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Luca Troiano

 

Le sanzioni Onu emanate in giugno stanno seriamente mettendo a rischio l’economia di Teheran. A dispetto dei segnali di ripresa, cresce il malcontento della gente per un’inflazione ormai fuori controllo. Il governo ribadisce che l’economia iraniana è forte e che proseguirà il programma nucleare. Intanto anche la Cina decide di raffreddare i rapporti economici con Teheran. A Vienna, tra meno di un mese, la prossima partita dei negoziati.
1. A cinque mesi dalla risoluzione 1929 del Consiglio di Sicurezza, che ha inasprito le sanzioni contro l’Iran, e a due settimane dal nuovo round di colloqui tra Stati Uniti ed Ue da una parte e Repubblica Islamica dall’altra, in programma a Vienna, appare opportuno chiedersi quale sia stato finora l’impatto di provvedimenti sull’economia della Repubblica Islamica.
L’effetto complessivo non è ancora chiaro; i numeri, di per sé, non offrono indicazioni univoche sul reale andamento delle cose. Se da un lato il sistema produttivo iraniano presenta dati incoraggianti, dall’altro la qualità della vita nel paese sembra peggiorare di giorno in giorno. Trovare una risposta certa non è facile.

Le limitazioni commerciali contro l’Iran hanno una lunga storia. Le prime sanzioni risalgono furono imposte dagli Stati Uniti nel 1987,  in conseguenza del presunto sostegno iraniano al terrorismo e delle aggressioni a navi non belligeranti nel Golfo Persico. Negli anni Duemila, la crescente preoccupazione per il programma di arricchimento dell’uranio perseguito da Teheran ha portato ad un allargamento del campo delle sanzioni, arrivando a coprire tutti i principali settori del commercio iraniano.
L’Iran ha proseguito comunque il suo programma nucleare, da un lato perché le sanzioni erano poco mirate, e dall’altro perché le ha bypassate rivolgendo il suo sguardo ai mercati d’Oriente, quello cinese in testa. Peraltro, non sono poche le accuse di aggiramento delle sanzioni tramite sanction busting (commercio illegale verso un paese con il quale quest’ultimo è formalmente interdetto) o attraverso la copertura di società fittizie e di paesi terzi compiacenti. rivolte al regime di Teheran. Ad ogni modo, l’eterogeneità degli interessi in gioco nei vari tavoli di trattative ha reso sempre difficile trovare delle risposte diplomatiche adeguate a trovare una soluzione definitiva alla questione nucleare. La migliore, finora, è stato l’accordo siglato in primavera a Teheran con Turchia e Brasile sullo scambio di uranio arricchito; paesi che in seno al Consiglio di Sicurezza hanno votato contro le sanzioni fortemente volute da Usa e appoggiate dall’Europa.
Proviamo a tracciare un possibile bilancio.
2. L’economia iraniana, attualmente tra le prime 20 economie mondiali, è caratterizzata dalla presenza di un forte statalismo con segni di apertura verso l’intervento privato. Ad oggi, si stima che il 50% di tutto il sistema sia pianificato centralmente, ma già un emendamento alla Costituzione del 2004  ha permesso all’80% delle proprietà statali di essere privatizzate. Per gli esperti, dunque, si tratta di una “economia in transizione”.
I dati offerti da operatori economici internazionali evidenziano prospettive incoraggianti nella crescita dell’economia. L’Iran non ha risentito granché della crisi: le sanzioni economiche emanate nel 2007, paradossalmente, hanno fatto da scudo al contagio della débacle finanziaria globale.
Le statistiche riguardanti l’Ease of Doing Business, diramate dalla International Finance Corporation del gruppo World Bank, dicono che l’Iran sarebbe al 137° posto nel ranking mondiale in quanto a semplicità nell’aprire un business. In posizione ancora bassa, dunque, ma con un miglioramento di 5 punti dall’anno precedente. Per aprire un business a Teheran sono necessari 9 giorni, mentre nel resto Medio Oriente e nel Nord Africa ce ne vogliono 20,7. Il settore edilizio è passato dal 162° posto nel 2009 al 141° nel 2010. Anche l’agricoltura, che rappresenta il 10,9% del PIL e impiega il 30% della popolazione, ha scelto di affidarsi ad un imponente programma di meccanizzazione per aumentare efficienza e produttività. I finanziamenti governativi per ricerca
e sviluppo sono ancora bassi ma mostrano un leggero aumento.
