DI

VALENTIN KATASONOV
strategic-culture.org

 

 

 

 

 

 

 

E’ un continuo accadere di eventi nel mondo della finanza. Si va avanti, uno scandalo dopo l’altro. Specialmente negli Stati Uniti. Non è ancora calato il sipario sul teatrino dell’innalzamento del tetto del debito pubblico che già i media americani rilanciano la notizia dello scandalo che ha per protagonista una tra le principali banche di Wall Street – J.P.Morgan Chase. E’ la più grande banca statunitense per patrimonio, e la seconda al mondo nel 2012 (dopo l’istituto HSBC), con attivi pari a 2,3 trilioni di dollari e filiali in sessanta paesi. Dal suo sito web apprendiamo che un sesto degli americani è suo cliente.
A settembre J.P. Morgan Chase ha patteggiato, con le autorità britanniche ed americane, per aver commesso reati analoghi a quelli dei dirigenti della Lehman Brothers. Come è noto, quest’ultima nascose le perdite dichiarando ricavi inesistenti per ingannare i clienti, i partners e le autorità di vigilanza. La Lehman nascose quasi 50 miliardi di dollari di perdite e cinque anni fa dichiarò bancarotta, innescando una crisi finanziaria che si estese dagli Stati Uniti al resto del mondo.
Le autorità americane ed inglesi hanno accusato J.P. Morgan Chase di scarso controllo dei propri dipendenti e di irregolarità nella redazione dei bilanci del 2012. Il caso è noto con il nome di London Whale. La filiale inglese sopravvalutò il portafoglio crediti dei titoli derivati per nascondere 6,2 miliardi di dollari di perdite. La frode fu realizzata all’interno dell’unità incaricata di migliorare le attività di gestione del rischio e di rafforzare la supervisione sui depositi. Le spericolate trovate contabili sarebbero state architettate per coprirsi dai rischi su altri investimenti ma si risolsero solo in ingentissime perdite.
La filiale inglese aveva acquistato una tale quantità di derivati illiquidi [cioè che non trovavano compratori, Ndt] che il suo responsabile per il trading Bruno Iksil fu soprannominato la “balena di Londra” (London whale) per la sua condotta spregiudicata. Successivamente la banca ha ammesso che i dipendenti londinesi avevano compiuto la frode utilizzando i depositi della banca coperti dall’assicurazione statale. J.P. Morgan Chase accettò di pagare più di un miliardo di dollari in risarcimenti e multe a cinque autorità di vigilanza.
Tra esse figurano:

