di

Francesco Bonazzi

Il ministro chiude le vendite degli immobili pubblici con un passivo da un miliardo e 700 milioni. Che sarà pagato dagli enti previdenziali

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Meglio una fine rovinosa che una rovina senza fine. È con questa filosofia che Giulio Tremonti ha calato il sipario sulle cartolarizzazioni immobiliari, la manovra simbolo di una lunga stagione della finanza creativa iniziata nel 2001. Il ministro dell’Economia ha preferito certificare un ‘buco’ da 1,7 miliardi di euro dell’operazione, e ha mandato in liquidazione la società-veicolo Scip, rimborsando le obbligazioni in circolazione, piuttosto che svenarsi per pagare una montagna d’interessi e correre il rischio di un default internazionale.

Una scelta ragionevole, messa in atto però con un autentico colpo di mano. Come se questa commedia fantastica, finita con un bagno di sangue, non avesse arricchito i soliti noti: banche, immobiliaristi e una serie di inquilini eccellenti. E ora, per quei 28 mila appartamenti rimasti invenduti, inizia una nuova storia che potrebbe riservare qualche ulteriore colpo di scena.

Il meccanismo inventato alla fine del 2001 aveva una sua genialità. Prima si accusa per mesi i vari Inps, Inpdai, Inpdap e Inail di non essere capaci di vendere le case acquistate con i risparmi dei lavoratori. Poi, a fine novembre, Tremonti trasferisce d’imperio una prima tranche di 27.500 immobili in un società-veicolo, incaricata poi di emettere sui mercati internazionali obbligazioni garantite dal patrimonio acquisito e dai flussi di cassa previsti dalle vendite.

La società viene chiamata Scip (Società cartolarizzazione immobili pubblici) e nasce in Lussemburgo con un capitale di 10 mila euro, due fondazioni olandesi come azioniste e un cittadino scozzese di nome Gordon Burrows alla presidenza. “Ragioni di semplicità operativa”, spiegherà il Tesoro alla Corte dei Conti che nel 2005 storceva il naso e già parlava di “scarsa trasparenza”.

L’operazione ‘Scip1

‘ funziona. Vengono emessi bond per 2,3 miliardi, tutti rimborsati nel giro di due anni, e viene offerto al mercato per 3,8 miliardi un patrimonio immobiliare valutato 5,1 miliardi. Il 30 giugno del 2008, al netto delle spese sostenute, il saldo di cassa di Scip1 è in attivo di 1,3 miliardi.

A dicembre 2002, Tremonti lancia “la più grande cartolarizzazione mai fatta da uno Stato europeo”. ‘Scip2′ parte con 62.800 immobili in vendita, per un valore di mercato pari a 10 miliardi e un prezzo che sfiora i 7,8 miliardi. I bond portano nelle esauste casse statali la bellezza di 6,7 miliardi di euro, ma le vendite non vanno bene. Complici un mercato in frenata, interessi in aumento e migliaia di contenziosi sulla definizione della categoria ‘immobili di pregio’, alla fine l’operazione si chiude in passivo: il saldo negativo arriva a quota 1,7 miliardi necessari a rimborsare i bond in circolazione e restituire il prestito ricevuto dalle banche per pagare gli interessi.

Così, la sera dell’11 febbraio, nel decreto Milleproroghe spunta un piccolo emendamento che mette in liquidazione Scip2. Ma è il meccanismo usato a sorprendere: gli stessi enti previdenziali che nel 2001 erano stati ritenuti incapaci vengono ora costretti a riprendersi i 28 mila appartamenti invenduti, e a coprire il buco attingendo alle loro casse. A questo punto è chiaro che qualcosa non ha funzionato.

Sarà colpa della solita crisi internazionale, ma intanto c’è chi sulle Scip ha guadagnato parecchio. A parte gli inquilini eccellenti che sono riusciti a mettere le mani su appartamenti di gran pregio a prezzi talvolta scontatissimi (vedi riquadro), i veri miracolati vanno cercati tra le banche. Per Scip1, il governo si affidò ad Abn Amro, Bnl, Jp Morgan, Sssb (Citigroup). Mentre a gestire la seconda emissione di bond collegata a Scip2 sono stati chiamati Banca Imi, Deutsche Bank, Intesa e Lehman Brothers.

