“La crisi ha bruciato 200mila posti”, La Stampa. Confindustria pubblica il suo ultimo bollettino sulla situazione economica del Belpaese. E getta un po’ di luce su quel garbuglio che sono i dati sulla disoccupazione italiana. Finora, secondo la lobby degli industriali, la crisi economica avrebbe bruciato 200mila posti di lavoro. E provocato un’esplosione delle ore di cassa integrazione che – nel 2009 – dovrebbe arrivare alla cifra record di 829 milioni (cifra che batte il record precedente di 812 milioni di ore registrato nel lontano anno di grazia 1984). Dall’Istat, poi, arrivano altri segni meno sul fronte dell’industria: a maggio 2009 (rispetto a maggio 2008), il fatturato di questo settore è sceso del 25,3%; gli ordini addirittura del 31%. Domanda: che siano questi “i segnali non negativi” di cui vaneggiava in settimana il governo del Cavaliere Berlusconi Silvio da Arcore?

  1. “Case, dopo le compravendite perdono quota anche i prezzi”, La Repubblica. La società di studi economici Nomisma mette nero su bianco i numeri del mercato immobiliare italiano di quest’anno. Che – a quanto pare – non gode proprio di ottima salute. Secondo Nomisma: nel 2009 le compravendite di immobili dovrebbero calare – rispetto al 2008 – del 12,5% (tradotto in numeri assoluti: quest’anno dovrebbero andare in porto 250mila compravendite in meno). E i prezzi dovrebbero scendere in media del 6-8% (sempre rispetto al 2008). Insomma: chi pensava che la bolla immobiliare fosse una specialità solo made in Usa, potrebbe doversi ricredere.
  2. “Tangenti italiane sul gas nigeriano”, Corriere della Sera. La Procura di Milano mette nel mirino la prima azienda d’Italia, ovvero l’Eni. Secondo il Corriere in edicola oggi, i magistrati milanesi hanno aperto un’inchiesta su una delle società del gruppo: la ex Snamprogetti, ora incorporata in Saipem. Pesanti le accuse: Snamprogetti avrebbe pagato tangenti – assieme alle altre società che facevano parte di un consorzio internazionale chiamato Tskj – a politici e burocrati della Nigeria. Tangenti che sarebbero servite per ottenere un appalto – da ben 6 miliardi di dollari – per la costruzione di ben 6 impianti di estrazione e stoccaggio gas, nel giacimento di Bonny Island. Scrive il Corriere che il giacimento oggetto delle presunte ricche mazzette (182 milioni di dollari) è “da anni al centro del conflitto tra le forze governative e i guerriglieri che si battono contro lo sfruttamento del delta del Niger”. Di qui non una, ma due domande. Primo: come può essere che una società del gruppo Eni – che fa capo al ministero del Tesoro (che ha il 20% delle azioni) – paghi delle stecche ai politici di un altro Paese? E secondo: ma non è che i “guerriglieri” di cui sopra – che il quotidiano “La Repubblica” descriveva ancora pochi mesi fa con le parole “ribelli” e “rivoltosi” – non c’avevano e non c’hanno tutti i torti?

 

 

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