l’Africa. Stessa trama, diversi protagonisti. Alla Fine del diciannovesimo secolo, a partire dalla Conferenza di Berlino (1884-1885), Francia, Inghilterra, Paesi Bassi, Portogallo, Stati Uniti, Germania, Belgio e Spagna iniziano la loro corsa per la colonizzazione del continente africano.

2010. La Cina invita formalmente il Sud Africa ad entrare a far parte del Bric, alleanza economica tra Brasile, Russia, India e appunto Cina. Notizia sorprendente questa perfino agli occhi di Jim O’Neill, personaggio storico in Goldman Sachs e ideatore, nel 2001, del termine Bric per definire quei paesi in forte crescita economica. Egli stesso afferma in un’intervista al Mail & Guardian nel 2011: "Non mi e’ del tutto chiaro il motivo per cui il Bric abbia deciso di invitare il Sud Africa a far parte del gruppo. Come puó il Sud Africa esser visto come una potenza economica?" La risposta, caro O’Neill, e ci meravigliamo che un guru di economia come te non l’abbia compresa, è spiegata in una frase di ispirazione Kennediana che recita: non chiederti cosa il Bric possa fare per il Sud Africa, ma cosa il Sud Africa puo’ fare per il Bric.

Quindi se è vero che per PIL, popolazione e tasso di crescita, il Sud Africa non risponde ai parametri di potenza economica, è peró altrettanto vero che a questi parametri rispondono l’insieme dei paesi Sub-Sahariani, su cui il Sud Africa ha un’estrema influenza politica ed economica. La stessa Nkoane-Mashabane, Ministro per le Relazioni Internazionali sudafricano, dopo pochi mesi dall’ingresso del suo paese nel Bric, afferma: "Con l’entrata a far parte del gruppo, il Sud Africa non ha solo portato se stesso, ma un mercato africano ben più grande."

Il Sud Africa infatti è la prima ed unica nazione africana a partecipare al G20, oltre a coprire un ruolo di primaria importanza all’interno del SADC (Southern African Development Community), alleanza socio-economica tra 15 paesi sub-sahariani, su cui solamente la Cina ha investito, direttamente ed indirettamente, oltre 60 miliardi di dollari negl’ultimi dieci anni.

Ed ecco allora che l’acronimo di O’Neill cambia in Brics, aprendo ai suoi membri un passaggio preferenziale per paesi straordinariamente ricchi di materie prime, ma con un bisogno estremo di investimenti e tecnologie avanzate per sfruttare al meglio le proprie risorse. Ogni membro del Brics arriva dunque alla ‘Capanna in Betlemme’ con i propri doni, chiedendo in cambio, rapporti diplomatici favorevoli ed un accesso privilegiato alle risorse naturali, evitando ove possibile di calpestarsi i piedi. Dalla Russia giungono le armi a prezzi estremamente concorrenziali rispetto agli Stati Uniti, prima esportatrice al mondo di materiale bellico e sua diretta avversaria in questo mercato. Il contributo proveniente dal Brasile riguarda invece il settore agricolo-tecnologico. Geograficamente parlando poi il paese sudamericano ha sicuramente un accesso privilegiato, al punto tale da parlare spesso di ‘Ponte sull’Atlantico’. L’India mette mano all’Africa grazie alle sue conoscenza tecnologiche, scendendo peró spesso a patti con la sua non proprio amica Cina. A proposito di quest’ultima è opinione diffusa, sostenuta anche dalla maggior parte dei media occidentali, che la Cina sia impegnata da anni in un processo di neo-colonizzazione del continente africano. Di fatto si puó affermare che le cose stiano andando in questa direzione, ma diversamente da Stati Uniti, FMI e WB, il cui modus operandi è sempre stato quello del mero prestito, la Cina aiuta l’Africa costruendo infrastrutture e migliorando i servizi già esistenti. Si puó dunque condannare questa strategia più di quanto non si possa fare con quella dei paesi occidentali che, finora, ha avuto solo il risultato di mettere in ginocchio l’economia di diverse nazioni Europee? Da quale pulpito gli Stati Uniti possono giudicare, considerando il modo in cui agiscono da anni in Libia ed in Iraq?

Ció che piuttosto stupisce è l’idea che i paesi del Brics vogliano costituire una loro banca. A dire il vero, nonostante questo progetto sia stato proposto già nel corso del summit del 2012 e sia stato argomento principe di quello appena conclusosi pochi giorni fa a Durban, i rappresentati dei cinque stati membri non sono ancora riusciti a trovare un accordo. Si parla di un contributo di 10 miliardi di dollari ciascuno, anche se rimane non chiaro il criterio scelto per la partecipazione al fondo, dal momento che la suddetta somma rappresenta lo 0.12% del PIL cinese e allo stesso tempo, il 2.5% di quello sudafricano.

Lo scopo della creazione di tale fondo sarebbe quello di opporsi al potere monetario, da anni nelle mani della WB e dell’IMF. In particolare a quest’ultima, il Brics ha più volte richiesto una riforma che dia maggior peso al proprio voto. Nel giugno del 2012, l’IMF ha perfino ricevuto un contributo di 75 miliardi di dollari dalle tasche del Brics (43 solo dalla Cina) affinché la riforma potesse essere approvata in tempi rapidi. Ma perché ció avvenga è necessario attendere l’avallo del congresso degli Stati Uniti che, per ovvie ragioni tarda ad arrivare. Ed allora, in fase di attesa, la proposta di una Brics Bank appare un ottimo strumento nelle mani di Beijing, per fare pressioni sull’IMF. D’altra parte, Cina e Brasile hanno già creato lo scorso marzo, un loro fondo di 30 miliardi di dollari per la stabilità delle rispettive monete, e il Sud Africa gode da tempo di tassi vantaggiosissimi sui prestiti provenienti dalla Cina.