Negli ultimi mesi l’Iran si è reso protagonista di importanti iniziative.
Dal 3 al 6 agosto Teheran è stata la sede della decima Edizione del Salone dell’Edilizia, dove hanno partecipato all’evento circa 1000 imprese edilizie iraniane e 400 estere provenienti da tutto il mondo, soprattutto dalla Germania e dai paesi dell’Estremo Oriente.
Il 24 agosto il governo ha diminuito le importazioni di veicoli commerciali di piccolo e grosso calibro, decidendo di provvedere da sé a soddisfare la domanda interna del mercato dei trasporti. Tale decisione, secondo il Ministero per l’Industria e le Miniere di Teheran, avrebbe dovuto incentivare lo sviluppo dell’industria metalmeccanica del paese per renderlo ari agli standard registrati nei paesi immediatamente vicini all’Iran e non.
Tre giorni dopo, Iran e Siria hanno annunciato l’intenzione di inaugurare una banca privata a Damasco. L’istituto, il cui progetto di fondazione era stato deciso già nel 2008, si chiamerà Al-Aman e potrà contare su un capitale iniziale di 1,5 miliardi di sterline siriane (circa 32 milioni di dollari). Saderat Bank, Alghadir Company e Saipa (principali istituiti di credito del paese) possiedono rispettivamente il 25, il 16 e l’8% delle azioni della banca. Il restante 51% delle azioni verrà offerto al pubblico sul mercato azionario siriano.
Il primo settembre, il presidente della compagnia di bandiera iraniana, Farhad Parvaresh, annuncia che Iran Air e Turkish Airline, compagnie di bandiera rispettivamente di Iran e Turchia, formeranno un consorzio per il trasporto aereo, aggiungendo che ci sono già stati colloqui sull’allargamento del progetto ad altri paesi confinanti.
Attualmente Iran Air opera su 60 destinazioni, 35 internazionali e 25 domestiche, e può contare su una flotta cargo di 20 servizi di linea e 5 servizi charter. Turkish Airline, a sua volta, gestisce servizi di linea verso 127 destinazioni internazionali e 34 domestiche (su 37 aeroporti totali presenti in Turchia), operando su un totale di 164 scali suddivisi tra tuIl tretti i continenti.
Il 3 settembre, il governo rende noto che il volume di export non legato ai beni energetici supera i 9,145 miliardi di dollari in 4 mesi, oltre il 21% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Anche il peso delle esportazioni è aumentato (più 22% rispetto allo stesso periodo dell’anno passato) ed è arrivato a 20,62 milioni di tonnellate.
In crescita anche le importazioni, aumentate nello stesso arco di tempo del 17% fino a raggiungere la cifra di 18,449 miliardi di dollari. I principali esportatori verso l’Iran sono stati gli Emirati Arabi, con il 30% delle esportazioni verso il paese. Seguono la Cina, la Germania, la Corea del Sud e la Turchia (rispettivamente l’8,9, l’8,5, il 6,3 e il 6,1% delle esportazioni totali verso l’Iran).
Tutto questo visto da fuori. Da dentro, invece, le prospettive appaiono tutt’altro che rosee.
3. Nei primi di luglio una giovane donna, Sadras Koushkizadeh, 24 anni, sposata con una figlia di tre anni, residente a Dehdasht, nel sudovest dell’Iran, è morta a causa della gravità delle sue ustioni. Venti giorni prima si era cosparsa di cherosene e immolata in piazza. Secondo un amico, non ne poteva più della situazione di povertà e indigenza in cui versava la sua famiglia
E’ questo l’episodio più eclatante della crescente frustrazione che da tempo attanaglia la popolazione iraniana. Da alcuni mesi, infatti, i prezzi dei beni di prima necessità sono aumentati drasticamente in tutto il paese, soprattutto nella capitale. anche per il trasporto pubblico e il cibo.
