Prima si chiamava Piccì, e ora si chiama Piddì. Ma la sinistra italiana non ha mai perso l’abitudine di lavorare, per così dire, in “franchising”. Cioè usando nomi e simboli scopiazzati a destra e pure a manca (appunto: dai comunisti made in Russia, ai democratici made in Usa; con buona pace di quella noiosa virtù chiamata coerenza). E non ha mai perso neppure il vizio di raccontare la realtà secondo uno schemino semplice semplice. Schemino che si potrebbe riassumere così: Italia uguale inferno in terra; all’estero invece – e in qualche altro Paese estero in particolare (la Russia comunista per buona parte del Novecento; gli Stati Uniti del democratico Barack Obama ora) – è tutta un’altra cosa.

Uno schemino, anzi un teorema – questo dell’Italia ko; resto del mondo okay – non sempre facile da sostenere. Ci vuole impegno. A volte qualche silenzio. Per dire. Sarà un caso: ma da un paio di settimane i maitre-à-(non)penser dei democratici nostrani che siedono nelle redazioni di “Repubblica” e de “L’Unità” stanno sommergendo i loro lettori con i racconti lacrimevoli dei tanti precari della scuola “tagliati” dal “cattivo” governo Berlusconi. Benissimo. Ma quasi nessuno ha raccontato che da questo punto di vista l’Italia è in ottima compagnia. Proprio quella degli Stati Uniti del “buon” Barack Obama. Che quest’anno – causa crisi e mancanza di fondi – di insegnanti, nelle scuole pubbliche, hanno fatto letteralmente strage.

Lo dicono i bamboccioni alla riscossa? Ovviamente, no. Lo dice – anzi, lo scrive – uno dei più autorevoli quotidiani a stelle e strisce, il “New York Times”. Che, giusto lunedì scorso, ha mandato in stampa un lungo articolo per raccontare quello che lo stesso New York Times definisce “uno dei periodi più tumultuosi della storia dell’educazione americana”.

I fatti, dunque. La crisi economica – la peggiore dalla seconda guerra mondiale (e a dirlo sono i numeri:  dodici mesi consecutivi con il Pil che scende a precipizio, negli Usa, non si registravano dal lontano 1947) – ha letteralmente svuotato le casse pubbliche. Le aziende non tirano; le persone non lavorano; e si pagano sempre meno tasse. Risultato: tutti insieme e per nulla appassionatamente i 52 Stati Usa si sono ritrovati – secondo le stime, riportate dal NyT, del Center on budget and policy priorities – in quest’anno fiscale, con un buco di 168 miliardi di dollari nei loro bilanci. E per far quadrare i conti, sono stati costretti a tagliare tutto il tagliabile. Scuola – quella pubblica s’intende – compresa.

Gli effetti sono stati devastanti. Nella sola Detroit, in Michigan – dove avevano e hanno sede le disastrate General Motors e Chrysler – sono state licenziate 1.700 persone (di cui 1.000 insegnanti) – e chiuse 29 scuole. Mentre in Arizona – sempre a causa di licenziamenti a raffica – si è arrivati, in alcuni casi estremi, a 50 studenti per classe. E la lista sarebbe ancora lunga. Il caso più clamoroso, però, rimane quello della California del governatore – ed ex re delle palestre ed ex attore – Arnold Schwarzenegger. Alle prese con una voragine di bilancio da 26,3 miliardi di dollari, Schwarzenegger a luglio aveva annunciato tagli spietati per sanità (quella per bambini e lavoratori poveri) e scuola pubblica. E’ stato di parola. I conti – dopo il folle periodo delle “cambiali” di Stato – ora stanno tornando in ordine. Ma solo in California gli insegnanti licenziati sono stati circa 20.000. E ora le classi nei licei pubblici hanno una media di 42,5 alunni. Quasi 4 squadre di calcio.

Numeri da mezza catastrofe. Che quasi nessuno – anzi: chi scrive direbbe proprio nessuno, ma non si sa mai – ha pubblicato. Numeri va da sè che nulla tolgono ai guai di tanti insegnanti, soprattutto giovani, che quest’anno si sono ritrovati senza cattedra e con un futuro più incerto di prima (nei prossimi due anni, secondo l’Antefatto, la scuola italiana dovrebbe distruggere altri 82mila posti di lavoro docente e 42mila posti da bidello e da dipendente amministrativo). Ma quei numeri servono a capire il contesto. Quello di una crisi economica di portata storica. Che ha ridotto i bilanci pubblici – nel Nuovo continente (negli Usa, il debito pubblico dovrebbe aumentare di ben 9 trilioni di dollari nei prossimi dieci anni) come nel Vecchio (in Italia già quest’anno il rapporto debito-Pil dovrebbe arivvare, secondo le stime del governo, al 115 e rotto per cento) – a brandelli. Bilanci che qualcuno – leggi i contribuenti – dovrà pur pagare. Ma questo – non solo a sinistra, ma anche a destra e al centro – non conviene farlo sapere troppo in giro. Perchè il signor Rossi di turno potrebbe anche cominciare a capirci qualcosa.

 

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