DI

GILAD ATZMON
The truthseeker

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ evidente come quest’anno l’estate si sia dimenticata dell’Europa. Per di più, alcuni meteorologi predicono un’eclisse solare nei prossimi sette-dieci anni. Degli esperti, ai quali è stato chiesto di spiegare questa tragica previsione, hanno finito per dare la colpa agli arabi: “La colpa è loro: si sono presi tutta la primavera”, dicono.
Scherzi a parte, uno sguardo agli arabi e alla loro “primavera” rivela una visione agghiacciante: praticamente, un bagno di sangue continuo.
Una grande insurrezione popolare nel nome della “liberazione”, dei “diritti umani”, della “democrazia” e di altre grandi parole, si è trasformata, in un brevissimo lasso di tempo, in un caos regionale: guerre civili, carneficine, perdite di vite umane su vasta scala e decine di apparati interventisti che assicurano ulteriori trambusti imminenti.
Ma cos’è successo? Perché la “Primavera araba” si è tramutata in un inverno regionale? Perché la democrazia egiziana non è durata più di un anno?
Non risponderò a nessuna di queste domande. Invece, offrirò un semplice metodo per affrontare tali questioni.
Circa 18 mesi fa pubblicai “L’errante chi? Un’inquietante introspezione nella psicologia ebraica” (titolo originale: The Wandering Who, A Study of Jewish Identity Politics, n.d.t.), dove spiegavo che, se vogliamo comprendere Israele o la natura del potere ebraico, dobbiamo scavare nella cultura e nelle ideologie che hanno formato lo “Stato ebraico” e prendere in considerazione il tribalismo e la politica ebraica.
Il libro ha causato un polverone. É stato encomiato da alcuni dei più importanti accademici e umanisti, ma è stato anche osteggiato da molti attivisti del tribalismo ebraico e da alcuni dei loro zelanti Shabbath Goyim.
Tuttavia, è stata in realtà l’opposizione al mio lavoro a convincermi di essere sulla giusta via: uno studio teorico e critico sulla cultura e sulla politica d’identità è sicuramente la strada da percorrere. Lo studio della cultura ebraica spiega la barbarie israeliana e il mancato rispetto dei diritti umani; fa luce sull’agenda interventista “neocon” e sulla confusione all’interno della sinistra ebraica e dei “sionisti anti-sionisti” (AZZ); chiarisce perché i palestinesi vivano ancora in campi profughi mentre soldati americani e britannici combattono per le guerre sioniste.
A questo punto, direi che gli studiosi, e gli intellettuali arabi in particolare, dovrebbero parimenti esaminare da vicino la cultura araba e la politica di identità, allo scopo di comprendere e correggere la grave situazione attuale.
Tale esame potrebbe rivelare, per esempio, come la “democrazia occidentale” non sia il sistema politico ottimale per vari stati mediorientali. Uno studio di questo tipo dovrebbe tenere in considerazione l’assunzione islamica del concetto di “civile”, e non prescindere dalla demografia delle diverse regioni e stati arabi. Si potrebbe anche contestare la nozione di “stato” in riferimento alla cultura e alla storia araba. La divisione di classe nella società araba è, inoltre, un argomento di valutazione cruciale. Questo esame potrebbe trarre beneficio da un’indagine teorica sulla maniera unica in cui la Repubblica Islamica dell’Iran riesce a bilanciare Islam e democrazia. Un’analisi del genere trascenderebbe la politica, gli affari internazionali e il modo di pensare improntato alla dialettica materiale corrotta, ponendo al centro del discorso un soggetto come gli arabi e il mondo arabo.
Tale pensiero dovrebbe sollevare le seguenti questioni: chi sono gli arabi, gli egiziani, i siriani, i palestinesi, etc.? In cosa credono? Cosa li unisce? Cosa li separa? Su cosa concordano? Cosa li spaventa? Cosa li rende felici?
Gli arabi, dopo aver cominciato a trattare questi argomenti, potrebbero così prendere coscienza di chi essi sono realmente e chi sono i loro veri nemici, piuttosto che uccidersi l’un con l’altro per Israele, l’America o la Russia.

Gilad Atzmon
Fonte: thetruthseeker.co.uk
Link: http://www.thetruthseeker.co.uk/?p=74583

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCA DE LUCA