Anche il trasporto pubblico è in crisi. La compagnia di autobus di Teheran ha recentemente interrotto il servizio a Tajrish Terminal, invitando i residenti di utilizzare la metropolitana. Ma nella capitale molti quartieri popolari non vi hanno accesso.
E non è finita qui. Il governo di Mahmoud Ahmadinejad ha annunciato che a partire dal prossimo marzo le tariffe dei taxi, aumenteranno di 20 centesimi di rial, con 15 centesimi per ogni ulteriori 100 metri.
Nella prima settimana di agosto, il prezzo della carne a Teheran era passato da 120.000 a 180.000 rial (12-18 dollari) al chilo. Tra settembre e ottobre raddoppiato a 350.000 rial (35 dollari).  E le stime dicono che nel mese di novembre potrebbe addirittura triplicare. Ci sono anche segnalazioni di inflazione travolgente anche a Tabriz, importante centro nel nord-ovest del paese. Da tempo la città è stata colpita dalla disoccupazione e da una profonda crisi immobiliare. Quasi tutti i lavoratori ricevono gli stipendi in ritardo; alcuni non lo prendono da mesi.
Nei grandi centri, l’esasperazione della gene traspare ad ogni angolo di strada. Sono sempre di più i cittadini convinti che le sanzioni imposte all’Iran per invitarlo a desistere sul suo programma nucleare siano solo un mantra ripetuto dal governo per giustificare l’inflazione galoppante degli ultimi tempi. In molti si fanno anche beffe del regime per la stampa di 10.000 nuove banconote da 10,000 Toman. Motivazione? includono un famoso versetto poetico iraniano… sfigurato da un imbarazzante errore di battitura.
Al dileggio però si sostituisce presto la preoccupazione per il futuro. Le persone sono in attesa di vedere quale impatto avranno sulla loro vita i piani di riduzione dei sussidi annunciati dal regime. Nel sistema di sostegno dei prezzi precedente alle sanzioni, secondo il Fondo Monetario Internazionale una famiglia su quattro riceveva in media l’equivalente di quasi 4.000 dollari all’anno in benzina, energia elettrica e beni di prima necessità da parte del governo, che alle finanze di Teheran costano complessivamente qualcosa come 100 miliardi di dollari. Ora il taglio delle forniture di gas, praticamente dimezzate tra giugno e luglio, hanno causato l’immediato rincaro dei prezzi della benzina e dell’energia elettrica. Diversi economisti iraniani credono che il piano di tagli agli aiuti potrebbe portare far levitare i prezzi di benzina e grano di oltre il 20% già nelle prossime settimane.
Sembra un controsenso, ma il paese (quarto produttore mondiale di petrolio) soffre di un’endemica carenza di carburanti a causa di un’insufficiente industria di raffinazione, e la domanda interna di tali beni dipende pesantemente dalle importazioni.
A soffrire per le sanzioni c’è anche il sistema finanziario. Da giugno, infatti, decine e decine di banche e aziende internazionali hanno interrotto i loro rapporti d’affari con l’Iran, mettendo a rischio la stessa stabilità del sistema bancario nazionale. La moneta nazionale, il rial, ha subito una svalutazione del 10% nel giro di poche settimane. E per i commercianti è sempre più difficile procurarsi valuta estera.
Le sanzioni di giugno, dirette a colpire la Repubblica Islamica e chi intrattiene affari con essa, sembrano manifestare i propri effetti più nocivi man mano che si scende in basso.
Secondo il Dipartimento di Statistica del paese, 10 milioni di iraniani vivono sotto la soglia di povertà assoluta e 30 milioni sotto quella di povertà relativa. Ovunque serpeggia l’insoddisfazione verso un regime considerato responsabile di una situazione sempre più insostenibile. D’accordo, la crisi mondiale non è ancora finita e le sanzioni hanno avuto il loro peso; ma il governo di Ahmadi-Nejad si è mostrato incapace di gestire l’economia con il petrolio a 100 dollari al barile.
Nessuno però manifesta pubblicamente il proprio dissenso, per non incorrere in guai peggiori.
