di

Luca Troiano

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1. I fatti in corso in Egitto hanno messo provvisoriamente in secondo piano una questione mai risolta: quella di un più equo e razionale utilizzo del Nilo.

Negli ultimi anni, fattori quali l’inarrestabile crescita demografica, l’estensione del deserto del Sahara e la crescente scarsità delle piogge hanno incrementato la domanda idrica sia per le attività agricole ed industriali che per le necessità delle popolazioni. Tutto ciò si è tradotto, sul piano internazionale, in una battaglia politica per la spartizione del fiume e delle sue preziose acque. Questo perché il regime dei diritti sulle risorse idriche è ancora regolato da una convenzione stipulata dalla Gran Bretagna (allora potenza coloniale della regione) nel 1959 e mai aggiornata, che assegna il 55% delle acque all’Egitto e il 22% al Sudan (quota che dovrà essere aggiornata dall’imminente secessione del Sud del paese dalla capitale Khartoum). Lasciando quel che avanza a Burundi, Ruanda, Tanzania, Uganda, Congo, Kenya ed Etiopia.

2. Negli ultimi centoventi anni le acque del Nilo sono state oggetto di numerosi trattati coloniali. Il primo trattato sulle acque del Nilo risale al 15 aprile 1891 tra Londra (che governava sul Sudan) e Roma (sull’ Eritrea). Il testo recita all’ articolo 3: «Il governo italiano si impegna a non eseguire sul fiume Atbara nessun lavoro che possa modificare sensibilmente la quantità di acqua che entra nel Nilo». Trattati analoghi vennero sottoscritti dai britannici con l’ Etiopia nel 1902 e con il Libero Stato del Congo (sotto la sovranità belga) nel 1906. Altri due accordi, il primo tra Italia, Francia e Regno Unito del 1906 e il secondo tra Regno Unito e Italia di fatto negavano all’Etiopia ogni diritto a utilizzare le acque del Nilo Azzurro, interamente destinate in Sudan e in Egitto. Addis Abeba protestò con violenza, portando il caso davanti alla Società delle Nazioni. Si giunse così agli accordi del 1929, rivisitati nel 1959 e tuttora in vigore, che l’Etiopia non ha mai firmato e non ha mai smesso di contestare perché considerati iniqui.

Basta dare uno sguardo alle clausole per comprendere il perché: esse non solo assegnano all’Egitto il completo controllo del Nilo durante la stagione secca, quando le sue acque sarebbero necessarie per l’ irrigazione di tutti gli stati rivieraschi, ma prevedono addirittura il diritto di veto del Cairo su qualunque costruzione che possa modificare la portata del fiume. Non solo. Il governo del Cairo ha perfino il diritto di tenere sempre pieno il lago artificiale Nasser, creato dopo la costruzione della diga di Assuan. L’Egitto, il cui territorio è desertico al 98% e riporta un livello di piogge annuali pressoché nullo, dipende dal Nilo per il 95% del suo fabbisogno: il fiume alimenta l’agricoltura e mette in moto le turbine delle centrali elettriche presso la diga di Assuan. Da millenni le sue acque sono la fonte primaria di sostentamento della popolazione. Un concetto espresso già venticinque secoli fa da Erodoto, secondo il quale il paese è “un regalo del Nilo”, e ormai interiorizzato da ogni egiziano ed istituzionalizzato dalla classe politica. La quale non perde occasione di ribadire la propria posizione di assoluta precedenza nello sfruttamento del fiume rispetto agli Stati a monte. A conti fatti, al paese dei faraoni sono destinati 55,5 miliardi di metri cubi all’anno sugli 84 che scorrono nel fiume. Al Sudan ne spettano 18,5 miliardi di m3. Con buona pace dei diritti degli altri stati.

