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Charlie Skelton – da Guardian.co.uk

 
fotografia

Charlie Skelton è così intimorito, nervoso e infastidito dallo stato di polizia costruito intorno al Bilderberg. Così infastidito in effetti, da chiedere alla polizia di smettere di pedinarlo. Una cattiva mossa.
Devo ritornare indietro di un giorno per potervi dire esattamente come sono finito nella stazione della metropolitana di Atene alle 8 di mattina, alle prese con due tipi strani con cui lottavo e urlavo a squarciagola: “Aiuto! La security! Per favore! Che qualcuno chiami la security! Chiamate la polizia!” Mi fa ancora male la gola. Mi sta per esplodere il cervello.
Ma questo è oggi. Il giorno di ieri si può dividere in due metà: la prima in cui sono fuggito dal resort del Bilderberg, tanta era la paura e l’agitazione per poterci rimanere, e la seconda metà in cui me la sono dovuta svignare sul primo taxi diretto all’ambasciata britannica per la mia sicurezza personale.
Mi stanno dando la caccia. E tutto perché ho osato riferire sul Bilderberg. Perché ho osato puntargli il dito contro, proprio lì, nell’oscurità di una penisola. Ecce Bilderberg!
Non sto dicendo menzogne. Non sto esagerando. Non mi sto immaginando niente. Non sono isterico. Al contrario, sono diventato estremamente calmo quando ho finalmente smesso di essere io il criminale, la lepre e ho acciuffato uno degli uomini che mi hanno pedinato. Stavo ribaltando la pazzia su se stessa afferrandogli i polsi e facendo sprofondare tutti noi ancora più sottoterra.
Bilderberg-meeting

