E continuiamo così. Sono passati ormai dieci mesi – era il 15 settembre del 2008 – dal fallimento della banca americana Lehman Brothers che ha segnato lo scoppio di quella che ormai per tutti (urbi et orbi) è la peggior crisi economica dai tempi della Grande depressione. E’ arrivato anche luglio. E il governo del Cavalier Berlusconi Silvio da Arcore non si smentisce. Anzi, rilancia.

La crisi? Perchè preoccuparsi, visto che “negli ultimi due-tre mesi si sono ripetuti segnali non negativi, per l’economia mondiale e per quella italiana”, si legge nel “Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef)” approvato oggi dal consiglio dei ministri (e che chi vuole può trovare in versione integrale qui). E comunque – come Pollyanna – bisogna sempre guardare al lato positivo delle cose. Quindi: “Il Governo intende agire per trasformare l’attuale crisi in un’opportunità di sviluppo e di rilancio per l’economia italiana, e più in generale di progresso sociale per il Paese”, ci tengono a far sapere i ministri in coro con il papello (il Dpef, appunto) di cui sopra. Già. Insomma: il solito brodino caldo a base di ottimismo e buoni propositi. Mentre ora – al contrario – al Belpaese occorrerebbe un bel bagno di realtà. Per il presente. Ma soprattutto per il futuro.

Al solito: qualcosa, in effetti, si sta muovendo. Ma negli Stati Uniti. Oltreoceano, il New York Times – già settimane fa – aveva cominciato a criticare un altro eccesso di ottimismo, quello dell’amministrazione Obama. E oggi – in un lungo articolo – ha deciso di mettere a nudo un’altra delle tante scomode verità nascoste in questi mesi. Quella sui dati – veri – sulla disoccupazione a stelle e strisce. Non che i numeri ufficiali non fossero abbastanza terrificanti: da dicembre 2007, negli Usa, sono andati ufficialmente perduti 6,5 milioni di posti di lavoro. E negli ultimi dodici mesi il tasso di disoccupazione ufficiale è passato dal 5,6% al 9,5%. Solo che non era – e non è – finita lì.

Se infatti si calcolasse il numero di persone che il lavoro, per disperazione, non lo cercano più. E se poi si aggiungessero pure i lavoratori che sono costretti a fare un part-time, perchè non trovano un impiego full time. Ecco: se si facesse un totale totale, tra emarginati, sottoccupati, e disoccupati veri e propri, si arriverebbe già a un buon 16,8% di lavoratori che – de facto – sono senza (o a corto di) lavoro. Numeri che ricordano sinistramente la Grande depressione e l’annus horribilis 1932 (quando la disoccupazione raggiunse il 20%). E che in alcuni Stati – perchè di una media si tratta – non rendono neppure giustizia alla gravità della situazione. E infatti, secondo i calcoli del New York Times:

– in Oregon, il tasso complessivo, per così dire, di disoccupati, sottoccupati e emarginati dal mercato del lavoro, ha già raggiunto il 23,5%

– in Rhode Island, il 21,5%

– in Michigan, il 21,5%

– in California, il 20,3%

– in Tennessee, Nevada e parecchi altri Stati, il tasso di cui sopra si è fermato poco sotto al 20%

Ora: i numeri delle statistiche si possono leggere – e costruire – a piacere. Ma far tornare i conti – quando si parla di soldi – invece è un po’ più complicato. Molto più complicato. Un paio di settimane fa, in un vecchio post intitolato “La chiave di volta”, chi scrive si era permesso di osservare che:

Quell’indefinibile guazzabuglio di misure messe a punto dalla squadra di Obama poggiava e poggia su tanti mattoncini. In primis i provvedimenti salva-banche (Tarp e quel che resta del Ppip). Poi il maxi-pacchetto di stimolo per l’economia reale (aziende e famiglie) da 700 e passa miliardi di dollari. E infine quegli stress test che hanno certificato che le banche salvate erano effettivamente in buona salute (senza per altro che molti degli addetti ai lavori ci abbiano creduto più di tanto). Ma a tenere in piedi tutto – come una chiave di volta – erano alcuni numeri. Tra cui, appunto, quelli – previsti – sulla disoccupazione. Che si sono rivelati  – assolutamente – sballati.

