Di

Gianni Rusconi

 

Lo sviluppo della robotica e dell’intelligenza artificiale renderà obsoleta una larga parte del lavoro umano, eliminando alcune professionalità e creandone di nuove. Solo una provocazione ricorrente? No, semmai una tendenza che da teoria sta prendendo, lentamente, i connotati di una realtà ineluttabile. Della questione se ne è parlato al Bip Future Forum 2017 con un ospite d’eccezione quale Martin Ford, celebre futurologo statunitense e autore di “The Rise of the robots”. Il suo secondo libro è stato da poco pubblicato in Italia dalla casa editrice Il Saggiatore (con il titolo «Il futuro senza lavoro»).

«Il futuro è domani e non più a 5 o 10 anni ed è quello che stiamo dicendo e spiegando alle aziende», ha detto in sede di presentazione Fabio Troiani, co-fondatore e amministratore delegato di Bip. «Entro pochi anni il lavoro in azienda sarà reso più efficiente dal contributo di software virtuali e robot fisici dotati di una propria creatività, curiosità, capacità di apprendere ed educare a loro volta. Fondamentale sarà quindi il ruolo di professionisti umani specializzati nel controllo di queste e altre tecnologie a rapida evoluzione e anche noi amministratori delegati dobbiamo chiederci come cambierà il nostro mestiere». La rivoluzione non è dunque alle porte ma è già iniziata e chiama i manager a rivedere in modo radicale i modelli di gestione attraverso i quali guidare le aziende.

«Nei prossimi anni – ha infatti esordito Ford, che già nel 2009 prefigurava gli effetti sul lavoro umano dei robot con il sui primo libro, “Lights in the tunnel” – assisteremo a benefici sorprendenti per tutta l’umanità. I recenti progressi dell’intelligenza artificiale e della robotica ci fanno immaginare che nei prossimi decenni assisteremo ad avanzamenti stupefacenti; queste innovazioni tecnologiche renderanno certamente più efficiente e meno costosa la produzione di beni e servizi di tutti i tipi, ma si concretizzerà anche il rischio di una disoccupazione di massa. Servono quindi nuove politiche sociali per affrontare questa sfida, per esempio l’implementazione di misure totalmente innovative come il reddito di cittadinanza universale».

Un assunto forte, che ben sintetizza le potenzialità “disruptive” delle nuove tecnologie e che trova concretezza, soprattutto, nel mondo delle fabbriche, dove lavorano centinaia di migliaia di persone. L’industria, secondo la teoria di Ford, è l’universo dove si può scorgere in modo più nitido l’esistenza di un lato negativo del progresso, che vedrà un gran numero di lavoratori essere sostituito dalle macchine.

«Stiamo entrando in un’era completamente nuova – ha detto ancora Ford alla numerosa platea intervenuta a Milano – e la tecnologia è la base del cambiamento, lo è attraverso componenti che la rendono oggi molto diversa dal recente passato: la sua esponenziale maggiore capacità di elaborazione delle informazioni, la superiore potenza computazionale e la capacità cognitiva dei sistemi». Il futurologo americano usa non a caso l’espressione «general purpose» per rimarcare l’eccezionale versatilità della tecnologia nel rispondere a una composita classe di problemi e identifica nell’intelligenza artificiale il punto focale della sfida, la chiave del cambiamento.

«Le grandi aziende californiane stanno investendo pesantemente nel deep learning, nella capacità di apprendimento delle macchine, e i progressi sono velocissimi». Anche per questo assisteremo a un cambiamento «che arriverà ovunque e tutto assieme, e che avrà un impatto di enormi proporzioni». Nel 2014, come ha ricordato l’esperto attraverso alcuni numeri, l’80% delle occupazioni censite negli Stati Uniti esistevano già nel 1914, il restante 20% erano nuove e solo il 10% dei lavoratori era impiegato in nuove professioni. In futuro questo scenario sarà fortemente impattato dalla nascita di nuove professionalità che diventeranno ricercate e ambite rispetto a credenziali che Ford identifica in modo preciso: «Vinceranno le competenze non ripetitive, le capacità di poter avere interconnessioni sofisticate e di saper creare cose utili e non prevedibili. Assisteremo alla creazione di nuovi lavori, ma per sostenerne lo sviluppo serviranno dinamiche di incentivi e programmi di productivity development».

La tecnologia viene eletta a strumento per migliorare la nostre capacità cognitive: «Più saremo e più innoveremo, perchè esiste una diretta correlazione fra aumento demografico e capacità di inventare». E in tal senso si spiega perché i governi, secondo il visionario ex piccolo imprenditore della Silicon Valley, avranno un ruolo molto critico in questo processo di trasformazione.

 

Fonte: Il Sole 24 ore