di Francesca Mancuso

 

 

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Ricordate Boyan Slat, il 19enne che aveva ideato Ocean Array Cleanup, un sistema per ripulire gli oceani dalla plastica? Lo studio di fattibilità ha dimostrato che la sua tecnica funziona e potrebbe eliminare metà della plastica del Great Pacific Garbage Patch.

Diventata ormai il doppio degli Stati Uniti, l’isola di plastica potrebbe essere dimezzata in un decennio se il progetto di Boyan venisse realizzato. Le prove su campo gli hanno già dato ragione.

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Come si evince dal report, tra aprile 2013 e maggio 2014, sono state esaminate la fattibilità tecnica e finanziaria del concept. Con i costi coperti da una campagna di crowdfunding, un team di oltre 100 persone, formato da rappresentati di aziende e istituti di ricerca, ha collaborato per produrre un’indagine approfondita. Lo studio di fattibilità ha dunque esaminato le proprietà fisiche dell’inquinamento generato dalla plastica e la fattibilità tecnica in termini di fluido-dinamica.

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È stato inoltre effettuato un test alle Isole Azzorre per valutare eventuali effetti negativi sull’ambiente. Durante gli esperimenti, le panne hanno catturato numerosi rifiuti in plastica e ridotte quantità di zooplancton. Inoltre, secondo Slat, la plastica recuperata può essere riciclata e riutilizzata.

ocean cleanup

Come funziona l’Ocean Array Cleanup? Formato da due lunghe braccia a pelo d’acqua, il dispositivo è profondo circa 3 metri, una misura tutt’altro che casuale visto che la profondità alla quale si trova la maggior parte della plastica in mare è quella. I rifiuti vengono così catturati dalle lunghe panne che non si muovono dalla loro posizione ma agiscono come un imbuto gigante. L’angolo dei bracci infatti spinge la plastica a galleggiare nella direzione della piattaforma di raccolta. Qui viene poi filtrata, separata dal plancton e conservata per il riciclo.

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Ecco il video che mostra i test alle Azzorre:

Com’è possibile vedere nel filmato, l’Ocean Array Cleanup non usa combustibili di alcun tipo per attirare la plastica ma sfrutta le correnti oceaniche naturali e il vento. Le barriere galleggianti sono state progettate inoltre per impedire ai pesci e alle altre creature marine di rimanere impigliati. Il passo successivo sarà la realizzazione concreta del progetto. Occorrono ancora 2 milioni di dollari per raggiungere la fase successiva, per la quale è stata lanciata una nuova campagna di crowdfunding.

Francesca Mancuso

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