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Maria Paola “samba” Merloni

“La Repubblica” ha pensato bene di dedicargli giusto un coriandolo di pagina 28. Il “Corriere della Sera” un articolo delle dimensioni di una cartolina, tra le notizie d’economia (e rigorosamente a pagina 29). Mentre solo “La Stampa”, ieri, ci ha riempito una paginetta di semplice cronaca, in perfetto stile “specchio dei tempi”. Un vero peccato. Perchè: certo le lavatrici non avranno lo stesso fascino del faccione di quel Josè Mourinho che da giorni spopola su giornali e in tivù, con le sue dichiarazioni sulla palla che non è mai abbastanza rotonda. Ma: la chiusura della fabbrica Indesit di Torino avrebbe meritato un po’ di spazio in più. Per la semplice ragione che la pagheremo. Tutti. E nel senso letterale del termine.

I fatti, per cominciare. C’era una volta la fabbrica di lavatrici Indesit del ridente comune di None; 8.000 anime; 20 chilometri da Torino. C’era. E da giovedì scorso non c’è più. Indesit ha deciso di chiuderla. Di mandare a spasso i suoi 600 dipendenti. E di concentrare la sua produzione nello stabilimento di Radomsko. Località altrettanto ridente, ma in terra di Polonia. I lavoratori non l’hanno presa sportivamente; tanto che hanno cercato di assalire i dirigenti. L’azienda, invece, ha invitato il personale a non prenderla come una questione personale: “La decisione – ha spiegato Indesit in una nota pubblicata da Repubblica – è dovuta esclusivamente a criteri di competività sui mercati internazionali”. I sindacati, infine, hanno brillantemente sollevato un dubbio: forse, ha detto sempre a Repubblica Maurizio Landini, il segretario nazionale dei metalmeccanici della Cgil: “La decisione è legata anche a finanziamenti o accordi tra l’azienda e il governo polacco”.

Sarà. Fatto sta che gli eventuali e (più o meno) fantomatici quattrini promessi dal governo polacco rimangono avvolti dal mistero. Mentre una cosa è certa. Il nostrano governo Berlusconi i soldi ai produttori di elettrodomestici – Indesit compresa – si è impegnato a darli eccome. Sotto forma di incentivi. Pagati, va da sè, dalle casse dello Stato. E quindi dai soliti contribuenti poverazzi.

Forse: questi incentivi – che fanno parte del pacchetto anticrisi da 2 miliardi e rotti di euro varato dal governo del Cavaliere con tanto di decreto ad hoc il 6 febbraio scorso (quello per la rottamazione di auto&motorini&compagnia briscola) – non saranno una gran cosa. Si tratta solo di uno sconto del 20% sull’acquisto di lavatrici e quant’altro (che chi compra, per esempio, anche una tivù, potrà detrarre dalle tasse). Il presidente della Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (nome pomposo che si è data l’associazione dei produttori di frullatori&co), Guidalberto Guidi ha perfino storto il naso. E bollato queste misure come “insufficienti”. Ma pur sempre di soldi veri e pubblici si tratta. E la cosa non deve essere proprio sfuggita alla Indesit. Visto, tra l’altro, che l’azienda appartiene a quella famiglia Merloni che da quasi un anno ha anche un illustre rappresentante nei Palazzi che contano: la deputata Piddì, Merloni Maria Paola. Figlia 45enne di Merloni Vittorio, presidente Indesit. E fino a poco fa: contemporanemente ministro (veltroniano) “ombra” alle Politiche comunitarie; e responsabile delle relazioni istituzionali sempre per Indesit company.

Un doppio ruolo – di governo e di azienda – che non ha mai imbarazzato la figlia del presidente della Indesit. Ma il senso di imbarazzo non deve essere un tratto distintivo della Indesit in generale. Che prima ha incassato il via libera agli incentivi per il settore. E poi, senza porre troppo tempo in mezzo, ha subito chiuso la fabbrica di None. Scaricando i suoi 600 lavoratori. Che ora – a rigor di logica – finiranno in cassa integrazione o in mobilità, assieme a tanti lavoratori dell’indotto. E quindi andranno a pesare sempre sulle casse dello stato. E sulle spalle dei soliti contribuenti poverazzi. Non tutto il male, però, viene per nuocere. L’azienda tricolore leader degli elettrodomestici farà comunque nuove assunzioni. Unico neo: secondo Repubblica, le farà in Polonia.

Un copione che fa tanto “prendi i soldi e scappa”. Ma, purtroppo, non isolato. Sempre a proposito di incentivi e rottamazioni varie: Fiat, per esempio, continua a tenere i suoi operai di Pomigliano d’Arco in cassa integrazione. Ma si è impegnata a investire centinaia di milioni di euro per un nuovo stabilimento in Croazia, dove dovrebbe produrre Panda e Punto a centinaia di migliaiaia. Insomma: l’andazzo dovrebbe far riflettere. Perchè non va mai bene imbottire di danari pubblici i bilanci di un’azienda privata. Se però è necessario per salvare dei posti di lavoro, si può anche fare. Ma usare i soldi dei contribuenti italiani per aiutare un’azienda a trasferire la produzione all’estero, quello no. Quello è francamente troppo.

Fonte: www.bamboccioni-alla-riscossa.org