In pratica: la squadra economica di Obama – quando ha messo a punto le dimensioni dello “stimolone” (i 700 e passa miliardi di dollari di cui sopra) e ha fatto gli stress test per verificare la solidità delle banche – ha anche detto: tutto questo funziona, se il tasso di disoccupazione quest’anno si ferma all’incirca al 9%; e arriva – esagerando – al 10 e rotto per cento l’anno prossimo. Sfortunatamente per loro, però – già oggi, a giugno 2009 – la percentuale di chi il lavoro l’ha perso per davvero è arrivata al 9,5%. In pratica – e come ha osservato anche il New York Times – lo “stimolone” – che secondo Obama dovrebbe creare 4,1 milioni di posti di lavoro – non ha stimolato abbastanza. Oppure: chi ha fatto i conti, ha guardato alla realtà con gli occhiali rosa dell’ottimismo.

E proprio ieri, Nouriel Roubini – che per la cronaca è stato uno dei pochi economisti che questa crisi era riuscito a prevederla per tempo – ha messo in guardia tutti proprio su quella bomba a tempo chiamata disoccupazione. Spiegando che la continua emorragia di posti di lavoro rischia di minare non solo la politica economica di Obama, ma quattro pilastri su cui si regge l’intero castello dell’economia americana:

I consumi, che rappresentano il 70% del Pil americano. Perchè chi non lavora, ovviamente, ha meno soldi e consuma meno.

La salute delle banche. Perchè milioni di disoccupati rischiano di non pagare le rate della casa, della macchina, il conto delle carte di credito e prestiti vari.

I commerci internazionali. Perchè più posti di lavoro si perdono, più forti sono le spinte a adottare misure che proteggano le imprese nazionali (leggi: protezionismo).

E, appunto, i conti pubblici. Perchè il solito esercito di disoccupati ha meno soldi e quindi paga meno tasse (su consumi e redditi).

Un bel quadro e un bel rebus. Apparentemente senza soluzione. Perchè, come osserva sempre Roubini, il governo Obama si trova di fronte a una non scelta. Se – dopo aver già impegnato una sfilza di trilioni di dollari per salvare banche e quant’altro – mette ancora mano al portafoglio, ha ottime probabilità di scatenare un’ondata di iperinflazione che distruggerebbe i redditi e farebbe imbufalire i creditori (Cina, in testa). Ma se non fa nulla, la disoccupazione potrebbe diventare semplicemente insostenibile.

Due busillis. Nessuna soluzione. E un copione che potrebbe tranquillamente ripetersi anche qui nel Belpaese. Dove però non è neppure dato sapere se e quanto il problema sia grave.

Gli ultimi dati ufficiali sulla disoccupazione sono fermi a marzo. E il solito governo del Cavalier Berlusconi Silvio da Arcore – nel solito “Documento per la programmazione e eccetera”, che in teoria è la base per organizzare la tenuta dei conti pubblici di qui al 2013 – stima che la disoccupazione si fermerà – a gennaio 2009 – all’8,8%.

Peccato solo che:

la disoccupazione, a giugno negli Usa, sia già arrivata al 9,5%.

e che la disoccupazione in Europa – o meglio in quei Paesi della zona euro dove le statistiche si fanno – sia a maggio del 9,5 %.

Insomma: l’ennesima prova di ineffabile ottimismo. Che per qualcuno sarà rassicurante. Per qualcun altro – compreso chi scrive – perfino divertente nella sua ingenuità. Ma che rischia – per la tenuta di conti pubblici già abbastanza provati da un debito pubblico record e per un economia che da anni cresce con la forza di un bradipo – di essere molto, molto pericoloso.

 

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