La Commissione americana “Securities and Exchange”: 200 milioni di dollari
Il comitato di vigilanza inglese “Professional Oversight Board”: 200 milioni di dollari
L’ufficio americano “US Office of the Controller of the Currency”: 300 milioni di dollari
L’americana ”US Federal Reserve System”: 200 milioni di dollari
La commissione americana “US Commodity Futures Trading”: 100 milioni di dollari.
Naturalmente tutte le sanzioni comminate non sono particolarmente elevate se raffrontate al bilancio dell’istituto. Il danno subito è stato più d’immagine ed è, quindi, difficilmente calcolabile. Avendo compiuto tutti quei trucchi contabili, c’è oggi qualche garanzia che non vi siano vicende analoghe, non ancora note?
Il 17 ottobre i media hanno riportato la notizia che J.P.Morgan Chase ha introdotto dei limiti sulle transazioni in contanti dei clienti e vietato bonifici internazionali. La scorsa settimana la dirigenza ha inviato una lettera ai propri correntisti notificando che, a partire dal 17 novembre prossimo, la banca limiterà le operazioni in contanti ( inclusi depositi, ritiri e servizi agli ATM) a 50.000 dollari al mese. La banca non permetterà più di inviare bonifici internazionali e qualora si superassero le soglie per il contante saranno comminate penali.
Prima considerazione: queste misure metteranno in difficoltà le piccole e medie imprese americane. A molte aziende sarà impedito di compiere tutte le più importanti transazioni con l’estero. Sarà un grattacapo anche pagare gli stipendi. Alcuni giornalisti credono che sia solo l’inizio. Le misure adottate dall’istituto, così come quelle degli altri squali di Wall Street, colpiranno anche le grandi imprese.
La lettera inviata non contiene alcuna spiegazione. Si fa cenno ai “nuovi requisiti legali”, introdotti nel paese, cui la banca è la prima ad adeguarsi. La domanda è spontanea: a quali “nuovi requisiti legali” si fa riferimento visto che non vi è stata nessuna nuova legge americana in questo ambito? Alcuni sostengono che la banca stia cercando di controllare il deflusso di capitali dal paese. Difficile da credere. Sino ad oggi gli Stati Uniti non hanno adottato misure in tal senso. Sono state preferite misure indirette. Per esempio la norma introdotta nel 2010, “Foreign Account Tax Compliance”, può essere considerata come un modo per limitare l’esportazione di capitali riducendo la convenienza di investimenti all’estero da parte di aziende americane. Si sono rivelati poco più che interventi inutili, semplici tasse addizionali per coloro che investono all’estero.
Suggerisco due possibili spiegazioni. Una prima ipotesi è che le cinque autorità abbiano voluto impartire una lezione esemplare. Se ci si scotta una volta è difficile che ci si riprovi [proverbio originale: A burnt child dreads the fire becoming once bitten twice shy, Ndt]. Ma la banca non può essere troppo prudente. Quindi la lettera piena di buoni propositi sull’antiriciclaggio, sulla prevenzione del terrorismo, sulla lotta alla corruzione limitando le transazioni in contanti, sono tutte trovate per rifarsi l’immagine, sperando che l’attenzioni si sposti su altri istituti finanziari.
Tuttavia, credo sia più convincente una seconda spiegazione: la banca si tiene pronta per fronteggiare una crisi. Nel settore bancario ciò si realizza quando i clienti [impauriti per la sorte del proprio istituto, Ndt] corrono allo sportello per prelevare i propri soldi. E’ vero che la banca è la più importante degli Stati Uniti, ma non sono sicuro che questo basterebbe a salvarla. Il precedente di Lehman Brothers testimonia che non è sempre vera la formula del “troppo grande per fallire” [con questa concetto, “too big too fail” si intende il salvataggio pubblico di una grande banca che si trovasse in crisi poiché il suo fallimento avrebbe gravissime conseguenze per tutta l’economia. Naturalmente ciò induce i banchieri a comportamenti fortemente rischiosi: gli eventuali profitti andrebbero alla banca mentre le eventuali perdite sarebbero “pagate” dai cittadini, Ndt] . J.P. Morgan Chase ha imparato la lezione impartita a Cipro [la Commissione Europea, il Fondo Monetario Internazionale e la BCE hanno costretto le autorità cipriote a far pagare agli innocenti correntisti le ingenti perdite delle banche del paese, Ndt]. Per salvare il sistema bancario dalla fuga di capitali, la banca centrale cipriota ha introdotto rigidi controlli sul prelievo in contanti e sul trasferimento all’estero di somme depositate sui conti correnti.
J.P. Morgan Chase può darsi che non stia attendendo che analoghe misure vengano introdotte dalle autorità, ma stia giocando d’anticipo. Se si innescasse una crisi nel settore bancario, non vi è dubbio che verrebbero adottate misure analoghe a quelle cipriote. Quindi le limitazioni al prelievo, comunicate dall’istituto, potrebbero servire a prepararsi per il futuro.
In questo caso J.P. Morgan Chase starebbe agendo proprio come se avesse il presagio di una crisi bancaria imminente negli Stati Uniti.

Valentin Katasonov
Fonte: www.strategic-culture.org
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Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTIANO ROSA
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