4. Dinanzi ad uno scenario così contrastante, il governo intende proseguire per la sua strada. Da un lato, affidandosi alle dichiarazioni di principio: "il mondo è grande e le persone che sono commerciano [con noi] trovano il modo di trasferire denaro", come ha detto ai giornalisti il ministro delle Finanze iraniano Shamseddin Hosseini, a margine dell’ultima conferenza del Fondo Monetario Internazionale. Secondo Ahmadi-Nejad e altri funzionari iraniani l’economia del paese rimane forte. Molti paesi e multinazionali, a loro dire, sono ancora disponibili a trattare affari con le imprese iraniane, nonostante la disapprovazione di Washington.
Ma non sono pochi a dissentire da tale ottimismo. Il mese scorso, l’ayatollah Nasser Makarem Shirazi, uno dei più importanti esponenti religiosi del paese, ha apertamente accusato il presidente e i suoi ministri di distorcere i dati economici. "Le statistiche sulla riduzione dell’inflazione sono costantemente ribadite, ma sono in contraddizione con ciò che la gente vede con i propri occhi", ha dichiarato l’ayatollah Shirazi ai media iraniani. In generale, non sono pochi gli esponenti del clero a contestare la politica economica di Ahmadinejad.
Dall’altro, trasfigurando le difficoltà dietro una maschera di incoraggianti prospettive. Poco importa se reali o meno. In questo contesto si inquadra il balletto di cifre tra  Iran e Iraq sulle riserve di oro nero.
L’Opec, di cui entrambi Iran e Iraq fanno parte, attribuisce a ognuno dei 13 paesi membri una quota di produzione di greggio, che non può superare. In questo modo, tagliando o aumentando l’offerta, l’organizzazione riesce a stabilizzare il prezzo del barile. Tale quota produttiva è proporzionale alle riserve detenute da ciascun paese membro, il che significa che più alta è la quota e più alto sarà il petrolio che può produrre. E più soldi che entreranno nelle sue casse con le esportazioni.
Ora, aa qualche tempo a questa parte entrambi i paesi rivendicano di avere più petrolio dell’altro. E non appena uno dei due ritocca verso l’altro le stime, l’altro gioca al rialzo un attimo dopo.
In giugno il Ministro del petrolio iracheno, Hussain al-Shahristani, annuncia che le riserve accertate di greggio in Iraq sono salite a 143 miliardi di barili, il 25% rispetto alle precedenti stime. Se confermato, tale dato collocherebbe il Paese dei due Fiumi al secondo posto nella classifica mondiale dei possessori di petrolio, un gradino sotto Sua maestà Arabia Saudita (264,5 miliardi di barili) e uno sopra il paese degli ayatollah. Passano pochi giorni e il Ministro dell’Energia iraniano, Massoud Mirkazemi, dirama un comunicato secondo cui l’Iran può contare su una riserva di 150 miliardi di barili, a fronte dei 138 miliardi delle stime precedenti. Shahristani replica che la revisione delle riserve non include le stime sui giacimenti al confine tra Iraq e Kuwait e tra Iraq e Iran, il che preannuncia un nuovo sorpasso.
L’Iraq, a quasi otto anni dalla caduta di Saddam, può tornare a recitare un ruolo di primo piano nello scacchiere mediorientale. Autorevoli esperti ritengono che in 4-5 anni possa raddoppiare la sua produzione, attestandola a cinque milioni di barili al giorno. E in dieci anni potrebbe fare anche di più. Arrivando a superare quella dell’Iran, a cui anni di sanzioni hanno danneggiato seriamente l’ industria estrattiva. Certo, storicamente l’Iraq non ha mai prodotto più dell’Iran, dunque non c’è motivo di modificare la composizione delle quote in sede Opec, ma sono in molti a credere che nel gioco al rialzo tra Baghdad e Teheran la meno credibile sia proprio quest’ultima.
5. Martedì scorso l’Organizzazione per l’energia atomica dell’Iran (AEOI) ha reso noto di aver iniziato il caricamento di 163 barre di combustibile, fornite dalla Russia, nel nucleo del reattore di Bushehr, rimasto fermo per mesi in seguito ad un cyberattacco al suo sistema di programmazione.  L’impianto da 1.000 megawatt, che dovrebbe iniziare la produzione di energia elettrica entro tre mesi,  non è considerato come una minaccia da parte dei paesi occidentali.
