DI

MARSHALL AUERBACK
Counterpunch

 

 

 

 

 

 

 

 

Manca ancora una settimana prima che l’Euro salti in aria, o almeno è così che ci hanno detto per la millesima volta. È più probabile che la BCE faccia il minimo sufficiente per tenere in piedi la baracca, che l’austerità fiscale prosegua, e che aumentino le rivolte nelle strade di Madrid, Atene, Roma e Parigi. Come nel film “Il petroliere” (“There will be blood”), “ci sarà sangue” prima che nell’area Euro avvenga un verosimile cambiamento verso un’apprezzabile politica orientata alla crescita.

Viste le traversie dell’eurozona, come mai l’Euro è rimasto relativamente solido? Certo, una moneta che si presume svanisca nel giro di qualche settimana dovrebbe essere scambiata vicino alla parità con il dollaro? Eppure si continua a essere colpiti dalla divergenza tra le supposizioni e l’effettivo movimento di mercato. Con tutti i discorsi sul come l’Euro possa evaporare a Natale, è impressionante il fatto che rimanga saldamente stabile intorno a 1,34 dollari, notevolmente al di sopra del minimo di 1,20 raggiunto nel maggio 2010 (quando imperversavano i pronostici sulla parità con il dollaro).
Per lo stesso motivo abbiamo d’altra parte anche un paradosso: ogni volta che una soluzione ai problemi presentati dall’Euro sembra avviarsi a una conclusione, l’Euro si rafforza. Forse non è così strano, se non che la soluzione per la quale ognuno è di fatto d’accordo possa funzionare, ovvero una prolungata operazione di acquisto di titoli avviata dalla BCE – si dica rappresentare un genere di “alleggerimento quantitativo”: e non ci hanno sempre raccontato che esso significa “stampare valuta”, il che dovrebbe provocare il suo deprezzamento? Non è quanto sostenevano lo scorso anno gli avversari del piano della Fed?

Naturalmente, nel caso dell’Unione Monetaria Europea, il presidente della BCE Mario Draghi ha ribadito che tali acquisti di titoli non avranno luogo in mancanza di opportune “progressi”, con i quali intende innanzitutto un’unanime austerità fiscale, seguita poi dall’acquisto dei titoli. L’effetto della prima neutralizzerà il potenziale impatto del secondo, dato che la “strada inflattiva” (proprio nella misura in cui l’inflazione si verifica) può derivare solo da politiche fiscali. E certamente, a dispetto di una grave recessione, tagli come quelli presentati dai governi degli stati-satellite di Italia e Grecia (insieme a un rinnovato attacco del presidente Sarkozy al welfare francese), quasi certamente inaspriranno le pressioni fortemente deflattive all’ opera adesso nell’eurozona. In definitiva, ciò avrà di sicuro la conseguenza di creare una maggiore instabilità sociale e spargimento di sangue, potendo tuttavia avere un modesto impatto sullo stesso Euro.

Allora, cosa sta succedendo in realtà all’Euro? Facciamo un passo indietro, oltre le chiacchiere da panico. I più recenti dati del COMEX (Commodity Exchange: borsa americana delle materie prime, Ndt) rivelano che gli speculatori hanno venduto allo scoperto in massa sull’Euro, eppure la valuta è calata meno del 10 percento dai suoi ultimi massimi. La domanda che ci si può legittimamente fare è: in quale fase l’attuale austerità fiscale provoca dei deficit maggiori, cosa che in teoria dovrebbe produrre un Euro più debole (dal momento che diventa più “facile da procurarsi”)?

Ho lottato con questo problema e continua a risultarmi la valuta forte, persino con un disavanzo fiscale più alto. Perché?

Per prima cosa, l’acquisto di titoli da parte della BCE nel mercato secondario è operativamente sostenibile e non inflazionistico. Quando la BCE si impegna in operazioni di acquisto di titoli, l’operazione sposta semplicemente gli utili netti conseguiti dall’‘economia’ dalle passività dei governi nazionali alle passività della BCE, sotto forma di saldo di compensazione presso la BCE. Allo stesso tempo le passività dei governi cosiddetti PIIGS si spostano dall’‘economia’ alla BCE. Nota: questo processo non altera i “flussi” o le “giacenze nette” di Euro nell’economia reale.