Sì, allora, per amor di chiarezza, mi sono azzuffato con due uomini nel cupo atrio di marmo di una stazione del metrò di Atene. Ma è successo stamattina. Non ho ancora fatto colazione. Ve lo devo raccontare domani.
Ho scritto le parole qui sotto mille o più anni prima di tutto quello che mi è successo al centro di Atene. Guardatemi adesso, di nuovo a Vouliagmeni, seduto in una caffetteria in riva al mare, osservato (certamente) mentre sorseggio un succo d’arancia. È un’altra splendida giornata sulla riviera greca…
Ecco fatto, ho finito, me ne sono andato.
Credetemi quando vi dico che mi sento fisicamente intimidito; ho paura. Ho fatto il mio bagnetto personale in uno stato di polizia e l’acqua mi sta sommergendo. Se siete mai stati vittima di bullismo sapete esattamente quello provo: un peso sullo stomaco, guardare in entrambe le direzioni nei corridoi, odiare la paura, odiare la propria mente perché ti fa domandare “sto al sicuro qui? Sono al sicuro?” Sono stato costretto and andarmene da Vouliagmeni, costretto da Bilderberg per aver osato di avvicinarmi.
Mi lascio alle spalle l’orbita tossica del Bilderberg per poter riprendere a respirare liberamente. Per poter camminare in una strada secondaria senza essere pedinato da poliziotti in borghese. Sono stanco degli uomini all’ingresso, degli uomini sulle scale, degli stessi uomini in diverse entrate o agli angoli ovunque io vada. Delle auto che si spostano dal lato della strada quando mi avvicino. Le stesse auto, le stesse sensazioni. Sono stanco di reclamare alla stazione. Ho fatto tre segnalazioni fino ad ora, e l’ultima è stata aspra. Hanno negato completamente che fossi pedinato. “È un’idea che hai in testa!” Gli ho mostrato una foto che ho scattato oggi, quando ho portato il mio pedinatore in una strada che forma una grande curva sulle colline, ho aspettato dietro un angolo, e ho scattato la foto mentre non se ne accorgeva. Non sono molto bravi in questo campo, il che rende tutto più difficile. Se fossero un po’ più sottili potrei anche far finta che non ci fossero.
Mi hanno fatto sentire debole, ma sepolta nella mia debolezza c’è una furia. Come osano farmi sentire così. Come osano! Hanno trasformato questo angolo della riviera greca in Berlino est (un elicottero mi sorvola intorno mentre scrivo queste parole, lo giuro) e io non ho la fermezza di far finta di niente. Checkpoint Charlie eccomi.
Di tutte le cose che mi infuriano, quella che scotta di più è il fatto che sono diventato nervoso. È pazzesco che tengo la porta della camera aperta mentre faccio le valigie, nonché la porta del terrazzo. Due vie di uscita. È pazzesco che ho cominciato a controllare il bagno e l’armadio quando entro. Che faccio foto del mio portatile quando esco dalla camera, e lo ritrovo spostato. Voglio stare all’aperto, alla luce del sole, in mezzo alla gente. Ho voglia dell’ aria fresca del centro di Atene, e non è poco da dirsi.
E non sto neanche immaginando niente – questa non è un’ “idea nella mia testa”. Ed è straordinario che lo debba scrivere. È scioccante e mi turba profondamente dover giustificare la mia stessa sanità mentale, difendere le mie percezioni e stare in una stazione di polizia mentre mi viene detto che immagino le cose. Gli ho mostrato la fotografia dell’uomo che ho sorpreso dietro l’angolo. Uno degli ufficiali mi chiede assurdamente: “come fa da questa fotografia a dire che la stava seguendo? Io vedo solo un uomo”. Faccio un respiro profondo. “Beh, sì, non porta un cartello con su scritto ‘sto pedinando Charlie Skelton’ quindi presumo che dobbiate credermi sulla parola”.
Entra il comandante. Bossios Hoggios. “Qual è il problema?” Gli dico che la polizia mi sta pedinando, e che vorrei che smettessero, o che me ne spiegassero la ragione. “Perché sei qui?” sbraita lui. Gli dico che sono qui per la conferenza del Bilderberg all’Astir Palace. “Ma è proprio quella la ragione! Ecco perché! Abbiamo finito!” Se ne lava le mani di me, salutandomi con un gesto e ritornandosene in ufficio. “Idiota,” mormoro io, non sentito.
Tornando alla fotografia.
“Come fa a sapere che è un poliziotto?”
“Lo so perché l’ho visto parlare con i vostri colleghi al posto di controllo”.
“Non è consentito fare foto ai poliziotti”.
“Quindi sono pedinato da poliziotti?”
Fa un gesto indicando fuori dalla finestra.
“Dov’è adesso quest’uomo che dici ti stia pedinando? Fammelo vedere.”
Sono in una stazione di polizia. Non so che dire. Mi dicono di chiamare la polizia se li dovessi rivedere. Chiamare la polizia se vedo che la polizia mi segue.
Non avrei dovuto chiamare l’ufficiale un idiota. Non avrei dovuto alzare la voce e riso dell’assurdità della situazione. Non sono più in una stanza amica, quindi decido di andarmene. Applaudo con altrettanta derisione e rabbia, e grido: “Siamo finiti!” Me ne lavo le mani della polizia greca.
Ma non ho finito con Bilderberg.
Finisco il succo d’arancia, prendo lo zaino, e cammino per la strada per fermare un taxi. Quando vengo fermato per la terza volta. Sono lontano ben oltre mezzo chilometro dal Bilderberg, cercando di lasciare il resort, stanco di tutto, ma Checkpoint Charlie mi ha già sbattuto in faccia:
“Ha fatto fotografie!”
Non ho fatto niente del genere. Aspettavo un taxi.
“Mi faccia vedere la macchina fotografica! Perché è qui?!”
Vengono intorno. Poliziotti locali, un ufficiale del reparto antisommossa, due uomini della “sicurezza” privata. Ho visto i loro cordoni: Avion Security. Uno dei sicari della Avion mi pungola col suo walkie-talkie. “Perché sei qui?” Gli dico estenuato, che sono un giornalista. Lui si gratta il mento e pronuncia le parole che anche a 30 gradi sotto il sole mi fanno gelare il sangue.
“Favorisca i documenti”.

Fonte: www.guardian.co.uk
Link: http://www.guardian.co.uk/world/2009/may/17/charlie-skelton-bilderberg
17.05.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI