DI

EUGENIO BENETAZZO
eugeniobenetazzo.com

 

 

 

 

 

 

Riceviamo ogni giorno bombardanti rassicurazioni da portavoce di organi istituzionali che il peggio sembra sia passato e che per rilanciare l’economia bisogna solo iniziare a spendere e consumare. Tutto questo in evidente contraddizione con quanto si sta paventando invece negli States, innanzi alla più grande crisi occupazionale della loro storia, forse peggiore di quella degli Anni Trenta. Più che affermare che il crollo è terminato mi sento di dire che siamo innanzi ad un rallentamento della caduta. La mia personale view vede infatti un sostanziale miglioramento del climax finanziario a livello interbancario dovuto soprattutto agli interventi di stato ed a un ridimensionamento degli impieghi. Su quest’ultima voce ritengo che abbiano molto da raccontarci tutti i piccoli e medi imprenditori che in questi ultimi mesi oltre ad una contrazione violenta dei loro fatturati, adesso si vedono negato o revocato l’accesso al credito: inutile dire di come tutto questo avrà spiacevoli conseguenze sulla fiscalità diffusa.
Qui sta il vero pericolo in questo momento di mercato ovvero come gestire nei prossimi trimestri il crollo dei fatturati che in prima battuta si riversa in contenziosi occupazionali e successivamente va a ledere la vita intrinseca dell’apparato statale. Vedo infatti che nonostante si possano reperire dati agghiaccianti sulla dimensione della crisi, nessuna forza (o forse bisognerebbe dire farsa) politica si sta preoccupando di come gestire o tamponare l’ormai annunciato crollo del gettito fiscale che si sta delineando per l’anno d’imposta 2009.
Già alla fine del primo bimestre di quest’anno Bankitalia ha emesso un gravoso monito sulla sensibile contrazione delle entrate, suscitando non poche preoccupazioni su come verranno gestite le minori entrate. A riguardo per ben comprendere i rischi che si stanno delineando per il sistema Italia (al pari di altri paesi occidentali) mi permetto di riassumere la dinamica evolutiva della fiscalità diffusa, in modo da consentire a tutti di voi di percepire la reale dimensione della spesa pubblica italiana.
Dai dati riferiti alla fine del 2008 possiamo ricavare la seguente torta che ripartisce il debito italiano (oltre 1.660 miliardi di euro) in quattro contenitori: 3/4 del debito sono titoli a medio lungo termine (metà dei quali in mano ad investitori non residenti) ed il restante suddiviso in prestiti e debiti a breve termine. Significativo è il contributo della raccolta postale che concorre a finanziare quasi un decimo del debito. Tutto questo montante di debito genera interessi passivi per oltre 80 miliardi di euro, oltre il 5 % del PIL (significa che l’azienda Italia è finanziariamente oppressa e a meno di fenomenali colpi di spugna non vi è possibilità di ripresa, in quanto gli oneri finanziari incidono eccessivamente sulla vita del paese minandone la capacità di ripresa).

Lo stato italiano è un’azienda come tante altre con costi e ricavi propri: i costi sono le spese necessarie a mantenere la sua infrastruttura ed a pagare gli stipendi al personale statale, mentre i ricavi rappresentano le entrate che derivano dall’imposizione fiscale diretta ed indiretta. Il duplice grafico a torta descrive invece come spende e come incassa lo stato italiano, suddividendo per aree di spesa e categorie di entrata.
Tanto per iniziare potete notare come le entrate siano superiori alle uscite di circa 15 miliardi di euro, questo statisticamente è in linea delle attese in quanto si verifica regolarmente negli ultimi cinque anni, tuttavia non rappresenta il bilancio complessivo delle spese ed entrate per lo stato in quanto dobbiamo aggiungere anche le voci di entrata e spesa delle partite in conto capitale (come investimenti e contributi alla produzione) che negli ultimi cinque anni sono state sempre superiori ai 50 miliardi, portando quindi l’indebitamento netto ad oltre i 40 miliardi (questo significa che l’azienda Italia ha necessitato  negli ultimi cinque anni di almeno 40 miliardi, 43 per essere precisi nel 2008, al fine di essere finanziariamente in equilibrio): questa considerazione spiega perchè il debito pubblico è in continua lievitazione.

Il bilancio dello stato per quel che concerne la fiscalità diffusa pesa circa la metà del debito pubblico a medio e lungo termine, con 666 miliardi suddivisi tra imposte dirette, indirette e contributi sociali: questo fa comprendere l’effettivo carico di oneri a cui sono gravati contribuenti e mondo imprenditoriale.  Particolarmente inquietante è il peso che ha il welfare italiano sul PIL (ovvero il pagamento di pensioni sociali, di anzianità e di vecchiaia) che assorbe quasi il 40 % delle entrate correnti, a dimostrazione di come ormai il Titanic Italia si stia trasformando sempre più in un cimitero di elefanti.  Curiosità: nella voce altre entrate il peso delle accise sugli idrocarburi si attesta a 20 miliardi di euro (in linea con la media degli ultimi cinque anni), mentre raddoppia decisamente il contributo apportato da lotto e lotterie, passando dai 6 miliardi del 2003 ai 12 del 2008.
La voce di spesa più interessante in termini di analisi per macroaree è relativa agli stipendi del personale, oltre 170 miliardi, suddivisa in 94 miliardi per il personale delle amministrazioni pubbliche ed in 78 miliardi per gli enti locali e previdenziali (gli impiegati e dirigenti di INPS & Company costano nemmeno 4 milardi). Focalizzandosi sulle spese per il personale per tenere in piedi gli apparati ministeriali si scopre quanto segue (guardate la torta):

Pubblica istruzione, difesa e ministero dell’economia rappresentano oltre il 70 % della spesa per stipendi all’apparato statale (fa riferimento al ministero dell’economia per esempio tutto il corpo della Guardia di Finanza). Da una attenta analisi si palesa come la voce riferita un tempo alla "sanità" sia del tutto inconsistente: nella fattispecie il nuovo Ministero della Salute e del Lavoro risulta semplicemente coordinare e gestire l’Istituto del Servizio Sanitario Nazionale, il quale eroga prestazioni sul territorio attraverso enti locali quali le aziende ospedaliere (facenti parte del bilancio delle amministrazioni locali e non centrali). Pertanto il peso della cosidetta sanità pubblica (almeno dal punto di vista dell’onere occupazionale) deve essere estrapolato dai 78 miliardi di cui si menzionava precedentemente: per ragioni espositive me ne occuperò in un prossimo redazionale.
Sulla base di quanto sino ad ora esposto proviamo a fare una disamina sullo scenario dei conti pubblici italiani, se le entrate caleranno in proporzione al crollo del PIL possiamo stimare un gettito minore di 20/25 miliardi rispetto al 2008, senza considerare che ci sono piccole e medie imprese che stanno valutando addirittura di chiudere per sempre la propria attività (a mio avviso stanno percorrendo la strada migliore).  I costi di esercizio dell’azienda Italia purtroppo sono difficilmente negoziabili, dispetto magari un’azienda industriale che può chiedere l’intervento della Cassa Integrazione Guadagni o meglio ancora ridefinire parte dei propri costi industriali come gli oneri di manodopera. Non è possibile delocalizzare gli insegnanti delle scuole italiane e nè diminuire le prestazioni del servizio sanitario o il pattugliamento del territorio da parte delle forze dell’ordine. Ad ottobre pertanto bisognerà pensare dove iniziare a tagliare oppure come raccogliere velocemente 40/50 miliardi di euro, in questo senso abbiamo in pole position il prossimo condono per il rientro di nuovi capitali oltre frontiera, il quale se produrrà i risultati finanziari attesi non farà altro che spostare in avanti il problema.
Le uniche area di spesa sulle quali è possibile intervenire velocemente sono rappresentate dagli oneri sul debito pubblico, che se fossero semplicemente la metà degli attuali permetterebbero un avanzo netto annuale di oltre 40 miliardi, significa che ogni anno lo stato italiano avrebbe 40 miliardi (quasi il 3 % del PIL) da poter spendere per abbattere ancora il montante di debito residuo oppure per politiche sociali con interventi a pioggia sul territorio. Considerando che metà del debito a medio lungo termine è in mano ad investitori non residenti potrebbe essere proposta una qualche forma di congelamento degli interessi al fine di limitare l’onere finanziario: questa affermazione vi potrà sembrare azzardata o ridicola, tuttavia la matematica ormai non lascia molto all’immaginazione per quanto abbiamo sinora trattato. Ricordo che quando l’Argentina dichiarò il proprio default (ovvero impugnò il proprio debito), il rapporto debito/PIL si attestava oltre il 120 per cento ed i 3/4 del debito erano sottoscritti da investitori esteri. Alla fine del 2008 il rapporto debito/PIL italiano era al 105 per cento: ora considerando che al momento in cui scrivo, questi dati riguardavano più di sei mesi fa, mentre oggi sappiamo che il debito pubblico italiano si attesta a 1.750 miliardi di euro e le proiezioni sul PIL italiano parlano di una contrazione superiore al cinque per cento (visione ottimistica), mi verrebbe da dire che il debito/PIL italiano per la fine del 2009 potrebbe stimarsi oltre il 115 per cento.
Ognuno di voi pertanto tragga le relative conclusioni: almeno questi sono dati contabili oggettivi che non possono essere smentiti o tacciati di catastrofismo. Purtroppo anche per il nostro paese si delinea sempre più il cosiddetto scenario argentino ovvero uno scenario per il paese con un’economia debole e una moneta troppo forte che porta alla perdita di competitività e al continuo ricorso all’indebitamento.  Non mi stupirei se venisse paventata anche una superpatrimoniale improvvisa sui depositi con prelievi coatti per tamponare il più possibile l’emorragia finanziaria che si sta delineando per i prossimi semestri (vi ricordo che già nel 1991 il Governo Amato si inventò il prelievo del 6 per mille su tutti i depositi dalla sera alla mattina).
Altre soluzioni che consentano di risolvere velocemente quanto sollevato non ne vedo, a meno di iniziare a tassare la prostituzione o ridefinire la spesa di rappresentanza popolare (dal consigliere comunale all’europarlamentare passando dal dirigente dell’ASL). Su queste considerazioni intravedo pertanto un clima politico da ottobre rosso per il nostro paese con l’attuale governo che potrebbe esporsi ad una improvvisa destabilizzazione politica a causa della continua cantilena messa in onda ogni giorno sul tubo catodico del tutto va bene a fronte di un peggioramento ingestibile dei conti pubblici.  La recente candidatura di Beppe Grillo alla guida del PD (che mi sento di appoggiare pienamente), qualora lo portasse alla guida del partito, forse potrebbe dare quella sterzata improvvisa al timone del Titanic Italia per evitare di colpire l’iceberg che ormai si è avvistato a prua. E per una volta tanto non ci sarebbe niente da ridere con un comico alla guida di un movimento popolare che punta ad un rinnovamento e rinascita nazionale.

Fonte: www.eugeniobenetazzo.com
Link: http://www.eugeniobenetazzo.com/ottobre_rosso.htm
15.07.2009