Fino a quando la BCE detterà termini e condizioni dell’austerità, l’acquisto dei titoli di stato non sarà inflazionistico. Da questa via l’inflazione è il risultato della spesa. Comunque, in questo caso il sostegno della BCE si accompagna soltanto alla riduzione della spesa dovuta all’imposizione dell’austerità fiscale. Draghi la ha ora resa esplicita, quasi certamente come tacita contropartita tedesca per il sostegno al Piano di Mercato Secondario (SMP). Inoltre, minore spesa significa minore domanda aggregata, che a sua volta vuole dire inflazione più bassa e una valuta più forte. Sappiamo anche da una fonte autorevole, nientemeno che dalla Banca dei Regolamenti Internazionali, per ironia della sorte le stesse iniziali di “blood in streets” (‘sangue nelle strade’, NdT), che le banche non possono dare in prestito le riserve, quindi l’aumento delle riserve nel sistema bancario NON È di per sé inflazionistico, come continuano ad ammonirci gli iper-insinuatori dell’iperinflazione di Weimar.

Consideriamo ora il lato commerciale: nonostante la brusca contrazione economica odierna (senza dubbio, oggi l’Europa è in recessione), nell’area euro non si assiste a un marcato peggioramento del deficit delle partite correnti. L’eurozona, anzi, sembra essere un’economia piuttosto autosufficiente e un po’ mercantilista, che mostra molta meno propensione a importare quando l’economia tracolla. Quindi, anche se le importazioni calano, lo fa anche il deficit commerciale a causa del calo nella domanda. Le esportazioni non crollano, anzi in questo tipo di ambiente possono salire.

Essenzialmente è questo l’Euro.

Parlando di cosa potrebbe avvenire se la BCE dovesse ampliare sensibilmente il suo piano di acquisto di titoli nel mercato secondario, l’idea che l’Euro possa cadere è simile al ragionamento sull’eventuale crollo del dollaro nel caso ci impegnassimo in una seconda fase dei cosiddetti “alleggerimenti quantitativi”. E se questi fossero inflazionistici, allora il Giappone sarebbe già da adesso in iperinflazione, con gli Stati Uniti a seguire di poco.

NON c’è alcun indizio che l’acquisto da parte della BCE di titoli di stato denominati in Euro abbia portato a una qualche inflazione monetaria, dato che sono proprio le pressioni deflazionistiche che continuano ad alimentare l’implosione del debito in corso. Il motivo per cui non c’è alcuna inflazione dall’acquisto di titoli da parte della BCE sta nel fatto si spostano solamente i titoli degli investitori dai debiti dei governi nazionali ai bilanci della BCE, il che non cambia niente nell’economia reale.

Ma la domanda che ci si pone con insistenza quando si sostiene un ruolo istituzionale più ampio della BCE è se il bilancio di questa possa essere compromesso o no. E la tesi delle iniezioni di ‘mantenimento’ è stata per lungo tempo NO, perché se la BCE ha acquistato i titoli, allora per definizione i “dissoluti” non diventano inadempienti. In effetti, come fornitore monopolista la BCE potrebbe fissare con facilità il tasso a cui compra i titoli (ad esempio, 4% per l’Italia) e infine potrebbe reintegrare il suo capitale mediante gli utili che ricaverebbe dall’acquisto del debito dissestato (la BCE non necessita di capitale in senso operativo; come al solito, per l’area Euro, si tratta di un problema politico). Per certi versi, il professor Paul de Grauwe ha ragione: convinti che la BCE abbia preso sul serio la soluzione al problema della solvibilità del debito, i mercati inizierebbero a ricomprare i titoli di stato, e lo farebbe per loro in modo massiccio ed efficace la BCE. I titoli non sarebbero scambiati a questi livelli di criticità, se non ci fosse il problema della solvibilità, del quale la BCE si può occupare facilmente se sceglie di farlo. Ma la presente è una questione di volontà politica, non di “sostenibilità” operativa.

Così la grande ironia del giorno rimane questa: mentre non c’è nulla che la BCE possa fare per provocare un’inflazione monetaria – nemmeno se lo volesse – , temendo l’inflazione si trattiene dall’acquisto di titoli statali che eliminerebbe il rischio legato alla solvibilità dei governi nazionali, ma che non fermerebbe le forze di deflazione monetaria attualmente in azione.

