DI

VITTORIO ZAMBARDINO
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L’odio nasce in rete o la rete si limita a mostrarcelo?
Premessa: il 18 dicembre sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale il pacchetto di norme approvate dal Parlamento europeo in cui l’accesso e l’uso di internet per la propria espressione personale viene definito un “diritto fondamentale” del cittadino dell’Unione. Diritto fondamentale… Davanti a certe affermazioni – come quelle del ministro Ronchi e del sottosegretario Mantovano – gli appartenenti al nocciolo duro dell’utenza internet la mette in burla. C’è chi pensa che non ci sia censura applicabile alla rete internet per i maghi del computer. E’ vero. Ma milioni di italiani che si esprimono in rete non sono maghi di internet. Sono persone comuni che scrivono cose normali, pubblicano foto di famiglia e citano la musica che gli piace. La loro libertà è in pericolo.
Ogni tanto qualcuno o molti di loro entra in un gruppo a cuor leggero: che si tratti di “uccidiamo Berlusconi” o di “buttiamo a mare l’immigrato” la grande maggioranza lo fa come se esprimesse una fantasia momentanea, una di quelle follie che tutti pensiamo in momenti di ira, e che la coscienza personale e civile filtra e manda nel cestino delle cose sporche dell’anima (Sì è vero, poi c’è qualcuno che non le filtra, e lancia una statuetta del duomo, ma cosa c’entra la rete? Gli attentatori del passato avevano internet?). Fa parte del nuovo col quale viviamo, questa leggerezza dello strafalcione: una libertà che i politici prendono per sé quando si tratta di manipolare nei media “tradizionali”. In altri paesi gli utenti internet sono più moderati, è vero. Ma in altri paesi non ci sono politici che fanno la guerra civile verbale all’ora del tg e ministri che insultano intellettuali e dipendenti dello stato a ogni passo. La rete “segue” e “mima”, non crea.
Gli esponenti di governo che parlano di monitorare la rete – ne siamo certi – sarebbero pronti a dire che chi si comporta bene “non ha niente da temere”. Ma intanto invocano filtri e controlli (e repressioni) che, per lo stesso fatto di essere evocati, invitano chi dovrà compiere quelle indagini a una difficile corsa ad ostacoli contro la privacy e la libertà d’espressione, correndo il pericolo di deragliare ad ogni passo dalla legalità. Perché “monitorare” qui non significa accertare chi ha aperto un gruppo, operazione in sé banale per una forza di polizia attrezzata. Ma si tratta di invocare puramente e semplicemente la cancellazione di una espressione del pensiero, e di passata “registrare” chi l’ha fatta. Insomma “tenere memoria” di chi ha detto cosa, nevvero?
Non c’è bisogno di essere esponenti del centro destra per pensarla così. Un ministro del centro sinistra si rese famoso anni fa per una invocazione all’applicazione del modello cinese di filtri internet all’Italia. Succede ogni volta che attraverso la rete si esprimono opinioni o sentimenti ripugnanti o comunque disdicevoli. Le si pone alla base di un fenomeno criminale da reprimere, non come manifestazioni di quel fenomeno. Da qui poi si passa alla rappresaglia verso il contenitore di quei pensieri. E’ un caso si discute in questi giorni.
In questa settimana avrà la parola al processo di Milano la difesa dei dirigenti di Google che sono a giudizio per il caso del bambino autistico abusato dai suoi compagni e del relativo video, realizzato dai suoi assalitori, e pubblicato su Google Video. I magistrati della pubblica accusa invocano “controlli preventivi” da parte di Google e pongono la mancata esecuzione di quei controlli alla base della loro richiesta di condanna. Si tratta di richieste (quelle del magistrato, quelle dei ministri) assurde: cosa le accomuna? Nel caso dei ministri si pensa di eliminare una espressione di pensiero solo perché ripugnante. Ma chi stabilisce la soglia di sopportazione della ripugnanza? Il governo? Forse l’onorevole Carlucci, che poco fa ha sobriamente parlato di social network come luogo di delinquenti?
Siamo o no in uno stato di diritto dove la libertà di espressione è tutelata in costituzione? E questa libertà non si applica forse ai casi limite, al controverso e all’ambiguo? Ma qui gli esponenti politici invocano il codice penale, e la fattispecie dell’istigazione a delinquere. Operazione concettuale analoga a quella dei magistrati che chiedono la condanna di una piattaforma web che ha ospitato quello schifoso video. Queste due posizioni condividono l’equivoco di equiparare Facebook ai giornali e Google Video (o YouTube) a un canale televisivo.
Non vedono che con questi mezzi è arrivata anche ai comuni cittadini la capacità di esercitare l’espressione dei propri pensieri, senza alcuna altra mediazione. Non ci sono direttori responsabili dentro Facebook, e se qualcuno commette dei reati, la responsabilità penale resta personale. Si cerchino gli individui che quel reato hanno commesso, li si processi. Ma non si cancelli lo strumento in cui quella libertà si esprime – anche nel gruppo che inneggiava a Tartaglia c’erano i contrari, ed esercitavano la loro libertà di dirsi contrari.
Ma al fondo di tutto, c’è altro e peggio che prende tutta la società italiana. C’è questa voglia di menare le mani su tutto ciò che è fuori schema, questo pensiero sommario per cui bisogna eliminare il messaggero che porta le cattive notizie. Come se eliminato quello, avessimo risolto il problema. Dimenticano la lezione della storia, che la libertà si esercita nei casi limite e che la libertà esiste anche per gli imbecilli, e va pure tutelata anche e nonostante loro. Se non accetti l’imbecille che inneggia alle statuette del duomo, non fermi quelli che odiano Berlusconi al punto da volerlo morto. Continui solo a governare secondo uno stato mentale di guerra, di conflitto dall’alto, di repressione come defoliante del pensiero. La prima vittima è la libertà individuale.

Vittorio Zambardino
Fonte: http://zambardino.blogautore.repubblica.it/
Link. http://zambardino.blogautore.repubblica.it/2009/12/14/gli-utenti-internet-pagheranno-per-tartaglia/