3. Da tempo l’Egitto soffre di carenze idriche. Il Cairo conta ormai 17 milioni di abitanti, e diversi quartieri sono da tempo a corto di approvvigionamento idrico. Non molto tempo fa il (quasi ex-) presidente Mubarak, per rilanciare la sua traballante immagine aveva annunciato il progetto di una serie di città miracolo nel deserto. Che per sopravvivere si sarebbe abbeverata sul grande fiume.
Ma già da anni la terra dei Faraoni ha sete. Il bacino del Lago Nasser, originato dalla diga di Assuan, fa evaporare dieci miliardi di metri cubi. La salinizzazione della terre, unita all’aumento della popolazione, ha fatto sì che la disponibilità di acqua per abitante, che nel 1990 era di 922 m3, nel 2025 non supererà i 337.
Le dinastie faraoniche basavano il consenso sulla capacità di amministrare il fiume evitando inondazioni e secche: fu anche per legittimarsi che Nasser fece della diga di Assuan un progetto di vita o di morte. E Mubarak, improbabile erede di tali gloriose dinastie, non si è mai mostrato all’altezza di placare la crescente sete del paese. La gratuità delle forniture d’acqua alla popolazione, unico provvedimento del presidente degno di nota, ha finito per incentivarne gli sprechi, soprattutto in agricoltura, anziché un impiego più razionale. Un’agricoltura che ai tempi dell’antica Roma aveva reso l’Egitto il granaio dell’Impero, ma che adesso non è più in grado di sfamarlo, tanto che il paese è divenuto il quarto importatore mondiale di grano (al costo di 2,54 miliardi di dollari ogni anno).

Per l’Egitto, dunque, il Nilo è una questione di sicurezza nazionale. Le relazioni con gli altri Stati del bacino sono prioritarie rispetto ad ogni altra questione. Per decenni Il Cairo ha inviato un ingegnere in Uganda alla diga Owen Falls, vicino all’isola Kitra, per controllare il deflusso del fiume. Due anni fa l’Uganda ha smesso di fornire i dati all’ingegnere, in aperta polemica con Mubarak che si rifiutava di discutere una nuova ripartizione delle acque. Rifiuto confermato ad aprile dello scorso anno, quando l’Egitto ha rifiutato un accordo sull’utilizzo "equo e ragionevole" delle acque del fiume, ribadendo la priorità dei propri "diritti storici". Pretese che per i negoziatori di Uganda ed Etiopia equivalevano ad un insulto. Ma Mubarak non poteva cedere di un passo sulla questione.
In passato, il presidente aveva affermato senza mezzi termini che, in caso di cambiamenti dello status quo nella gestione del fiume, l’unica soluzione possibile sarebbe stata la guerra. E più di una volta dalle parole ci fu il rischio di passare ai fatti. Nel 1995 il Sudan diffuse la notizia della possibile costruzione di una nuova diga. Il Cairo pianificò un attacco aereo su sulla capitale Khartoum, che venne annullato solo all’ultimo istante.

4. Il 14 maggio 2010, ad Entebbe, capitale dell’Uganda, il paese ospitante e la Tanzania, il Ruanda e in seguito il Kenya hanno firmato il protocollo d’intesa “Cooperative Framework agreement”che vincola i Paesi aderenti a formare una nuova Commissione per gestire lo sfruttamento idrico del Nilo e che resterà aperto alle adesioni per un anno.

In base al suddetto accordo, la quota delle acque del bacino del Nilo di ciascuno Stato dipenderà da variabili quali la popolazione, contributo al flusso del fiume, il clima, le esigenze sociali ed economiche, e, soprattutto, gli usi attuali e potenziali delle acque. L’accordo sarà aperto all’adesione di nuovi Stati fino al 31 maggio 2011, termine previsto per consentire l’ingresso al neonato Sud Sudan.

Un buon risultato, se non fosse che Egitto e Sudan hanno boicottato l’incontro, fermi sulle proprie posizioni. E quale futuro potrà avere un accordo concluso senza gli attori maggiormente interessati?

La rivolta che sta infiammando l’Egitto, il vuoto politico lasciato dall’ormai sicuro abbandono di Mubarak e le incerte modalità in cui la transizione avrà luogo hanno distolto l’attenzione generale dal dossier Nilo; ma qualunque sarà il futuro istituzionale del paese, prima o poi la questione si presenterà sul tavolo dei nuovi governanti. Se costoro manterranno la linea Mubarak, o se invece preferiranno una soluzione più conciliante, è ancora da vedere.

La Terra dei Faraoni ha questioni più urgenti da affrontare.