Ok, a chi finiscono le perdite? Bene, supponendo che i titoli giungano a scadenza sotto il valore nominale, non c’è dubbio che se una banca privata li vendesse ai critici livelli odierni, potrebbe anche subire delle perdite, e se le perdite sono abbastanza grandi allora le banche in questa condizione potrebbero anche aver bisogno di un piano di ricapitalizzazione. In questo scenario, quindi, anche la Germania potrebbe subire un colpo, così come ogni altro governo nazionale, dato che questi utilizzano risorse fiscali statali per ricapitalizzare. E il colpo diventerà tanto più grande quanto più a lungo i tedeschi continueranno a spingere al limite questa crisi.

Ma questo è un problema diverso rispetto alla questione se il piano di acquisti in titoli rappresenta di per sé oppure no una minaccia al bilancio della BCE. Non lo sarà: bensì vi sarà un grande trasferimento di utili dai possessori privati dei titoli in vendita alla BCE, la quale può rafforzare il suo capitale di base attraverso i guadagni dovuti all’ acquisto di questi critici titoli. Ancora una volta, l’idea di una BCE con vincoli di capitale è folle.

Al contrario, nello status quo ci rimettono tutti, Germania compresa. Un ruolo più ampio della BCE come ultima fonte di credito [ovvero prestatore di ultima istanza, NdT], del genere al quale i tedeschi ancora si oppongono pubblicamente, anche con inutili discorsi su tagli di valore di mercato oppure su maggiori perdite nel settore privato, in realtà farebbe MOLTO DI PIÙ che mandare all’aria la posizione creditizia della Germania rispetto alle misure politiche che praticamente chiunque altro propone in Europa. Perché un possessore privato di titoli con un briciolo di responsabilità fiduciaria dovrebbe comprare un titolo europeo, sapendo che sono cambiate le regole del gioco e che l’acquirente privato potrebbe ritrovarsi perdite imposte unilateralmente? La buona notizia è che qui sembra siano stati definitivamente individuati i pericoli di questo ragionamento. Dal Wall Street Journal:

La signora Merkel ha annunciato venerdì che sta avendo ripensamenti sulla sensatezza del sottolineare le perdite dei possessori di titoli: “Abbiamo una bozza per l’ESM [European Stability Mechanism, fondo che sostituirà il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria, NdT], il quale dovrà essere modificato alla luce degli sviluppi” nei mercati finanziari dopo la decisione in luglio sulla ristrutturazione greca, ha detto a Berlino, dopo aver incontrato il Primo Ministro dell’Austria.

Il Ministro delle Finanze austriaco Maria Fekter, parlando venerdì al convegno di Amburgo, è stata più diretta: “Il coinvolgimento di investitori del settore privato nell’alleggerimento del debito ha distrutto talmente a fondo la fiducia nei buoni del Tesoro, che ci si chiede perché mai tutti comprino ancora titoli di stato”, ha detto la signora Fekter.

Ci sono altre questioni che rendono la posizione della Germania sempre più insostenibile – specialmente sul fronte politico -, in particolare le crescenti tensioni tra Francia e Germania. Wolf Richter osserva che praticamente ogni candidato di punta nella campagna presidenziale francese auspica un ruolo molto più aggressivo nel futuro della BCE. Se la cancelliera Merkel crede di passare un momento difficile, aspettate quando avrà poi a che fare con Francois Hollande, il candidato presidenziale socialista – ora in testa a tutti i sondaggi – che sostiene un programma in cinque punti che è una vera maledizione per la coalizione di governo tedesca:

  • Aumentare al massimo grado possibile il Fondo Europeo di Salvataggio (EFSF)
  • Emettere eurobond e distribuire i debiti nazionali in tutti i paesi dell’eurozona
  • Far sì che la BCE inizi ad avere un “ruolo attivo”, cioè inizi a comprare il debito sovrano dell’eurozona
  • Istituire un’imposta sulle transazioni finanziarie
  • Avviare iniziative per la crescita, piuttosto che misure di austerità

Come osserva Richter, i punti 1, 2, 3 e 5 sono tutti inutili per i vertici del potere esecutivo tedesco.

Ancor più estremista è il punto di vista del candidato socialista Arnaud Montebourg, che ha parlato apertamente di “annessione della destra francese a quella prussiana”.

