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(Immagine by Adescalco Marangoni)

Le bugie hanno le gambe corte. E il premier (socialista) ungherese – Ferenc Gyurcsány – pure. Dopo aver brillantemente superato l’ostacolo di uno scandalo a base di balle&confessioni che aveva fatto letteralmente il giro del mondo, Gyurcsány ora non ha più forza e statura politica per affrontare una crisi più grande di lui. Ieri: di fronte alla platea del congresso del partito socialista ungherese, ha annunciato di essere pronto a fare un passo indietro. Se le sue dimissioni andranno in porto, il suo sarà il terzo governo europeo – dopo quello della Lettonia (caduto il 20 febbraio) e dell’Islanda (arrivato a fine corsa il 23 gennaio 2009) – a schiantarsi sotto il peso delle proteste di piazza; e della più grande crisi economica dal dopoguerra ad oggi.

La parabola discendente del premier ungherese – tra finanza allegra; bilanci dello stato a rischio crac; e flebo, cioè prestiti internazionali, a go-go – tanto somiglia a quella dei colleghi che lo hanno preceduto sulla strada di disonorevoli dimissioni. Ma regala una pagina in più. Istruttiva e illuminante. Era il settembre del 2006, quando la registrazione di una clamorosa e imbarazzantissima riunione di socialisti al potere venne fatta filtrare alla stampa e diffusa urbi et orbi. Per gli ungheresi fu uno choc.

Gyurcsány – non sapendo che le sue parole sarebbero state tramandate ai posteri – disse ai compagni di partito tutta la verità. E nient’altro che la verità. Sui risultati del suo primo governo e su come aveva fatto a farsi rieleggere:Abbiamo mentito prima delle elezioni (le politiche nell’ aprile 2006; chiusesi con la sua vittoria, ndA); è chiaro che tutto quello che abbiamo detto non era vero, non c’è un solo provvedimento significativo del governo di cui possiamo essere orgogliosi”. Sullo stato dell’economia: “La verità è che siamo nella m…”. E su come tutto rischiava per davvero di finire a ramengo: “La divina provvidenza, l’abbondanza di denaro contante nell’ economia mondiale, e centinaia di trucchetti, dei quali non è necessario che vi mostriate pubblicamente al corrente, ci hanno aiutato a superare questo momento. Abbiamo raccontato un sacco di balle, ma non può andare avanti così…“.

E infatti: l’Ungheria non è andata lontano. Il premier – nonostante la mezza rivolta esplosa dopo che le sue “balle” erano venute a galla – è riuscito a rimanere in sella per altri due anni buoni. Il paese, no. L’Ungheria ad ottobre 2008 ha dovuto ricorrere a un maxi prestito di Fondo monetario internazionale, Banca mondiale e Unione europea. E, a inizio marzo, Gyurcsány – un po’ minacciando (una ritorno della cortina di ferro); un po’ blandendo – ha chiesto all’europa ricca dell’Ovest di varare un maxi piano di aiuti per gli (ex) paesi emergenti dell’Est. Ma senza risultati. Perchè gli è stato risposto picche.

Ieri, l’epilogo: il signor “ho raccontato un sacco di balle” con un discorso nobile – e evitando le parolacce che lo avevano reso famoso anche fuori dai confini ungheresi, meritandosi anche un’epica intervista su Cnn per spiegare al mondo perchè il suo paese era nella “m…” – ha spiegato di essere finalmente pronto a farsi da parte. L’Ungheria non lo rimpiangerà. Gli elettori del resto del mondo forse, sì. Perchè con la sua involontaria franchezza ha mostrato il lato “B” di quella politica-spettacolo che – negli Stati Uniti come in Europa – campa di spot, slogan, campagne elettorali e poca o nessuna sostanza.

Un lato “B” che però nel nostro ex Belpaese – oggi come oggi – non potrebbe mai saltar fuori.

C’è da metterci la mano sul fuoco: il nostro di premier, il Cavaliere Silvio Berlusconi da Arcore, non racconta bugie. Lui crede alle cose che dice. Peccato solo che, spesso e volentieri, non siano vere.

Venerdì scorso è toccato al più prestigioso quotidiano economico britannico sbuggiardarlo sui Tremonti bond: “La richiesta di aiuto di Intesa mina ulteriormente le affermazioni ripetute di Silvio Berlusconi, primo ministro di centro-destra, che le banche italiane erano molto più sicure delle loro sorelle europee e che non avevano bisogno di aiuto da parte del governo”, ha scritto il Financial Times. Da mesi: un diluvio di dati – vendite al dettaglio in calo da due anni consecutivi; Pil che scende a capofitto nel 2008; previsioni nere di Bruxelles per i nostri conti pubblici nel 2009; l’esplosione della disocupazione certificata non dai soliti (ex) comunisti, ma dall’Istat; e da ultimo, ma non per importanza, il tonfo della produzione industriale – hanno regalato la certezza che la crisi è grave. Non risparmia l’Italia. E che non c’è nessun segnale concreto che, come ama ripetere il nostro premier, “ne usciremo meglio degli altri”. Sempre che – a dispetto dell’ottimismo berlusconiano – riusciamo davvero ad uscire da questo tunnel.

Eppure. Eppure – mentre i nodi e le balle vengono al pettine – monta solo il numero dei cassintegrati. Ma non la protesta. Berluconi gode ancora di ottimi sondaggi (con un gradimento, secondo Repubblica, del 52%). E l’unico ad aver annunciato di dimettersi – e ad essersi dimesso per davvero – è stato il leader dell’opposizione, Walter Veltroni. Verrebbe da dire che alla verità e alla durezza dei fatti, gli italiani preferiscono parole false, ma rassicuranti. Purtroppo però: verba volant, ma i conti – in primis quello del debito pubblico, poi quello delle aziende in difficoltà – manent. E qualcuno, prima o poi, dovrà pur pagarli. Che li voglia vedere, o no.

P.S. Un ringraziamento al mago delle fiabe, alias Roberto Mangiaterra. A lui, instancabile cercatore di notizie su Internet, va il merito di essersi scatenato per primo su Gyurcsány. E di aver ispirato questo post. Grazie, Roberto.

Aggiornamento: per coincidenza, proprio oggi, il commissario agli Affari economici e monetari dell’Unione europea, Joaquin Almunia, ha ammesso che “sì, possiamo aspettarci altre crisi in Europa, anche nella zona euro, ma siamo attrezzati per contrastarle”. Almunia si è mostrato fiducioso sulla capacità dell’Unione Europea di far fronte alla crisi. Ma ha anche detto che tra le sue preoccupazioni, ci sono “Paesi come Italia e Grecia” che non hanno consolidato le finanze pubbliche prima della crisi. Evidentementemente: anche il commissario Ue avrebbe bisogno di una lezione di ottimismo dal nostro premier.

 

Fonte: www.bamboccioni-alla-riscossa.org