A questi otto gruppi sono stati versati decine di milioni di commissioni. Mentre i tedeschi di Depfa Bank (gruppo Hypo Real Estate) e gli italiani di Banca Intesa hanno incamerato anche commissioni e interessi sul prestito-ponte da 925 milioni, erogato nel 2005 per tenere a galla Scip2.

Grazie ai maxi-sconti, una vasta platea di immobiliaristi ‘furbetti’ ha comprato a pezzi di saldo interi palazzi. E molto spesso, chi aveva in gestione il patrimonio degli enti ‘espropriato’ da Tremonti nel 2001, ha avuto anche il mandato a vendere. I nomi sono i soliti, con Alfredo Romeo e Pirelli Re in prima fila. Mentre sul fronte degli acquirenti si segnalano la stessa Lehman, il fondo americano Carlyle e l’immancabile Gruppo Caltagirone.

Per tutti, banche, gestori e consulenti vari, i guadagni sono ‘top secret’. Perché nessuno conosce i contratti stipulati dalla lussemburghese Scip con i suoi fornitori. Si sa solo che il costo di Scip1 e Scip2 oscillerebbe tra gli 850 milioni stimati dalla Corte dei Conti nel 2006 e il miliardo e trecento milioni calcolato oggi dal combattivo ‘Coordinamento nazionale inquilini immobili di pregio’.

Proprio sull’ammontare dei costi chiedono chiarezza Antonio Misiani, deputato Pd nella commissione Bilancio, e Antonio Borghesi (Idv). Spiega Misiani: “Giusto mettere la parola fine, perché la spesa per interessi ci stava dissanguando, ma Tremonti deve spiegare alla Camera chi si è arricchito su questo buco da quasi due miliardi”.

Resta da capire anche come si coprirà la voragine Scip2, perché usare il ricavato di Scip1 non basta. Non solo, sarebbe interessante capire se gli enti previdenziali, costretti a nascondere sotto il tappeto la polvere delle cartolarizzazioni andate male, siano solo una fermata di passaggio verso la Cassa depositi e prestiti, gestita dal tremontiano doc Massimo Varazzani. La Cdp è una spa, ha meno vincoli ed è soggetta a meno controlli di un ente previdenziale. Potrebbe essere lei a far ripartire la giostra del mattone di Stato. Commissioni e consulenze comprese.

Il palazzo fa affari d’oro

Sarà tutto legale, ma i prezzi spuntati da una serie di inquilini eccellenti grazie alle cartolarizzazioni gestite dalla Scip consegnano una foto di gruppo di ‘una classe dirigente in un interno’. Con ampio tinello. Era stato ‘L’espresso’, con una serie di inchieste pubblicate nel 2007, ad alzare il velo sulla ‘Nazionale degli sconti’. In largo Arenula una società dei figli di Clemente Mastella ottiene un appartamento di 9,5 vani: il prezzo è di un milione inferiore a quello di mercato. Dietro piazza Fiume la moglie di Veltroni acquistò 190 metri quadri più cantina e posto auto per 377 mila euro. Nella stessa strada, l’ex deputato forzista Marianna Li Calzi comprò un attico da 190 metri per 366 mila euro.
Al Flaminio, il leader Cisl Raffaele Bonanni ha rilevato per 201 mila euro otto vani. All’Eur, il presidente della Consob Lamberto Cardia ha dovuto sborsare 328 mila euro per dieci stanze. In zona San Pietro, la deputata del Pdci Maura Cossutta staccò un assegno da 165 mila per sei vani, e la collega ulivista Franca Chiaramonte spese 113 mila euro per quattro vani. Ai Parioli, l’ex presidente del Senato, Franco Marini, pagò un milione per 14 vani catastali (piano terra e primo piano). Il colpo migliore, comunque, lo mise a segno l’allora giornalista Francesco Pionati (oggi deputato centrista): comprò per 509 milioni di lire nel 2001 un attico e superattico di dieci vani a Monteverde Vecchio.

A TUTTO C’E’ UNA SOLUZIONE

AUMENTO ETA’ PENSIONABILE

ED INTERVENTO SUI COEFFICIENTI DI RIVALUTAZIONE DELLE PENSIONI.

Fonte: http://www.stampalibera.com