A destra le cose non vanno molto meglio. Il presidente francese Nicolas Sarkozy rischia di avere la peggio contro la leader del Fronte Nazionale Marine Le Pen (figlia di Jean Marie Le Pen), che quale sta adottando una linea per la candidatura esplicitamente anti-euro, una tendenza che si sta facendo popolare dato che anche in Francia le nuove misure di austerità continuano a limitare la crescita economica. Sarkozy, con i suoi vani tentativi di conservare il rating AAA del debito francese con una maggiore austerità fiscale, rischia di cadere nella propria trappola, poiché il probabile effetto di tali misure sarà di riportare una disoccupazione francese a due cifre. Inchinarsi al santuario di Moody’s, Fitch e Standard & Poor’s mediante l’austerità fiscale è l’equivalente economico del cercare di negoziare un trattato di pace con Al-Qaida.

È vero, la Germania potrebbe decidere bene di averne abbastanza, che l’attività della BCE consiste nello “stampare valuta” e perciò avvii un’operazione per uscire dall’area euro. Ma mettiamo in chiaro le conseguenze: se dovesse adottare questo sistema, la Germania probabilmente subirebbe un enorme crollo commerciale, in particolare per il fatto che la sua avversione alla “dissolutezza fiscale” la condannerebbe a livelli molto più alti di disoccupazione (a meno che il governo di colpo non subisca una conversione sulla via di Damasco al keynesianesimo, probabile quasi quanto la presenza di un membro del Ku Klux Klan alla corsa presidenziale di Obama), oppure dovrebbe ritornare alla sua precedente politica di acquisto di dollari. Potrebbe anche incidere sul tenore di vita del tedesco medio, perché in origine i grandi produttori tedeschi investivano nella moneta unica, siccome credevano con ciò di prevenire la tendenza degli accaniti svalutatori di moneta, come gli italiani, di utilizzare questo espediente per ottenere maggiori quote del commercio mondiale a scapito della Germania. Se dovessero far fronte alla perdita di quote di mercato, le multinazionali tedesche potrebbero semplicemente trasferire gli impianti di produzione nelle nuove regioni europee a basso costo per conservare le quote di mercato e avere l’ abbattimento dei costi, oppure come ultima spiaggia utilizzerebbero la minaccia del trasferimento per strappare ai lavoratori tedeschi tagli di salari e indennità, come ricompensa per essere rimaste in patria. A quel punto, può darsi che anche nelle strade di Berlino ci potrà essere sangue.

In effetti è doppiamente ironico che la Germania castighi i propri vicini per la loro “dissolutezza”, quando è il “vivere oltre i propri mezzi” che riesce a generare un attivo della bilancia commerciale che permette poi al suo governo di registrare un minore passivo di bilancio. In realtà, la crescita tedesca è strutturalmente e interamente dipendente dalla “dissolutezza” estera. Gli attuali deficit di bilancio in altre parti dell’eurozona sono necessari alla crescita della Germania. Per i tedeschi, è il colmo dell’ipocrisia rimproverare gli stati del sud per il loro eccesso di spesa, quando è grazie a questo che la Germania è potuta crescere. Per i tedeschi è ancora più stupido sollecitare una rigida austerità per gli stati del sud, intromettersi nel loro potenziale di spesa senza pensare che questo può ripercuotersi sulla stessa Germania.

Bene, naturalmente la cancelliera Angela Merkel può anche non essere consapevole di tutto questo. In effetti ha definito “stravaganti” le accuse alla Germania di cercare di dominare l’Europa. Ma è chiaro a ogni osservatore imparziale che la ricompensa politica per avere un maggiore intervento della BCE nell’affrontare la crisi di solvibilità delle nazioni europee è il controllo tedesco sulla gestione fiscale di paesi come Grecia, Italia, eccetera. Mario Draghi è italiano, ma il capo della BCE sta facendo il gioco al massacro della Germania. Sta adottando la stessa identica strategia che il direttore politico della Merkel, Klaus Schuler, ha spiegato diverse settimane fa: ottenere un impegno per l’unione fiscale da parte dei deboli paesi del “Club Med” in cambio della trasformazione della BCE in “prestatore di ultima istanza”. Quindi, mentre molti tedeschi potrebbero credere che vogliano un’area Euro più piccola, più coesa e senza i fastidiosi “dissoluti”, i vertici politici in realtà riconoscono che gli “Stati Uniti di Germania” – sotto la maschera degli Stati Uniti d’Europa – sono in effetti corrispondenti alle loro aspirazioni di dominio politico ed economico dell’Europa. È per questo che già nascendo i punti salienti di un accordo, sulla falsariga di un maggiore impegno della BCE come contropartita per un più forte controllo tedesco sulla politica fiscale in tutta l’area euro. È l’equivalente della regola aurea: “Chi ha l’oro, ha le regole.”