Presso i funzionari occidentali si sta facendo strada la consapevolezza che le misure punitive stanno danneggiando danneggiando sempre di più l’economia di Teheran, la quale avrà un margine di manovra più limitato rispetto ad alcuni mesi fa. Venerdì l’Alto Rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton, ha detto che l’Iran è pronto a partecipare ai suoi colloqui con i paesi del 5+1, i primi a più di un anno dal suo controverso programma nucleare. Allora l’Iran respinse con sdegno ogni invito a frenare il programma di arricchimento, ribadendo che un paese ha il diritto sovrano di sviluppare l’energia atomica a scopi pacifici.
D’altronde si sa che le sanzioni pronunciate contro un governo servono non a punire lo stesso per la sua reticenza, bensì ad esasperare la frustrazione della gente fino alla ribellione. E questo gli Stati Uniti lo sanno bene. "Nelle prossime settimane, il governo iraniano prenderà alcune gravi decisioni economiche, nessuna delle sue opzioni sono buone", ha detto un alto funzionario degli Usa. "La situazione economica in Iran sta esacerbando le divisioni politiche nel governo”. Il Dipartimento di Stato americano ha detto che Washington e l’UE stavano preparando una nuova offerta all’Iran in ordine allo scambio di uranio arricchito con altri paesi, ma a condizioni più dure di quelle che Teheran ha respinto l’anno scorso. "Dobbiamo convincerli che la vita peggiorerà, se non cominciano a muoversi," è il commento più ricorrente presso la diplomazia a stelle e strisce.
E c’è da crederlo: è di pochi giorni fa la notizia che la Cina, principale valvola di fuga dalle sanzioni Onu, ha deciso di ridurre le proprie importazioni di greggio dall’Iran portandole a 415.000 barili al giorno, dalle 499.000 dello scorso anno.  C’è chi lo considera un avvertimento da parte di Pechino.
Resta il fatto che la Cina ha già preannunciato un ulteriore rallentamento dei propri progetti già in corso nel paese persiano. E tale decisione si aggiunge a quelle prese nei giorni scorsi dalla Galp, compagnia petrolifera portoghese, di abbandonare l’Iran, e da BP di rompere la joint venture con la Repubblica Islamica per lo sfruttamento in comune del grosso giacimento di Rhum, nel Mare del Nord, che solo lo scorso hanno aveva raggiunto un fatturato di 85,78 milioni dollari.
Un’ancora si salvezza per l’Iran sembra provenire dall’Europa: è notizia di ieri che le sanzioni Onu non impediranno la prosecuzione dei progetti che interessano il giacimento di Shah Deniz, a nord del paese, ricco di gas naturale e dal quale dovrebbe partire una diramazione del Nabucco, il gasdotto concepito dalla Ue per ridurre la dipendenza energetica dalla Federazione Russa.
6. A questo punto la domanda è: cosa farà l’Iran? Accetterà i negoziati o resterà sulle sue posizioni?
Negli Stati Uniti gira voce che diversi esponenti del governo di Ahmadi-Nejad siano disponibili ad un negoziato diretto con Washington. Bisogna comunque tenere presente la divisione dei poteri all’interno della Repubblica Islamica, frutto del bilanciamento previsto dalla Costituzione: a sedersi al tavolo delle trattaive sono Ahmadinejad e i suoi ministri, ma l’ultima parola spetta alla Guida Suprema Ali Khamanei. E tra i due non c’è identità di vedute. Il primo mostra ogni tanto segni d’apertura verso l’Occidente, ma non intende rinunciare al programma nucleare; il secondo è pronto a trattare sul dossier nucleare, ma non vuole saperne di dialogo con gli Stati Uniti. In mezzo ci sono i Pasdaran, ormai infiltrati ad ogni livello dell’amministrazione iraniana e preoccupati solo di proteggere i propri interessi.
Ma Teheran ha sempre meno alternative al negoziato.

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