di

Lorenzo Lamperti

affaritaliani.it

strage capaci falcone

Una doppia bomba a Capaci. Con il coinvolgimento dei servizi segreti. Pezzi deviati dello Stato avrebbero partecipato non solo all’omicidio di Borsellino, ma anche a quello di Falcone. E’ la conclusione alla quale era arrivato Gianfranco Donadio, procuratore dell’Antimafia che indagava sulle stragi del 92-93.Individuato anche l’attore principale, un ex poliziotto soprannominato “faccia di mostro”. E poi un furgone misterioso… “Quel giorno a Capaci non c’era solo la mafia“. Ma ora a Donadio è stata tolta la delega.Depistaggi, falsi pentiti, segreti investigativi venduti da una talpa interna alla Procura. Così il pm è stato isolato e fatto fuori. E a microfoni spenti sono in molti a dire: “Era diventato scomodo. Ora si rischia l’insabbiamento“.

Gianfranco Donadio

GIANFRANCO DONADIO, 57 anni, è stato nominato sostituto procuratore nazionale antimafia nel 2008. Stretto collaboratore dell’ex procuratore nazionale antimafia ora presidente del Senato Piero Grasso, si è occupato delle più importanti indagini di mafia, in particolare quelle legate all’aspetto economico finanziario. Molto riservato, non ha quasi mai concesso interviste o rilasciato dichiarazioni. In passato ha lavorato anche presso il Tribunale per i minorenni e al Gafi, organismo internazionale specializzato nel contrasto al riciclaggio. E’ entrato nella Direzione nazionale antimafia nel 2002. 

LE IPOTESI DI DONADIO – Gianfranco Donadio lavorava da almeno undici anni, da quando cioè è entrato a far parte della Direzione nazionale antimafia. Per tutto questo tempo ha analizzato e indagato su uno dei momenti più drammatici della storia d’Italia, vale a dire le stragi di mafia del 1992 e 1993. Donadio ha lavorato molto, andando a fondo e cercando di scavare oltre la coltre di alcuni dei misteri del nostro Paese. In particolare si è concentrato sulla strage di Capaci, dove perse la vita Giovanni Falcone. Tra i due attentati di quei mesi terribili è sempre stato considerato il più “chiaro”. Mentre per Borsellino e via D’Amelio la verità è sempre stata considerata lontana, tanto che ancora ci sono indagini e processi in corso, per Falcone la responsabilità è stata sempre attribuita solamente a Cosa Nostra. Il lavoro di Donadio ha messo in discussione queste certezze. Il resoconto di Donadio, poi inopinatamente diffuso da una talpa interna alla Procura, racconta una realtà molto più complessa.

LA DOPPIA BOMBA E IL “CANTIERE FANTASMA” – Donadio ha ipotizzato infatti un intervento di pezzi di servizi segreti, italiani e/o stranieri, ed ex appartenenti alle forze di polizia. La convinzione di Donadio si basa soprattutto sull’esplosivo usato per uccidere Falcone. Impossibile che l’esplosivo della mafia possa aver provocato da solo quella devastazione. Il pm ritiene certo l’utilizzo di un esplosivo cosiddetto “nobile”, utile a rendere più efficace e scenografica l’esplosione. Insomma, l’esplosivo recuperato sulle barche da Spatuzza non sarebbe stato l’unico a essere azionato. Donadio ipotizza una seconda bomba e un secondo innesco oltre a quello mafioso sotto il manto stradale. Nei giorni seguenti all’attentato, diversi testimoni fornirono sei identikit di uomini intenti a lavorare a un “cantiere fantasma” al di sopra del livello dell’autostrada. Senza contare le testimonianze su un furgono presente sulla verticale del luogo minato. Due piste che non erano state seguite né approfondite. Donadio stava provando a farlo, ipotizzando un intervento esterno a Cosa Nostra, in qualche modo legato all’eversione di destra e probabilmente a Gladio, come aveva paventato qualche mese fa Ferdinando Imposimato in un’intervista ad Affaritaliani.it. La scelta del sito, le carte clonate e tanti altri elementi gli hanno suggerito la netta diversità con l’attentato fallito dell’Addaura, così tipicamente mafioso nel modus operandi, e l’inquietante somiglianza con un’azione militare.

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“FACCIA DI MOSTRO” – Tra i protagonisti dell’attentato a Capaci, secondo Donadio, anche un ex agente di polizia. Si tratterebbe del cosiddetto “faccia di mostro”, un poliziotto sfigurato in viso per alcuni colpi d’arma da fuoco. Sarebbe lui il “killer di Stato” del quale ha parlato il pentito Luigi Ilardo. In conclusione, Donadio tratteggia uno scenario inquietante nel quale l’omicidio di Falcone rientra in una rinnovata “strategia della tensione” portata avanti da Cosa Nostra e l’eversione di matrice nera con il coinvolgimento di ambienti para-istituzionali. Uno scenario non facile da digerire. Forse per questo quello scenario è stato divulgato. Rivelazioni e riflessioni venute fuori durante segretissime riunioni in procura sono state “vendute”.

IL FALSO PENTITO E LA “MACCHINA DEL FANGO” – Il risultato di anni di lavoro è stato bruciato. La procura di Roma ha anche aperto un fascicolo per provare a capire chi è la “talpa” responsabile di una fuga di notizie disastrosa. E che alla fine ha portato alla rimozione della delega sulle stragi a Donadio. Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti ha ritenuto di togliere l’indagine a Donadio senza per ora spiegare pubblicamente i motivi della sua decisione. Ma questo è solo l’ultimo passaggio di un periodo “difficile” per Donadio. Il pentito calabrese Nino Lo Giudice, una delle fonti di Donadio, è improvvisamente scomparso. Salvo poi diffondere due registrazioni in cui ha accusato inquirenti e investigatori, tra i quali Donadio, di avergli estorto dichiarazioni. Nel secondo memoriale ha persino affermato che il procuratore lo avrebbe spinto a fare i nomi di Berlusconi e Dell’Utri. Le sue accuse sono state ritenute inattendibili. Lo Giudice è ritenuto, secondo quanto risulta, un falso collaboratore. Lo schema è quello vecchio: fingere di pentirsi per depistare le indagini e infangare la magistratura, screditandola. In questo caso l’obiettivo era screditare un pm che indagava su qualcosa di molto scomodo e per questo considerato molto pericoloso.

CAOS ALL’ANTIMAFIA – Fonti vicine all’Antimafia legano la scelta di sollevare dall’incarico Donadio ad alcune diversità di vedute con i colleghi. C’è chi sostiene che già in passato alcuni suoi atti erano stati accolti con “un certo scetticismo”. Ma sono anche molti quelli che, a microfoni spenti, esprimono preoccupazione temendo che le inchieste sulle stragi possano fermarsi o essere insabbiate: “E’ la solita fine che fa chi indaga sull’eversione in Italia, viene messo a tacere”.

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