È un poker con forti rilanci, che alla fine porterà ancora più spargimento di sangue. Il fatto è che non esiste un piano di riserva. Si continua soltanto ad aumentare le tasse e a tagliare la spesa, proprio quando questi interventi operano aumentando il deficit piuttosto che farlo calare. Così, mentre il problema della solvibilità e del consolidamento del debito potrebbe risolversi, il rimbalzo nei mercati non durerà a lungo, perché il consolidamento continuerà a essere condizionato da una permanente austerità e dalla crescita negativa. E l’austerità potrebbe non solo continuare, ma anche intensificarsi, proprio come se l’eurozona fosse già scivolata in recessione. Quindi, sembra non esserci alcuna possibilità che la BCE consolidi il debito, mentre allo stesso tempo si intima la necessità di recupero per i deficit più alti. In tal caso, l’unica cosa che porrà fine all’austerità sarà sangue nelle strade in quantità sufficiente per scatenare il caos e cambi di governo.

A proposito, l’idea suggerita da qualcuno, secondo cui questa dinamica orribile potrebbe essere arrestata dalla Fed se si comportasse come una specie di banchiere centrale globale di “ultima istanza”, è un’idea stupida. Come ha osservato recentemente Bill Mitchell:

A tutt’oggi, 1 Euro = 1,3294 dollari. Quindi, il solo acquisto del debito dei PIIGS per ripagare il loro deficit del 2010 avrebbe richiesto da parte della Federal Reserve la vendita di circa 347.024 milioni di dollari, ovvero circa il 5,8 percento del PIL degli Stati Uniti negli ultimi quattro trimestri. Cioè una enorme iniezione di dollari nei mercati mondiali internazionali dei cambi.

Il volume di spesa che sarebbe necessario è anche più grande delle stime qui fornite. Questo perché per risolvere veramente la crisi dell’Euro, i deficit in (probabilmente) tutte le nazioni dell’Unione Economica e Monetaria devono salire considerevolmente.

Cosa pensate che accadrebbe al valore della valuta americana? La risposta è che ci sarebbe un calo molto sensibile. Il termine “crollo” potrebbe essere più adatto rispetto a “calo”. […] A questo punto della crisi non c’è nulla da guadagnare da un pesante deprezzamento del dollaro e dalle spinte inflattive che probabilmente diffonderebbe.

Prendersela con la Fed per non essere riusciti a sostenere i bond dell’eurozona è come biasimare un passante per non mettersi davanti a un proiettile mentre vede qualcuno estrarre una pistola e sparare a un’altra persona. Colui che preme il grilletto ha la responsabilità finale. Per la stessa ragione, la crisi europea è una crisi che affonda le sue radici nell’imperfetta struttura finanziaria dell’eurozona (nientemeno che l’autorevole Jacques Delors lo ha recentemente ammesso). E può essere risolta soltanto dagli europei, in particolare dalla BCE, l’unico organo dell’Unione Monetaria che può spendere senza ricorrere al finanziamento primario, a causa della difettosa ideazione del sistema monetario che è stato imposto agli stati membri agli inizi dell’Unione. Però Mario Draghi approva la contropartita politica tedesca: per agire, come condizione necessaria si ostinerà a una maggiore austerità fiscale, cosa che avrà l’effetto perverso di deflazionare ulteriormente queste economie fino allo sfiancamento e di produrre un MAGGIORE disavanzo pubblico. È questo evidentemente uno dei motivi per i quali i tedeschi si sono sentiti così a proprio agio nell’eleggere un italiano alla BCE. A quanto pare, di questi tempi, i cavalli di Troia non arrivano soltanto dalla sponda greca. Un’Europa in cui paesi come Italia e Grecia divengono satelliti della Germania fornisce alla stessa Germania un risultato molto più efficace, diciamo, del provare a ottenere la stessa cose con un’altra distruttiva Guerra Mondiale.

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Fonte: There Will Be Blood

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GABRIELE PICELLI